Africa: mentre l’Occidente discute la Cina agisce

Il caos politico in Niger e le tensioni legate alla fornitura di uranio, servono a ricordarci come il continente africano ospiti molti dei minerali critici necessari per la transizione energetica, tra cui il rame necessario per le linee elettriche; cobalto, nichel, litio e grafite necessari per produrre batterie e metalli del gruppo del platino, che sono fondamentali per l'elettrolisi e la produzione di idrogeno verde. Solo per citarne alcuni. Ma quello che sta accadendo serve, una volta di più, a dimostrare la dipendenza strutturale delle nostre economie dalle forniture delle materie prime.

L'Africa è sempre più il luogo della competizione tra la Cina e le nazioni occidentali per il controllo dei minerali critici. Il dominio cinese si è consolidato grazie al sostegno politico di alto livello, ad una strategia unitaria basata in larga parte sulla controversa Via della seta oltre al fatto chela Cina ha investito economicamente nel continente africano molto prima di chiunque altro. Strategie che l’Occidente, che si approccia in ordine sparso e spesso con interessi conflittuali, non riesce a replicare. Probabilmente la somma degli investimenti dei soli paesi europei è superiore a quelli cinesi ma non sono all’interno di una strategia organica. Lo stesso “Piano Mattei” con cui il nostro Presidente del Consiglio cerca, lodevolmente, di sviluppare i rapporti economici tra Italia ed Africa dimostra come all’Europa manchi una strategia unitaria per contrastare la Via della seta.

Evoluzione temporale della presenza della Via della Seta in Africa

A conferma del ritardo delle politiche occidentali sulle risorse del continente africano si consideri come negli Stati Uniti ci si è concentrati più sul ruolo avuto dal figlio di Joe Biden, Hunter, nella transazione per la cessione delle miniere di rame-cobalto di Kisanfu e Tenke Fungurume nella Repubblica Democratica del Congo dalla statunitense Freeport-McMoRan alla cinese China Molybdenum che sul fatto che per quasi due decenni, la Cina è stata in grado di affermare il suo dominio sui minerali critici in Africa senza che gli USA adottassero la benché minima misura per ridurre la loro dipendenza da Pechino sull’approvvigionamento dei metalli critici.

Da tempo l’Impero di Mezzo ha identificato nei Paesi dell'Africa e dell'America Latina le più importanti fonti di materie prime con cui alleviare la sua dipendenza dalle raffinerie estere per metalli come rame, alluminio, litio e cobalto. I paesi subsahariani che aderiscono alla Via della seta hanno visto un aumento di oltre il 120% di investimenti cinesi. L’Africa subsahariana è diventata la seconda regione target più importante per gli investimenti di Pechino dopo l'Asia orientale. E se il paese con il più alto volume di investimenti nella prima metà del 2023 è stata l'Arabia Saudita, con circa 3,8 miliardi di dollari al secondo posto troviamo la Tanzania (+347%) con circa 2,8 miliardi di dollari. Tra i paesi che hanno visto la maggior crescita di investimenti all’interno della Via della seta ci sono la Namibia (+457%) e l’Eritrea (+359%).

Dati: Green Finance & Development Center della Fudan University di Shanghai

Di importanza strategica negli investimenti cinesi all’estero è il settore dei metalli, sia per l’attività più propriamente estrattiva che quella metallurgica, che ha visto una crescita di investimenti record con un più 131% rispetto alla prima metà del 2022: oltre 10 miliardi di dollari secondo un rapporto del Green Finance & Development Center della Fudan University di Shanghai. Evidente l’intento dell’Impero di Mezzo aumentare il suo impegno per assicurarsi le risorse necessarie a difendere la sua posizione di maggior produttore mondiale di veicoli elettrici, batterie, pannelli solari e turbine eoliche viste le previsioni di un aumento della domanda a lungo termine, in seguito alla lotta mondiale contro il cambiamento climatico.

Per essere la fabbrica mondiale delle tecnologie per la transizione energetica, fornendo minerali critici e prodotti correlati ai paesi, come quelli europei, che hanno in programma di accelerare la propria transizione energetica la Cina sta realizzando, in Africa, una significativa espansione dell'attività mineraria come dimostra, ad esempio, l'acquisizione da parte di Hainan Mining di Kodal Minerals di una parte di una miniera di litio in Mali, un accordo per un impianto di lavorazione del rame in Arabia Saudita e la messa in funzione di un impianto di raffinazione del litio in Zimbabwe. Non a caso tra i maggiori investitori cinesi nei primi sei mesi di quest’anno troviamo al primo posto Zhejiang Huayou Cobalt ed al terzo China Molybdenum.

La scelta dell’Unione europea e di un numero crescente di stati americani di smettere di vendere auto a benzina e diesel entro il 2035 dimostra per l’ennesima volta l’improvvisazione di chi opera queste scelte a tutto favore di Pechino. I tardivi tentativi di riattivare, anche solo in parte, l’attività estrattiva europea si scontrano con i tempi di apertura di una nuova miniera in Europa: mediamente tra i 10 ed i 15 anni. Tempi che sanciscono come il settore automobilistico europeo dovrà necessariamente guardare altrove per alimentare le sue industrie.

Se l’Africa riuscisse a rendere operative le miniere in progetto in questo decennio, nel caso del litio, ad esempio, potrebbe fornire un quinto del fabbisogno mondiale entro il 2030. Ma va anche ricordato come gli investimenti nel settore estrattivo siano ad alto rischio ed il tempismo e la velocità siano fondamentali per raggiungere obbiettivi strategici. L’emergente settore minerario africano deve affrontare una corsa in salita per l’accesso ai capitali ed i finanziatori cinesi sono molto più propensi ad assumersi grandi rischi rispetto alle banche commerciali e di sviluppo occidentali.

Inoltre è necessario tenere in considerazione come i limiti dello sfruttamento delle risorse africane risiedano sulla logistica e sulle infrastrutture tra le nazioni. I camion carichi di minerale sono costretti a compiere viaggi di centinaia, a volte migliaia, di chilometri su strade dissestate per poter rifornire le portarinfuse attraccate in un porto in acque profonde sulle coste africane. Servono infrastrutture come strade, ferrovie, porti ma anche molto altro: un impianto di idrossido di litio su larga scala necessita di energia, prodotti chimici e litio grezzo per la lavorazione. Oggi in Africa solo poche località sono in grado di fornire tutti insieme questi elementi.

Inoltre esiste il problema della raffinazione che spiega ulteriormente l’inadeguatezza dei policy-maker di Bruxelles. La Cina parallelamente agli investimenti nel settore estrattivo aumenta la capacità di raffinazione in patria per convertire il metallo in materie prime per le tecnologie verdi: l'Agenzia Internazionale dell'Energia stima che la quota di capacità di raffinazione del Dragone, a livello globale, sia pari al 58%. Ma finché non saranno operativi impianti simili in Europa o in Africa, resterà la Cina il principale cliente del litio africano così come di molti altri metalli.

Conforta riscontrare come l'Europa stia facendo passi avanti nel rivalutare i rischi di fare affari con Pechino. Di come l'opacità del suo sistema le consenta di cogliere regolarmente in controtempo il resto del mondo. L’agenda per la sicurezza economica di Ursula von der Leyen fa intuire che, per quanto il percorso per ridurre le dipendenze dalla Cina non sarà lineare e che molti leader europei continueranno ad inviare segnali concilianti al presidente Xi Jinping, probabilmente la riduzione del rischio è diventata la chiave di lettura dell'Europa nelle sue relazioni con la Cina. A conferma di ciò pare delinearsi la decisione italiana di non rinnovare l’accordo di adesione alla Via della seta.

Oggi la strategia occidentale in Africa è quella di proporsi con i propri investimenti come un'alternativa socialmente più responsabile rispetto a Pechino. E per quanto le controparti africane ci riconoscano una maggiore trasparenza questo non è ancora sufficiente per superare le sfide sul campo, che vanno dalla mancanza di infrastrutture di trasporto alla corruzione, alla politica spesso incostante ed incoerente di molti leader locali per finire agli sgambetti delle aziende cinesi.

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