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VINCENZO PINTO/AFP/Getty Images
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Perché è importante l'accordo fra il Vaticano e la Cina sulla nomina dei vescovi

È uno storico accordo quello siglato dalle diplomazie cinese e vaticana nei giorni scorsi e annunciato dalla Santa Sede sabato 22 settembre. L'intesa - provvisoria per i primi due anni, ma che poi, dopo una verifica bilaterale, sarà definitiva - pone fine a una lunga contesa, durata per decine di anni, relativa la potere di nomina dei vescovi cattolici in Cina.

Cosa prevede l'accordo

L'accordo prevede la nomina di vescovi non sgraditi alla Chiesa Patriottica statale cinese tramite indicazioni di gruppi di candidati, tra i quali sarà solo il Papa a nominare il vescovo e che sarà sotto la giurisdizione della Santa Sede.

Come atto di buona volontà, il Vaticano ha riconosciuto gli otto vescovi nominati illecitamente negli ultimi anni, un gesto di apertura che ha portato di fatto alla completa e piena comunione di tutti i vescovi cinesi col Papa e con la Santa Sede.

Gesuiti e la Cina

Dal gesuita Matteo Ricci, primo grande evangelizzatore dei cinesi, al gesuita Jorge Mario Bergoglio, papa Francesco.

Lo storico accordo siglato dalla Cina e dal Vaticano per la nomina dei vescovi cinesi ed il riconoscimento, da parte del governo comunista di Pechino, dell'autorità spirituale e giurisdizionale del papa di Roma sui presuli del Sol Levante, è idealmente collegabile alla accoppiata gesuitica Ricci-Bergoglio, anche se tra i due discepoli di Sant'Ignazio di Loyola, la Compagnia di Gesù (da cui l'appellativo di “gesuiti” per i religiosi aderenti) corre un arco di tempo di 408 anni.

Vale a dire dal giorno della morte di padre Matteo avvenuta l'11 maggio 1610 a Pechino, dopo 28 anni trascorsi in Cina aprendo le strade alla diffusione del Vangelo e alla predicazione della fede cattolica in quel lontano Paese, condividendone anche lingua, costumi, usanze, cultura, e gettando le basi per i futuri rapporti tra Oriente ed Occidente, non solo di natura religiosa.

Rapporti messi a dura prova con l'avvento dei comunisti di Mao al potere, ma che il riconoscimento della Repubblica di Taiwan da parte della Santa Sede contribuì a raggelare completamente, un gesto considerato a dir poco offensivo e illegittimo dalle autorità cinesi che hanno sempre considerato Taiwan una loro regione, non una Repubblica autonoma.

Finito il gelo Cina-Vaticano del dopo Mao

Da lì, blocco totale del dialogo e delle reciproche relazioni che per decenni hanno portato al completo isolamento dei cattolici cinesi, diventati nel frattempo un popolo di fedeli di oltre una decina di milioni di persone – ma c'è chi azzarda cifre anche superiori, intorno ai 20 milioni non esistendo una vera e propria anagrafe ufficiale -, suddivisi tra cattolici fedeli al papa, e pertanto non riconosciuti dalle autorità cinesi, in tanti perseguitati, isolati dal contesto della vita sociale e politica, e tra cattolici “patriottici”, in quanto seguaci della Chiesa Patriottica cinese, soggetta alle autorità comuniste che fino a qualche giorno fa hanno persino controllato le nomine sacerdotali e vescovili.

Una situazione di disagio dall'una e dall'altra parte, che per troppo tempo ha portato alla nomina di vescovi patriottici senza la necessaria autorizzazione papale, quindi, illegittimi per la Santa Sede, e alla creazione di un episcopato cinese clandestino, inviso e perseguitato dal potere comunista, con vescovi condannati anche ad anni di prigione e a lavori forzati fino alla morte.

Un passato di dolore e persecuzioni consegnato alla storia

Dolorosissimo passato che ora è stato completamente archiviato – ovviamente non dimenticato da ambo le parti – grazie ad un accordo siglato dai membri della commissione bilaterale Cina-Vaticano con la benedizione dei capi supremi dei due Paesi interessati, papa Francesco, guida del piccolo Stato della Città del Vaticano (considerato però potenza mondiale di natura morale e spirituale), e l'attuale presidente cinese Xi Jinping.

Un successo della diplomazia e del dialogo, discreto e serrato da ambo le parti, che – come sottolinea il cardinale Segretario di Stato della Santa Sede, Pietro Parolin - “è stato prettamente ecclesiale perché ha puntato ad eliminare per sempre la possibilità di ordinazioni in Cina senza il consenso del Papa e della Santa Sede, sulla scia dell'opera di mediazione e di ascolto avviato dai predecessori S.Giovanni Paolo II e Benedetto XV”, autore quest'ultimo nel 2007 della famosa “Lettera ai cattolici cinesi” nella quale suggeriva di puntare ad un accordo sulle nomine vescovi senza commistioni di natura politico-diplomatica.

Una impostazione, quella ratzingeriana, sposata in pieno da papa Bergoglio e fatta propria dal pragmatico Xi Jiping, e che ha permesso ai due Paesi di siglare l'accordo. Il gesuita Ricci sarà sicuramente contento.

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