Calcio
March 26 2024
L'assoluzione di Francesco Acerbi dall'accusa di aver rivolto un epiteto razzista a Juan Jesus nel corso della sfida tra Inter e Napoli ha sollevato dubbi e un polverone di polemiche, come era prevedibile che fosse. Sarebbe accaduto anche a conclusioni invertite, se cioè il Giudice sportivo avesse dato credito fino in fondo alla versione di Juan Jesus e non avesse deciso di ritenerla non provata da alcun riscontro, nemmeno minimo, probatorio e indiziario. Dal momento che la vicenda si era trasformata in un confronto tra due diversi e opposti racconti, sottrarsi al giudizio universale senza sfumature era impossibile e così è stato, facendo tramontare anche le ipotesi intermedie (un po' pasticciate) che sarebbero state facilmente scambiate per compromesso.
Allo stato attuale delle cose, dunque registrando che - come scritto nel dispositivo - l'accusa di aver proferito frasi discriminatorie è rimasta confinata "alle parole del soggetto offeso, senza alcun ulteriore supporto probatorio e indiziario esterno, diretto e indiretto, anche di tipo testimoniale", si deve ritenere che non ci potesse essere finale diverso dall'assoluzione. Dunque, giustizia è fatta.
Nessuno toglierà il dubbio che in campo sia volata qualche parola di troppo ed è indelicato e ingiusto affibbiare a Juan Jesus l'etichetta di uno che si è inventato tutto. O che non ha capito. Anche perché non se ne comprenderebbe il movente, visto che lo stesso giocatore del Napoli affronta il momento critico con grande maturità al cospetto dell'arbitro La Penna e nel post partita, salvo poi rispondere con maggiori dettagli alle parole di Acerbi il giorno successivo. Il Giudice sportivo comprende il rischio del cortocircuito e, infatti, prova a chiarire che, pur essendo rimasto lui solo nella sua denuncia, avendo lui solo percepito la discriminazione nelle parole, questo non deve "mettere in discussione la buona fede".
In generale, l'assoluzione di Acerbi avvicina la giustizia sportiva al funzionamento di quella ordinaria. E' vero che ci sono precedenti in cui è scritto che non serve la certezza della commissione di un atto illecito, ma bastano indizi gravi, precisi e concordanti; ma è altrettanto inoppugnabile che, venendo a mancare anche questi, una sanzione così grave come la squalifica per 10 giornate non può essere comminata solo sulla base del racconto della parte offesa. Cosa che non è mai successa anche nei precedenti di cui si è discusso nella settimana che ha preceduto il verdetto.
Seconda riflessione: l'immagine del calcio italiano non esce bene da tutta la vicenda. Una parte della colpa è riconducibile, però, dall'asprezza delle norme sanzionatorie che non ha consentito nessuna valutazione intermedia, rendendo il giorno del giudizio un inappellabile scontro tra due uomini e due versioni. Forse sarebbe più opportuno modulare con maggiore gradualità il quadro delle squalifiche.
Infine, la tristezza del dibattito social e da bar sport seguito al pronunciamento del Giudice sportivo. Nessuno si è fermato a riflettere sul fatto che il giudice Mastrandrea ha avuto tra le mani un caso senza soluzione ragionevole. La grancassa del complotto e delle accuse generalizzate di non voler combattere il razzismo si è messa in moto, divisa per bande come peggiore tradizione del nostro calcio. Sarebbe stato così anche a verdetto invertito. Non è una constatazione che rasserena, è semplicemente un fatto.