Aeroplani come generatori di lavoro
Concorrenza spietata in un mercato spregiudicato e fortemente condizionato dalla politica estera più diretta, quella “da governo a governo”. Sono le caratteristiche storiche delle vendite militari e aeronautiche, soprattutto se riguardano programmi industriali la cui ricaduta è notevole in termini finanziari, tecnologici e occupazionali. Ma che cosa succederebbe se trionfassero i più radicali tra i sostenitori dell'integrazione europea, ovvero chi vorrebbe affidare la produzione dei caccia militari soltanto all'industria della Ue, portando il continente a essere indipendente dalla produzione Usa?
Un esempio della situazione si può osservare proprio in questi giorni con la notizia della probabile acquisizione di oltre 60 caccia F-35 alla Finlandia. Grazie allo stabilimento gestito da Leonardo, la Faco di Cameri (Novara), unica realtà in Europa che effettua l'assemblaggio del velivolo, l'Italia potrà incassare parte di una commessa valutata nel suo intero dieci miliardi di dollari, dei quali quasi sei sono costituiti dalla componente aeroplano. Compensando quindi in parte quanto si sta perdendo a Grottaglie con la forte riduzione della produzione di parte della fusoliera del Boeing 787, con triste messa in cassa integrazione di 3.400 addetti per 13 settimane, compresi quelli impiegati a Pomigliano, Nola e Foggia. Il motivo della casa di Seattle è che questo velivolo passeggeri è per il lungo raggio e questo segmento al momento è il più penalizzato nella ripresa a causa delle incertezze sulle restrizioni di viaggio imposte dalla pandemia.
Sul fronte militare invece è dal 2016 che la Finlandia sta selezionando il modello di aeroplano successore degli obsoleti F-18C Hornet, ovvero di quello che dovrà poter difendere sia lo spazio aereo finlandese, sia i circa 1.250 km di frontiera con la Russia, quindi cercando un velivolo che possa agire come caccia (aria-aria) e al tempo stesso come velivolo per l'attacco al suolo. La selezione della Forza aerea finnica ha visto il caccia di Lockheed-Martin misurarsi contro il Boeing F/A-18E/F Super Hornet e la sua variante da guerra elettronica AE-18G Growler, quindi con prodotti comunque “made in Usa” ma di due aziende private, ma anche contro la proposta francese di Dassault che proponeva il Rafale in concorrenza con la comunque transalpina Airbus, partner del programma Eurofighter Typhoon, aeroplano anch'esso scartato da Helsinki come il Gripen della svedese Saab. Ma dentro il consorzio Eurofighter la nostra Leonardo svolge un ruolo comunque ampio fornendo oltre la metà dei sistemi elettronici imbarcati sul velivolo, dunque la domanda da porsi è se, come sistema Paese, guadagneremo o perderemo da questa scelta “americana” dei finlandesi che dovrebbe essere confermata ufficialmente entro al fine dell'anno.
Dal punto di vista meramente finanziario se fosse scelto l'Eurofighter ci guadagneremmo di più nel breve periodo, poiché la nostra partecipazione nella costruzione del Typhoon è del 21% di Leonardo (33% EADS-Germania, 13% EADS-Spagna, 33% BAE Systems, UK), ma sul medio e lungo periodo, essendo lo F-35 più moderno e con un'aspettativa di vita operativa più lunga, e a causa del fatto che l'unico centro manutenzione è italiano, appunto Cameri, la situazione potrebbe invertirsi.
Non bisogna infatti scordare che il contratto che Lockheed-Martin si è aggiudicata con il governo Usa il 14 settembre 2020, ha portato un incremento di fondi di oltre nove milioni di dollari destinati al potenziamento del sito di Cameri, dove l'Italia ha già incassato la cifra per assicurare la manodopera, la pianificazione delle operazioni d'ingegneria e le attività di supporto dello stabilimento che gestisce modifiche, riparazioni, revisioni e aggiornamenti sugli F-35. Bisogna quindi accettare che il nostro duplice impegno come azionisti di Eurofighter da un lato e come partner di Lockheed-Martin dall'altro ci stia consentendo di non essere mai esclusi completamente dai giochi industriali, riuscendo seppure a fatica a essere competitivi contro chi, invece, ha ampio margine di manovra. Come Dassault, che ultimamente sta piazzando il suo Rafale in varie nazioni (Egitto, Grecia, Croazia ed Emirati Arabi Uniti), agendo in accordo con il governo di Macron ma in modo indipendente da Airbus. Certamente così facendo la Francia guadagna molto di più che vendendo il Typhoon della comunque “in parte sua” Airbus (Sogepa con l'11%), costruttore colosso di Tolosa nel quale però soltanto poco meno del 20% del fatturato deriva dal settore difesa e spazio.
Assurdo fu negli anni Ottanta rinunciare a far parte direttamente di Airbus, poiché invece la vicenda ATR, nella quale siamo soci al 50% proprio col gigante di Tolosa, mostra che certi investimenti a lungo periodo pagano eccome.
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