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October 27 2017
Genocidi, bambini soldato, abusi sessuali, tratta degli uomini, traffico della prostituzione, dittature militari, violazione dei diritti civili e politici, mancanza della libertà di stampa. L’Africa è il secondo continente del mondo per estensione, quello con più Stati (54) e con circa 1200 etnie diverse, ma è anche il più povero e tormentato dai conflitti. Dei 54 Paesi africani solo 6 hanno piena libertà di stampa, 25 non ne hanno nessuna, 23 solo in parte. Soltanto 11 rispettano la Dichiarazione universale dei diritti umani.
L’Africa è ancora dominata da regimi non democratici. Mancanza di libertà e corruzione sono all’origine di un malcontento diffuso, e l’Africa del Nord, a partire dal Maghreb, è una polveriera. La regione è stata attraversata dalle Primavere arabe, che inizialmente hanno fatto pensare all’instaurazione di governi democratici, prima che si rivelassero un fallimento.
In Marocco la monarchia di re Mohammed VI ha retto l’urto e attuato alcune timide riforme ma il Paese è dilaniato da forti proteste nella regione montuosa del Rif, la meno sviluppata e abitata da berberi. In Algeria Abdelaziz Bouteflika è stato eletto per la quarta volta nel 2014. Il regime del Fronte nazionale di liberazione, al potere dal 1962, è simbolo della corruzione e dell'inefficienza della classe dirigente.
In Tunisia, in seguito alla “Rivoluzione dei gelsomini” e alla fuga del dittatore Ben Ali nel 2011, si sono svolte le elezioni che hanno visto il trionfo del partito islamista Ennhada. Nel 2014 è stato eletto presidente Beji Caid Essersi, di orientamento laico, che si è alleato con Ennhada ma ne ha ridimensionato le pretese islamiste. La Tunisia è finita allora nel mirino dell’Isis e nel 2015 gli attacchi al museo nazionale del Bardo e a Sousse hanno causato decine di morti, per la maggior parte occidentali. Ma il Paese più devastato è laLibia. Dopo l’uccisione di Gheddafi non esiste più come Stato unitario, si è frantumata in varie tribù, con territori desertici ancora in mano a gruppi jihadisti, compreso l’Isis, mentre il potere centrale è diviso da due governi, uno riconosciuto, ma che controlla poco il territorio, quello di Al Sarraj, e l’altro non riconosciuto, guidato dal generale Haftar.
L’instabilità e le minacce degli islamisti nel Nord si riverberano anche sui Paesi sub-sahariani. In Sudan il conflitto tra il nord islamico e il sud cristiano va avanti da più di 40 anni. Nel 2011 un referendum nel Sud Sudan ha proclamato la secessione dal nord e la creazione di uno stato indipendente. Il presidente Omar Hasan Ahmad al-Bashir ha instaurato un regime in cui vengono costantemente violati i diritti umani e avvengono terribili persecuzioni contro le minoranze animiste, ma anche cristiane.
Nella regione del Darfur è stato attuato un genocidio nei confronti della popolazione non araba che ha portato alla morte fra le 200 mila e le 400 mila persone. Le popolazioni nomadi arabe e le popolazioni stanziali africane sono in guerra per il possesso delle risorse naturali: terra, acqua e petrolio.
In Mauritania esiste il problema della schiavitù e dei diritti umani. L’omosessualità è considerata un crimine e viene applicata la pena di morte con decapitazione in pubblico. Il 45% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno. L’Eritrea è una nazione indipendente da più di 20 anni e da due decenni non vi si svolgono elezioni nazionali. Isaias Afewerki è stato eletto nel 1993 e da allora non ci sono state più elezioni.
Il minuscolo Swaziland è governato da re Maswati III. Nel 2001 il re ha introdotto una legge che impone la castità per le donne fino al 24° anno di età. In Guinea Equatoriale il governo è nelle mani di Mbasogo che è considerato uno dei più brutali e feroci capi politici del mondo. La Costa d’Avorio è di fatto colonia della Francia, che ha sempre imposto governi amici, fino all’esplosione di una guerra civile (2002-2011) con centinaia di morti che ha ragioni razziali ed economiche. In Sud Africa il processo verso la democrazia è coinciso con la fine dell’apartheid, ma anche in questo Paese il presidente gode di ampi poteri. Il Sahara Occidentale è conteso tra il Marocco e il Fronte Polisario, che ne ha dichiarato l’indipendenza proclamando la Repubblica Araba del Sahrawi. La Somalia è stata considerata uno “Stato fallito” ed è uno degli stati più violenti e poveri del mondo.
Le tensioni investono anche i pochi Paesi con democrazie consolidate. In Kenya la Corte Suprema ha ordinato la ripetizione, per brogli, delle elezioni presidenziali che hanno visto la riconferma di Uhuru Kenyatta. In Togo migliaia di manifestanti sono scesi per le strade di Lomé, la capitale, per costringere il presidente Faure Gnassingbé a reintrodurre un limite di due termini massimo per il rinnovo della sua carica. È già al terzo mandato, dopo aver occupato il posto nel 2005 per la morte del padre, Gnassingbé Eyadéma, che aveva governato dal 1967.
Anche in Uganda numerosi giovani sono stati arrestati il 18 settembre nella capitale Kampala mentre manifestavano contro la proposta governativa di modifica della Costituzione che permetterebbe al presidente Yoweri Museveni di ricandidarsi alle prossime presidenziali anche se avrà superato l'età attualmente consentita (75 anni). Il Ruanda è stato teatro nel 1994 di un terribile genocidio che ha fatto 1 milione di vittime, a causa dell’odio inter-etnico tra Hutu e Tutsi. Ora il presidente, Paul Kagame, con delle elezioni-farsa si è aggiudicato un terzo mandato con oltre il 98% dei voti.
In Angola l’ex generale Joao Lourenço, 63 anni, ministro della Difesa, delfino di Josè Eduardo Dos Santos, è stato proclamato nuovo presidente dopo che il Paese è stato governato per 38 anni dallo stesso uomo. L’Angola è tra i maggiori esportatori mondiali di petrolio dopo la Nigeria, ma la maggior parte dei ricavi è sempre finita in tasca di Dos Santos e della sua cerchia più ristretta. In Nigeria colpiscono ancora i Boko Haram. Il 18 settembre almeno 15 persone sono state uccise e 43 sono rimaste ferite in un triplice attacco suicida nel villaggio di Mashimari, nello stato settentrionale di Borno. Obiettivo di questo gruppo terroristico di matrice islamica e alleato dell’Isis, è distruggere gli altri gruppi religiosi. Il gruppo opera in contrapposizione all’Occidente: il nome significa “tutto ciò che è Occidentale deve essere proibito”.
La ragione del proliferare di regimi dittatoriali e spesso militari in Africa sta nel fatto che l’esercito riceve una larga fetta del Pil degli stati e ciò impedisce qualsiasi riforma economica per la popolazione. L’esercito è così l’istituzione più efficiente e finanziata. Ciò consente spesso ai militari di decidere le sorti del loro paese, realizzando anche colpi di stato in cui si appropriano del potere.
Come spiega Beatrice Nicolini, professoressa di Istituzione e storia dell’Africa alla facoltà di Scienze politiche dell’Università Cattolica di Milano, “gli stati in Africa hanno spesso costituzioni militari, i presidenti sono militari, quindi la loro è una formazione di questo tipo, perciò il ruolo dell’esercito è fondamentale, per gli equilibri politici interni ed esterni, ed è funzionale agli accordi sulle risorse naturali, e anche al fenomeno del landgrab, che prevede un giro di affari di 300 milioni di dollari, e che consiste nella vendita da parte dei capi di stato di terreni a grandi paesi stranieri”. Anche perché “i regimi militari sono l’unico sistema per tenere le popolazioni africane dentro i confini politici tracciati dagli europei nel 1885”.
I nuovi sviluppi geostrategici dell’Africa sono da rintracciare dal dopo fine Seconda guerra mondiale. Dopo la Guerra fredda l’Africa non è stata più un territorio in cui si confrontavano le due superpotenze mondiali, Stati Uniti e Unione Sovietica. Con la caduta dell’Unione Sovietica, e l’inizio del processo di decolonizzazione, i fondi del governo russo non arrivarono più, e gli Stati Uniti ridussero la loro presenza nel continente. Si pensava che in Africa si sarebbero succeduti governi democratici e che si sarebbero aperti al mercato mondiale. Ma in realtà tutto ciò non è successo.
Un nuovo attore nello scacchiere mondiale ha fatto il suo ingresso: la Cina, che ha investito miliardi di dollari in tutta l’Africa. La strategia della Cina è chiara: costruire infrastrutture di ogni tipo, in cambio della possibilità di sfruttare le risorse naturali del continente. “La Cina utilizza la strategia win-win - spiega Nicolini -, cioè tutti vincono in questo gioco, sia la Cina che i paesi africani”.
La Cina ha proposto in Africa un nuovo modello politico ed economico, non una democrazie liberale con un’economia di mercato, ma una dittatura come forma di governo e un rigido sistema capitalistico in economia. “Si pone così come modello socio-economico alternativo all’Occidente”, conclude Nicolini.
Un approccio storico statico nello studio dell’Africa è sbagliato. Perché la storia del continente è una storia dinamica, al suo interno, ma anche all’esterno. Molte popolazioni si sono mosse da sud a nord in cerca di una vita migliore, spesso mitizzata e non corrispondente alla realtà. Una caratteristica che non piace alle dittature perché diventa difficile controllare le popolazioni.
Ma non bisogna addossare tutte le responsabilità dei problemi che attraversano l’Africa all’Occidente. Una nota economista originaria dello Zambia, Dambisa Moyo, autrice del saggio Dead Aid, sostiene infatti che gli aiuti all’Africa “non sono solo inutili, ma anche dannosi”, e che “lo sviluppo economico porta con sé necessariamente lo sviluppo politico”.
Ma l’Africa non è solo una storia di massacri, guerre, dittature sanguinarie, conflitti religiosi, genocidi e violazioni dei diritti umani. Nel continente si stanno mettendo in moto anche esperienze positive. Crescono nuove start-up, anche in collaborazione con l’Europa; in Africa vivono molti creativi, e si creano proficue partnership e business con l’Occidente. “Ma non bisogna però dimenticare che è anche un territorio in cui le armi e la violenza sono uno stile di vita, così si spiega anche il proliferare del terrorismo - dice Nicolini -, procurasi un Kalashnikov è facilissimo, lo paghi poche decine di dollari”.