Musica
May 26 2024
Non c’è praticamente gruppo rock, heavy metal o grunge che non debba qualcosa agli AC/DC, la band fondata nel 1973 dai fratelli Young, che ha riportato l’hard rock alla selvaggia energia delle origini, proprio mentre il prog rock dilagava con le sue lunghe code strumentali all'insegna del freddo virtuosismo. La band australiana più importante di sempre porta avanti pervicacemente, da oltre cinquant’anni, la sua visione dionisiaca del rock and roll, senza aver mai ceduto alle lusinghe di una power ballad da accendini nello stadio, con uno stile inconfondibile a base di micidiali riff di chitarre, ritmica serrata, voce aggressiva e tanta voglia di divertirsi. E poco importa se della formazione originale degli AC/DC sia rimasto il solo chitarrista Angus Young: i loro album e le loro canzoni sono ormai un patrimonio musicale così fortemente radicato nei cuori di milioni di fan da sopravvivere anche ad alcune dolorose defezioni, come quella dello storico chitarrista ritmico e co-fondatore Malcolm Young. Ieri sera, alla RCF Arena di Reggio Emilia, la magia del loro hard rock diretto, sanguigno e senza fronzoli si è ripetuta di fronte a 100.000 spettatori entusiasti, provenienti da ogni parte d’Italia per assistere all’unica (e forse ultima) esibizione nel Belpaese della storica band australiana nell’ambito del Power Up Tour 2024. Considerando che gli AC/DC si esibiscono in genere a supporto di un nuovo album e che mediamente pubblicano un nuovo lavoro ogni cinque anni, c'è il serio rischio che tra 4-5 anni la band avrà poche motivazioni e troppi anni sulle spalle per affrontare un nuovo, estenuante tour mondiale.
Per questo la serata di ieri a Reggio Emilia ha avuto un sapore speciale, come una sorta di ultimo saluto a degli amici che ci hanno fatto compagnia per tanti anni con la loro musica, dandoci forza e coraggio quando ne avevamo più bisogno. La scaletta, tranne che per due concessioni all’album Power Up del 2020 (Demon fire e Shot in the dark), è una sorta di greatest hits dal vivo, della durata di oltre le due ore, in cui non potevano mancare brani iconici come Back in black, Highway to hell, Let there be rock, You shook me all night long, Thunderstruck e l’attesissimo momento di Hells Bells, con l’ormai celebre e rodato ingresso della campana sul palco. Come sempre, il fulcro del concerto è stato l’istrionico Angus Young, non solo per i suoi inconfondibili riff e per i suoi assoli al fulmicotone, ma anche per la duck walk alla Chuck Berry, i finti attacchi epilettici e le natiche mostrate al pubblico. Nel 1980 Brian Johnson è riuscito, in pochi mesi, a far dimenticare un frontman carismatico come Bon Scott, morto dopo una notte di eccessi, segnando con il suo inconfondibile timbro il leggendario Back in black, che è ancora oggi il secondo album più venduto di sempre. Johnson, che si è da poco ripreso dai suoi problemi di salute che lo hanno tenuto lontano per alcuni anni dal palco, oggi canta mezzo tono sotto rispetto a quarant'anni anni fa, ma la sua voce è ancora il perfetto complemento alle scorribande chitarristiche di Angus Young. Stevie Young, figlio maggiore del fratello più grande di Angus, è ormai perfettamente a suo agio nel ruolo di chitarrista ritmico, mentre la ritmica formata dal batterista Matt Laug e dal nuovo bassista Chris Chaney (che ha suonato per Jane's Addiction, Slash, Alanis Morissette, Joe Cocker, Shakira e Celine Dion) non perde mai un colpo. Il concerto si chiude come da tradizione con For those about to rock (We salute you), che dà il titolo all'omonimo album del 1981, con cannoni che sparano a salve e fuochi d'artificio. Si scrive ormai da anni che il rock è morto o comunque agonizzante, ma, a giudicare da serate come questa, il sacro fuoco del rock, finché è in buone mani, brucia ancora e nessuno è mai riuscito a domare le sue fiamme.