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Il nuovo leader dei Taliban afgani, il mullah Akhtar Mansour, apre alla possibilità di un “dialogo inter-afgano” a condizione che si arrivi “al termine dell’occupazione degli invasori” occidentali. Con questo messaggio il successore del mullah Omar, a pochi giorni dal suo riconoscimento da parte della fazione Taliban che aveva ostacolato la sua nomina (tra cui la famiglia del suo predecessore), passa la palla al governo di Kabul che, adesso, potrà confrontarsi con un movimento in gran parte unito sotto la figura della nuova guida e disposto al dialogo in cambio di un disimpegno militare occidentale.
“Non so quanto questi colloqui siano possibili a breve termine – commenta però Fabrizio Foschini, analista politico dell’Afghanistan Analysts Network– Il riconoscimento della figura di Mansour ha lo scopo di ricompattare un gruppo che rischiava di indebolirsi troppo (come hanno ammesso le stesse fazioni nell’annuncio, ndr), anche se le parole del nuovo leader rappresentano un’apertura. Non credo, però, che in questo momento l’Afghanistan sia in grado di staccarsi completamente dalle forze occidentali”.
Nonostante i numerosi gruppi che ne fanno parte, il movimento Taliban afgano è sempre stato unito sotto la figura carismatica dell’ex leader. “Già in passato – dice Foschini – si è provato a parlare di processo di pace, ma un’ala del movimento, che comunque era unito, ha sempre fatto saltare ogni tentativo di trattativa”. Per questo motivo si deve prima verificare che le parole del nuovo leader siano accompagnate dalla reale volontà di sedersi a un tavolo con Kabul, anche se è la prima volta nella storia del movimento che si usa il termine “dialogo inter-afgano”. “Le parole di Mansour – continua l’analista – rappresentano un’importante apertura. Sono però accompagnate da richieste che attualmente sono irrealizzabili”.
Per questo motivo, Foschini si chiede se l’unione ritrovata e le parole della nuova guida Taliban siano davvero sintomo della volontà di accelerare i negoziati o seguano la semplice necessità di rafforzare il gruppo che, insidiato dalla crescita di consensi verso le frange fedeli allo Stato Islamico, ha visto la sua leadership nel Paese messa a rischio. Dichiarare la propria disponibilità al dialogo avanzando richieste al momento irrealizzabili potrebbe essere un modo per prendere tempo e passare la palla al governo di Ashraf Ghani. “Questo esecutivo non è ancora in grado di staccarsi completamente dalle forze occidentali – spiega Foschini – non a caso uno dei primi provvedimenti dopo il suo insediamento fu proprio la firma del Bilateral Security Agreement (Bsa, accordo tra Afghanistan e Stati Uniti che prevede una partnership in materia di sicurezza e sviluppo economico, ndr)”.
Un’economia basata soprattutto su investimenti esteri, legati alla situazione di conflitto nel Paese, e con settori come quello agricolo e manifatturiero completamente da ricostruire, non permette al Paese di svilupparsi senza l’aiuto economico proveniente dalle donazioni estere: “Va detto che disimpegno militare non vuol necessariamente dire disimpegno economico – continua Foschini – Certo è che la situazione di instabilità presente nel Paese non ha permesso all’economia di svilupparsi in maniera uniforme in questi anni, con alcuni settori che sono stati letteralmente abbandonati. Un processo di pace è necessario per far ripartire il Paese perché darebbe stabilità”.
Spettatori di questo nuovo possibile avvicinamento tra Taliban e governo sono i gruppi radicali che hanno giurato fedeltà allo Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi e i gruppi di Taliban pakistani che si spostano da una parte all’altra del confine afgano-pakistano. “Queste sono le due realtà principali che rimangono fuori dalle possibili trattative – conclude Foschini – Il riconoscmento di Mansour da parte delle frange inizialmente contrarie alla sua nomina ha proprio l’obiettivo di contrastare l’ascesa dei gruppi legati a Isis. Per quanto riguarda i Taliban pakistani la situazione è diversa: non hanno una struttura piramidale, caratteristica invece degli afgani, ma sono organizzati in diversi gruppi che non fanno capo a una guida, a un leader comune. Per questo il dialogo con loro è più difficile, oltre al fatto che mantengono ancora stretti legami con istituzioni e servizi segreti pakistani”.