Cecilia Fusco soprano
(Erio Piccagliani ©Teatro alla Scala)
Musica

Addio a Cecilia Fusco, una vita da romanzo

«A Caru'! ».Cecilia Fusco mi chiamava così, col romanesco suo che m'abbracciava altero e senza spocchia. Se ne è andata giovedì scorso, una delle voci più belle di soprano, e i ricordi che ho s'affollano, s'azzuffano per arrivare primi. Ci vorrà tempo a riordinarli. Sono tanti e ognuno mi commuove. Però uno, forse, dice più degli altri di lei e di un mondo trapassato: il piccolo mistero dell'età.

Fino a quando ci siamo visti l'ultima volta, diciotto anni fa, per quei casi della vita che sempre troppo tardi arrivi a chiederti perché vanno così, non la sapevo. E non è che a non saperla fossi solo io. Erano praticamente tutti. Festeggiavamo il compleanno a Latisana, nella Bassa Friulana dove viveva, con feste memorabili che organizzava a casa. Però l'anno di nascita restava, appunto, un piccolo mistero e nessuno osava chiederlo, tantomeno a lei che l'aveva letteralmente grattato via dai documenti. Me lo raccontò una volta fra di noi, con quella risata che solo lei rideva e quella chioma rossa, riccia e fulminante, che mai arretrava innanzi a nulla.

Insegnavamo a Trieste. Viaggiavamo in macchina ogni mercoledì e venerdì, e le chiesi una volta di guidare lei. « Se va bene a te...», sgranò gli occhi e serrò il labbro. La guardai stranito e… la Fusco, ferma e dritta, cominciò che qualche tempo prima due carabinieri le avevano chiesto la patente: «Furono problemi. Dovette veni' Pierpi!» «E perché?» «Perché ho scancellato l'anno!» «L'anno?» «A Caru', e che faccio vede' a tutti quanno so' nata io?!».

Una vita da romanzo.

Solo alla Scala, è stata diretta da Karajan, Scherchen, Votto, Sanzogno e Molinari Pradelli. Vi ha cantato con Kraus e la Sutherland, e il regista era Visconti. Poi in teatro è stata lei, con Eugenia Ratti nel primo cast, la Musetta de "La bohème" di Karajan, Zeffirelli e Mirella Freni nel ruolo di Mimì, che dal '63 è ancora "La bohème" per definizione, entrata nella storia delle rappresentazioni d'opera.

Sul podio, in concerto, ebbe perfino Hindemith e Stravinskij.

Per amore fece follie, stupende follie. E l'ultima fu pure la più bella, quando da già sposata conobbe a tavola, s'innamorò, andarono a vivere insieme e poi finalmente potè sposare "Pierpi", PierPaolo Sovran, che dopo divenne attore e gli anni del quale, invece, tutti sapevano molto più giovani dei suoi e tutti impararono a non meravigliarsene, tanto erano perfetti insieme. Quarant'anni e più d'amore vero.

Gli anni triestini con me al "Tartini", a cavallo del Duemila, furono gli ultimi dei suoi in Conservatorio, dove era stata chiamata ad insegnare la prima volta a Bari da Nino Rota. Non passò sera, dopo le lezioni, senza fermarci a bere un'ombra di Traminer prima di cena. Chiacchieravamo senza orario. Aveva cantato praticamente con tutti e ovunque, dal Teatro alla Scala al Metropolitan, dal Bolscioi all'Opéra. Io l'ascoltavo e imparavo. Ricordi e ricordi. Me ne faceva parte senza vanità, con quella leggerezza e l'ironia di chi era stata sempre la loro protagonista autentica. Il barone Raffaello de Banfield, "Falello", che a Trieste e nel mondo musicale intero era una leggenda d'arte, cultura, umanità, animo e pensiero che non ci sono più e più non torneranno, di lei mi disse: «Quanto era bella e che voce aveva! Ma la voce era più bella».

Suo padre era Giovanni Fusco, compositore celebre di musiche da film. Lo venerava non solo per l'amore di una figlia, ma per la propria consapevolezza musicale d'essere stato quegli eccelso. Il vocalizzo di "Deserto Rosso", capolavoro di Michelangelo Antonioni, lo cantò lei. Era il 1964 e tante sperimentazioni successive, di altri pure grandi artisti, non sono arrivate sempre a quello spasimo e quel graffio.

Cecilia Fusco, "la Fusco", era nata a Roma il 10 giugno del 1933 e io l'abbraccio qui, insieme col suo Pierpi. Ma tu, a Fu', mi raccomando: quando arrivi da San Pietro, fai la Fusco pure là.

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