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March 22 2023
A proposito di acqua da bere si possono citare un'infinità di dati. Uno solo è quello fondamentale e sicuramente noto: di tutta l'acqua presente sulla Terra, 1,4 miliardi di chilometri cubi, solo l'1 per cento è acqua dolce, cioè acqua che le persone possono usare per bere e far da mangiare. E neppure questa piccola quantità può essere completamente utilizzata: due terzi di essa si trova racchiusa nelle calotte polari e nelle nevi perenni. I fiumi, i laghi, gli acquiferi da cui ricaviamo l'acqua che beviamo sono alla fine solo lo 0,26 per cento delle riserve totali d'acqua dolce. Questi numeri che si studiano a scuola sorprendono ancora un po' a sentirli a distanza di anni. Ci troviamo quasi nella situazione del vecchio marinaio della ballata di Samuel T. Coleridge: «Acqua, acqua dappertutto e per bere nemmeno una goccia».
Quella che possiamo bere sulla Terra è appunto una goccia del totale. Oggi sul nostro pianeta c'è la stessa quantità d'acqua che c'era in epoca preistorica. Ma ci sono molte più persone. E soprattutto questo elemento non è distribuito in modo equo. Se lo fosse, afferma il giornalista Marq de Villiers in un libro appena uscito, Acqua: storia e destino di una risorsa in pericolo, «sarebbe sufficiente a garantire a ogni abitante del pianeta circa 8 mila metri cubi l'anno». Assai più di quanta ne consumano anche le popolazioni più sprecone al mondo. In alcune parti del globo l'acqua dolce disponibile è scarsa. In altre, anche dove è abbondante, viene inquinata, contaminata e soprattutto sprecata a ritmi superiori al tasso con cui le piogge la possono rinnovare. La preoccupazione per questa risorsa è esplosa da una decina d'anni.
Il 22 marzo si celebra la Giornata mondiale dell'acqua, per sensibilizzare l'opinione pubblica su un'emergenza legata alla povertà nei paesi in via di sviluppo, ma che potrebbe toccare anche quelli industrializzati ben prima di quanto si pensi. In Giappone, a Kyoto, si tiene in questi giorni il terzo World water forum, dopo quello all'Aja nel 2000: una settimana di conferenze e incontri per tentare di arrivare a qualche conclusione su come affrontare il problema. Il più aggiornato rapporto Onu, presentato due settimane fa, ribadisce con forza quello che forse si sapeva già: 1,4 miliardi di persone sul pianeta, in Asia, Africa e Sud America, non hanno accesso ad acqua potabile non contaminata. Quasi il doppio non dispone della quantità considerata necessaria per la salute e l'igiene, che va dai 40 ai 100 litri al giorno a persona. Ancora troppi bambini nel mondo muoiono quotidianamente per malattie legate all'acqua non sana. «La crisi» annuncia in apertura il rapporto, intitolato «Water for people, water for life» (Acqua per le persone, acqua per la vita), «è di governo dell'acqua, ed è causata essenzialmente dal modo in cui viene male amministrata».
Nel mondo industrializzato sembra però assai meno ovvio parlare di una crisi idrica. E' vero che, inaspettatamente, la domanda d'acqua è cresciuta più lentamente di quanto ci si aspettasse solo un decennio fa. Il fabbisogno idrico viene però definito secondo criteri diversi. La disponibilità d'acqua è solo uno dei parametri con cui si valuta la situazione. Nel complesso, l'Europa ha acqua in abbondanza: per circa 500 milioni di persone, quasi 5 mila metri cubi a testa l'anno. C'è però da considerare che la maggior parte si trova nei paesi scandinavi. Per il Sud, come in Spagna, Grecia e anche Italia, le cose vanno diversamente. Ci sono anche altri parametri per stabilire se è imminente una possibile crisi, per esempio il modo in cui sono utilizzate le risorse idriche. Se per soddisfare il fabbisogno di una popolazione si va ad attingere a fonti non rinnovabili, vuol dire che si sta pericolosamente intaccando una risorsa.
«Quando si parla di scarsità d'acqua» avverte Alice Aureli, responsabile dei programmi sulle acque sotterranee all'Unesco «non si intende solo mancanza fisica della risorsa. Nei paesi temperati le risorse sotterranee e superficiali sono disponibili. Anche qui però sono fortemente diminuite a causa della contaminazione». Con l'acqua, osserva Aureli, «ci comportiamo ancora da barbari: la sperperiamo e la contaminiamo». L'inquinamento è uno dei problemi. Secondo il rapporto Onu, ogni giorno vengono riversati nei fiumi e nei laghi 2 milioni di tonnellate di rifiuti. Un litro di acqua contaminata ne inquina circa 8. I pesticidi e i prodotti chimici usati per l'agricoltura, penetrando nel terreno, possono arrivare a inquinare le falde acquifere. In Bangladesh, per esempio, nelle riserve idriche si trovano tracce di arsenico e decine di milioni di persone sono esposte al rischio di malattie. Anche se non viene bevuta, l'acqua con l'arsenico usata per l'irrigazione pare stia contaminando i campi di riso. I problemi dell'inquinamento delle falde potrebbero non essere superati neppure da noi.
«C'è da considerare che lo spostamento di una massa d'inquinamento nel sottosuolo è lento, circa 600-700 metri l'anno» osserva Massimo Civita, docente di idrogeologia applicata al Politecnico di Torino e responsabile per il Cnr della ricerca sulla vulnerabilità degli acquiferi. Che cosa succederà quando in alcune zone si faranno sentire i risultati dell'inquinamento selvaggio degli anni 70 e 80? Un'altra preoccupazione riguarda il sovrasfruttamento delle falde, cui in molte regioni del mondo si comincia ad attingere indiscriminatamente, come se fossero inesauribili, senza preoccuparsi dei tempi necessari perché la pioggia le rifornisca. «Fino a che si preleva dagli acquiferi la quantità che le piogge riescono a ricaricare, variabile da pochi mesi ad anni a seconda della profondità, l'acqua è una risorsa rinnovabile» spiega Civita. «Se il prelievo è eccessivo si sbilancia il ciclo».
A questo punto subentrano i problemi. In molte regioni del mondo le falde si stanno abbassando e bisogna andare sempre più giù per trovare l'acqua. Nelle pianure aride del nord della Cina si sta già scavando a più di un chilometro di profondità. In Libia, Muammar Gheddafi sta pescando dal gigantesco acquifero della Nubia, posto sotto il deserto del Sahara, che 8 mila anni fa era una prateria verde: quella sotto il deserto è acqua fossile. Ora che la zona è arida, le piogge non possono ricaricare la falda che, una volta esaurita, lo sarà per sempre. Sovrasfruttando gli acquiferi, inoltre, si può verificare il problema della salinizzazione, già una realtà in molte zone di Puglia, Sicilia, Sardegna.
Oltre all'inquinamento e allo sfruttamento indiscriminato, a sollevare interrogativi ben più seri è il modo in cui l'acqua dolce viene impiegata: fra il 70 e l'80 per cento è usata per l'agricoltura. E poiché l'irrigazione è un sistema inefficiente, quasi il 60 per cento va sprecato, cioè non produce alcun raccolto. «Questo deve far riflettere sul sistema agricolo che è in vigore nel mondo, basato sul modello irriguo e intensivo» osserva Teresa Isenburg, docente di geografia economica e politica all'università di Milano. Anche miglioramenti modesti nell'efficienza dell'uso che se ne fa in agricoltura potrebbero bastare per renderne disponibili enormi quantità. Lo stesso potrebbe avvenire utilizzando specie vegetali adatte al clima e alle condizioni idriche in cui vengono coltivate, senza pretendere di far diventare i deserti dei giardini. Un calcolo che tiene conto della pura matematica delle risorse, e non dei complessi fattori politici e sociali in gioco, dà un quadro della realtà completamente diverso da quello che abbiamo sotto gli occhi: «Nel mondo ci sono oggi 260 milioni di ettari irrigui, che sarebbero sufficienti a dar da mangiare a 8 miliardi di persone, cioè a una popolazione che probabilmente il mondo non avrà mai» calcola Giuliano Cannata, docente di pianificazione dei bacini idrografici all'università di Siena.
Non è un mistero che l'acqua sia diventata l'«oro blu» del XXI secolo: preziosa perché finita («Non se ne può produrre di più» scrive de Villiers) e contesa. Forse non esistono ancora vere e proprie guerre, come da tempo si va preconizzando, ma conflitti e tensioni legati all'acqua sono in atto già in numerose parti del mondo. «L'acqua» ha scritto Fortune «promette di essere per il Ventunesimo secolo ciò che il petrolio è stato per il Ventesimo: il bene prezioso che determina la ricchezza delle nazioni». Gli utili dell'industria sono oggi circa il 40 per cento di quelli del settore petrolifero. Due multinazionali dell'acqua francesi, Vivendi e Suez Lyonnaise des Eaux, forniscono servizi idrici a circa 120 milioni di persone nel mondo. E il mercato è in forte espansione. Proprio intorno alla privatizzazione di questi servizi si accende oggi il dibattito. Le multinazionali operano soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Ma il processo, probabilmente senza che lo sappia la maggior parte delle persone, è cominciato anche in Italia, dove è in vigore una legge che impone di trasformare la gestione dei servizi idrici, oggi frammentata tra moltissimi enti, a volte piccoli quanto un singolo comune, e spesso inefficienti, in società per azioni con almeno il 40 per cento di controllo privato. Arezzo è stata la prima città a indire una gara d'appalto, vinta dalla Suez Lyonnaise Des Eaux che ora ha la concessione degli impianti. E numerose città italiane stanno facendo lo stesso. Con che effetti sulla bolletta e sulla qualità dell'acqua rimane tutto da vedere.
L'Italia rispetto al resto d'Europa
I consumi d'acqua potabile sono in media 300 litri al giorno per abitante.
Siamo il Paese europeo che preleva annualmente la più alta quantità pro capite.
Il rapporto prelievo-resa per ettaro irrigato è tra i peggiori in Europa.