Lifestyle
March 06 2017
Si può cominciare torturandosi di flessioni e addominali in palestra, poi premiarsi con una cena o un pranzo stellato. Come attività di contorno, si pesca dentro un vasto menu che include un film in prima visione o la visita a una mostra d’arte contemporanea; in alternativa, un massaggio rigenerante, lussuoso shopping sregolato, un tuffo in piscina o due passi nella natura, tra piante, uccelli e farfalle. Ma non in una meta esotica, né in un resort remoto o in un’ipertrofica metropoli. In un aeroporto, o meglio nella sua più recente evoluzione: da passaggio obbligatorio da tollerare quanto basta per imbarcarsi e fuggire altrove, a cittadella di tentazioni e svaghi. Dove arrivare in comodo anticipo sul decollo o programmare intervalli consistenti tra un volo e il successivo per godersi un’ampia offerta gastronomica, culturale, d’intrattenimento a 360 gradi, come dimostrano gli esempi qui sotto. Aperti a tutti, non solo ai frequent flyer che si riversano nell’universo patinato delle lounge.
I terminal sono snodi irrinunciabili di un mondo in febbrile movimento: secondo gli ultimi dati dell’Aci, il Consiglio internazionale degli aeroporti, i passeggeri annui raddoppieranno da qui al 2029, saltando dai 7 miliardi odierni ai 14 miliardi. Se si scorre la lista dei primi quindici scali al mondo, da Atlanta a Dubai, da Pechino a Londra, si scopre che in dodici mesi tutti, nessuno escluso, hanno aumentato fino a punte del 16,3 per cento (Shanghai) il numero dei viaggiatori. Ecco perché inaugurare attività accanto a gate, controlli di sicurezza e dintorni, significa avere a disposizione clienti in vigorosa crescita. Per buona parte affamati, di norma poco inclini al cibo spazzatura vista la traversata da affrontare, spesso dal palato raffinato: a loro guardano chef illustri come Heinz Beck e Cristina Bowerman, che a fine dicembre hanno aperto rispettivamente «Attimi» e «Assaggio» (quest’ultimo un concept di Autogrill), locali in grado di abbinare velocità e qualità, cura per le materie prime e preparazioni espresse. Si trovano nel nuovissimo spazio di Roma Fiumicino dedicato alle partenze internazionali, 90 mila metri quadri accesi da vetrate generose e popolati da cinquanta negozi, bar e ristoranti.
Un altro cuoco notissimo, l’inglese Jamie Oliver, calerà in primavera non una ma un tris di cucine nello scalo di Vienna, servendo delizie a un’area complessiva superiore a 800 metri quadri; intanto, il Liberty di Newark, periferia di New York, è la pista di sperimentazione di Matthew Jennings, tra le più creative menti ai fornelli degli Stati Uniti: qui è in fase di rodaggio il suo «Daily», l’unico ristorante aeroportuale a proporre un menu che cambia di giorno in giorno. Gli ingredienti sono rigorosamente stagionali e arrivano da fattorie e fornitori della zona: piaceri a chilometro zero da degustare qualche attimo prima del rullaggio.
Poco distante, nel Jfk, l’approdo principe della Grande Mela, è atterrata un’altra primizia: un terminal costato 65 milioni di dollari e pensato unicamente per gli animali, sia domestici che esotici. Offre cibo e coccole, spazzolate del pelo comprese, mentre Fido e compagni su zampe attendono l’imbarco. Chi invece si concede uno spuntino a Narita, lo smisurato hub di Tokyo con circa 75 milioni di passeggeri in transito ogni anno, incontrerà un robot incaricato di sparecchiare il tavolo una volta terminato il pasto. Costruiti dalla Panasonic, i simpatici androidi camerieri sono un test per i giochi olimpici del 2020, quando la capitale nipponica sarà invasa da turisti e appassionati di sport.
Gli aeroporti hanno guadagnato carattere, hanno conquistato una loro identità: da parentesi trascurabile sono diventati destinazione in sé, approdi da esplorare. Da non luoghi, a luoghi da vivere.
Ma «l’amenità aeroportuale più nuova», per citare un articolo della Cnn, è il cinema incastrato tra un gate e l’altro. L’ovvia logica è spegnere l’attesa in poltroncina godendosi l’ultimo successo di Hollywood o Bollywood. Ci sono varie sale a Singapore (24 ore su 24, a ingresso gratuito), a Nuova Delhi come a Hong Kong, qui con tecnologia Imax, lo stato dell’arte dell’esperienza su grande schermo. Ed è di alcuni giorni fa l’inaugurazione a Portland di una struttura con tocchi vintage che proietta cortometraggi di registi dell’Oregon, uno stratagemma originale per promuovere i talenti del territorio.
Chi alla settima arte preferisce quelle tradizionali deve puntare verso Amburgo o Mumbai: nel capoluogo tedesco, nella piazza principale dell’aeroporto, dal 7 febbraio c’è una galleria che raccoglie opere di pittori e scultori contemporanei; nel terminal due della megalopoli indiana, si potrà visitare dal prossimo aprile il «Museum safari»: un viaggio culturale con migliaia di manufatti in arrivo da ogni angolo del subcontinente per approfondire la varietà e la ricchezza delle sue tradizioni.
Gli aeroporti, comunque, restano sinonimi di shopping. Nei duty free tentacolari, posizionati con sapienza nei punti di transito verso i gate accanto alle boutique delle migliori griffe, la sensazione ricorrente è quella di trovarsi in un lussuoso centro commerciale. Se ci si lascia prendere la mano con la carta di credito, tanti brand propongono la consegna a domicilio degli articoli comprati. Quando non succede, o si desidera raggruppare più acquisti di diversi negozi, ci si può rivolgere a società specializzate come Eurosender che recuperano su appuntamento buste, pacchi e bagagli nei terminal e li fanno arrivare all’indirizzo indicato.
In generale, pur spogliati degli innumerevoli servizi che offrono, molti scali racchiudono un valore autonomo. In quanto contenitori, più che per il loro contenuto: sono autentici capolavori architettonici, come documenta il libro fotografico «The art of the airport» (Frances Lincoln, 2016), un giro del mondo tra imbarchi dalle forme bizzarre, progetti sontuosi e futuristici firmati da superstar della matita, inclusi i nostri Massimiliano Fuksas a Shenzen o Renzo Piano a Osaka. «Gli aeroporti hanno guadagnato carattere» si legge nell’introduzione del libro «hanno conquistato una loro identità»: da parentesi trascurabile sono diventati destinazione in sé, approdi da esplorare. Da non luoghi, a luoghi da vivere.