Economia
February 04 2020
I contribuenti che fino al 2019 hanno fatto ricorso ad operazioni di accollo e successive compensazioni si ritrovano esposti a gravi rischi di controlli e conseguenti atti di recupero.
Innanzitutto perché si tratta di operazioni molto delicate, sulle quali gioca un ruolo decisivo il fatto che il contratto di accollo sia strutturato con una serie di essenziali cautele. In secondo luogo perché c'è la variabile (molto difficile da gestire) di possibili contestazioni di inesistenza dei crediti portati in compensazione per estinguere l'obbligazione verso il fisco, oggetto di accollo.
Ma procediamo con ordine e vediamo cosa fare per affrontare al meglio l'evenienza di possibili contestazioni.
Dopo il giro di vite sulle compensazioni e sugli accolli con alcune delle norme del Decreto fiscale (DL 124/2019 conv. in L.n. 157/2019), a decorrere dal 27 ottobre 2019, data di entrata in vigore del decreto, la compensazione di crediti frutto di contratti di accollo non è più possibile per espressa disposizione legislativa.
Se prima di allora si poteva sostenere la legittimità di questo tipo di operazioni, oggi, per effetto dell'art. 1 del DL 124/2019, è del tutto fuori discussione.
Il punto è che molti contribuenti in passato hanno fatto ricorso a questo tipo di operazione e, sebbene il divieto contenuto nella legge sia operativo solo a partire dall'ottobre 2019, la caccia al contribuente da parte del Fisco su questo tipo di operazioni è aperta ormai da un pezzo.
Con una serie di direttive e di circolari infatti, l'Erario ben prima che venissero approvate disposizioni di legge specifiche ed espresse, ha tentato di escludere la possibilità di compensazione di crediti oggetto di contratti di accollo e ha spinto l'acceleratore su controlli e verifiche sull'effettiva esistenza dei crediti portati in compensazione, anche attraverso un ricorso massiccio a presunzioni che di default conducono ad una declaratoria di inesistenza dei crediti compensati e pongono il contribuente nella posizione di dover dimostrare il contrario.
In cosa consistono nella pratica queste operazioni? Ipotizziamo un contribuente A che ha un debito verso il fisco pari a 100 e un contribuente B che ha un credito di imposta anche in questo caso pari a 100. Il contribuente B offre al contribuente A di estinguere il debito di quest'ultimo se A gli verserà, diciamo, 70. Si stipula quindi un contratto, mediante il quale B si "accolla" il debito di A, e cioè, assume l'impegno di estinguerlo per intero. Una volta che B avrà preso in carico il debito fiscale di A potrebbe decidere di estinguerlo usando quel credito che già vanta nei confronti del fisco e quindi "neutralizzandolo" attraverso una compensazione.
Dov'è il vantaggio per A e per B? A avrà pagato meno di quanto effettivamente deve al fisco, B avrà ottenuto liquidità in tempi rapidi, senza dover attendere i tempi biblici di un rimborso.
Ora, la legge prevede che di per sé è sempre possibile l'accollo di un debito fiscale altrui: lo stabilisce l'art. 8 co. 2 dello Statuto del contribuente (L.n. 212/2000). Inoltre la stessa legge stabilisce all'art. 8 co. 1 che di per sé è legittimo e possibile estinguere un debito fiscale con un credito fiscale, se vengono osservate le modalità e i limiti stabiliti dalla normativa.
Perché il fisco vede come il fumo negli occhi questo tipo di operazioni? Innanzitutto perché, anche se sulla carta il debito verso il fisco viene estinto queste pratiche di fatto azzerano il flusso di cassa dell'erario: sul piano pratico cioè, nelle casse dello Stato non passa un centesimo. In secondo luogo perché spesso dietro le operazioni di compensazione ci crediti fiscali inesistenti o frutto di operazioni artificiose.
Non a caso lo scopo dichiarato delle limitazioni recentemente introdotte è quello di contrastare le cosiddette compensazioni indebite e il governo mira a incamerare qualcosa come 1.3 miliardi, soprattutto in termini di risparmi che deriverebbero dal divieto di compensare crediti accollati, dalla limitazione dei soggetti ammessi alla compensazione e soprattutto dall'introduzione dell'obbligo di preventiva presentazione delle dichiarazioni fiscali che, di fatto, differisce nel tempo l'accesso alla possibilità di operare la compensazione tra debiti e crediti fiscali.
In un precedente articolo pubblicato su Panorama.it, [… https://www.panorama.it/news/compensazione-crediti-fiscali-accollo-novita-difficolta …] si è avuto modo di spiegare perché prima dell'introduzione dei divieti contenuti nel Decreto fiscale di fine 2019 la possibilità di procedere alla compensazione di crediti fiscali con debiti frutto di accollo si doveva ritenere possibile e legittima, e perché la posizione del Fisco, sostenuta in particolare nella Risoluzione 140/E del novembre 2017, si ritiene giuridicamente errata.
Tutto questo, però, a condizione che i crediti portati in compensazione siano legittimi.
Ora, coloro che hanno fatto un'operazione di accollo per estinguere il loro debito verso il fisco, accettando di versare somme anche importanti a favore di soggetti che hanno assunto l'impegno di estinguere quel debito, sono esposti ad una serie di rischi se questi terzi (accollanti) hanno deciso di farlo usando i loro crediti in compensazione.
Il primo è che l'Agenzia delle Entrate disconosca l'operazione di compensazione perché ritiene che la compensazione dei crediti del soggetto accollante con i debiti dell'accollato fosse comunque vietata anche prima del Decreto fiscale del 2019. Il debitore accollato, infatti, per espressa disposizione dell'art. 8 co. 2 dello Statuto del contribuente, non è liberato dal suo debito verso il fisco fino a quando l'accollante non lo estingue definitivamente.
Se è questo il caso, il provvedimento cosiddetto "di recupero" (che prevede una sanzione del 30% degli importi compensati), è attaccabile sul piano giudiziale attraverso un ricorso alla Commissione Tributaria perché, come si è già chiarito, l'interpretazione alla base di questo tipo di provvedimenti è sbagliata, o quanto meno estremamente discutibile.
Il problema maggiore però risiede nel caso in cui, al di là della legittimità dell'operazione di accollo e compensazione, i crediti portati in compensazione siano inesistenti.
Su questo passaggio occorre prestare molta attenzione ed estrema cautela.
Il primo elemento critico consiste nel fatto che spesso il soggetto accollato (cioè chi paga perché i suoi debiti vengano estinti) non sempre ha una piena ed effettiva possibilità di verifica sul fatto che i crediti fiscali che l'accollante porterà in compensazione siano del tutto esistenti e legittimi. Inoltre, quando il fisco contesta l'esistenza effettiva dei crediti portati in compensazione spesso fa ricorso ad elementi presuntivi che alleggeriscono di molto il suo onere probatorio. Ora, per poter contrastare questo tipo di presunzioni occorre disporre di informazioni specifiche ed analitiche che a volte sono già difficoltose da reperire per chi conosce l'origine di quei crediti (cioè il soggetto accollante), figuriamoci per l'accollato, che è del tutto estraneo all'attività dell'accollante.
Questo viene aggravato dal fatto che esistono consulenti senza scrupoli che spesso hanno promosso con disinvoltura operazioni di accollo finalizzate alla compensazione di crediti di entità che hanno accumulato crediti di origine estremamente discutibile.
Non è infrequente infatti, che contribuenti sprovveduti, allettati dalla prospettiva di ottenere una significativa riduzione dei propri debiti verso il fisco sottoscrivano contratti con soggetti accollanti che poi si rivelano entità fittizie o di comodo, all'interno delle quali vengono accumulati consistenti crediti di imposta generati in modo fittizio attraverso operazioni fraudolente, quali frodi carosello, o il riconoscimento di crediti di imposta sugli investimenti in ricerca e sviluppo o crediti di imposta destinati alle aree svantaggiate fondati su titoli e documentazioni discutibili.
Cosa fare per prevenire o limitare possibili problemi se si sono già stipulati contratti di accollo su debiti che l'accollante ha estinto mediante compensazione?
La prima cosa da fare è interpellare un professionista indipendente, competente in materia tributaria, che conosca questo specifico tipo di operazioni, sia esso un avvocato tributarista o un dottore commercialista, e fargli esaminare prima di ogni altra cosa il contratto di accollo. Questo perché spesso l'accollato che accede a questo tipo di operazioni si è lasciato convincere da un qualche consulente che gli ha proposto e caldeggiato l'operazione e che in realtà opera principalmente nell'interesse dell'accollante. Una verifica da un professionista indipendente, quindi, è d'obbligo, anche perché il contenuto del contratto è di cruciale importanza. Le cose cambiano molto, ad esempio, se nel contratto è menzionata esplicitamente o meno la possibilità che l'accollante possa procedere o meno all'estinzione del debito accollato mediante il ricorso alla compensazione.
La seconda cosa da verificare, nei limiti del possibile, è il grado di affidabilità del soggetto o dei soggetti accollanti. Questo tipo di verifica, ovviamente, non è sempre agevole perché non sono molte le informazioni a cui un soggetto privato può accedere. Tuttavia, già una verifica sui bilanci e sul conto economico della società accollante (si possono ottenere rapidamente online dal Registro delle Imprese) può offrire elementi utili di valutazione: ad esempio può fare molta differenza se la società ha un consistente capitale sociale, un patrimonio sociale rilevante, del personale, etc., o se non ha niente di tutto questo.
Non guasta anche una verifica sul fatto che il consulente che ha proposto l'operazione risulti iscritto ad un albo professionale o meno: altro è inseguire un consulente senza né arte né parte, altro è avere a che fare un professionista esposto al rischio di possibili azioni disciplinari da parte del suo Ordine professionale, in caso di condotte non corrette.
Verificare analiticamente la bontà dei crediti portati in compensazione è importante, ma può non essere un'operazione agevole, sia perché è di per sé intrinsecamente complicata, sia perché postula la cooperazione dell'accollante e se per caso si è finiti nella rete di operatori truffaldini o poco seri, ovviamente, è ben difficile che si ottenga collaborazione.
Nel caso in cui si ottenga disponibilità da parte dell'accollante sarà utile farsi fornire non solo la copia dei modelli F24, ma anche l'identità del professionista che effettuato l'operazione di compensazione, il quale è tenuto ad apporre un visto di conformità sulle dichiarazioni dalle quali emergono i crediti fiscali oggetto di compensazione, e possibilmente anche gli estremi della polizza assicurativa che è tenuto ad avere.
Nel caso in cui i crediti compensati siano originati da ricerca e sviluppo è anche utile verificare il certificato di credito emesso da un revisore abilitato, e che è essenziale per poter ottenere il riconoscimento di tale credito.
Una volta effettuate le verifiche del caso, una strategia efficace può essere quella di negoziare con l'accollante il rilascio di garanzie idonee a coprire eventuali costi aggiuntivi che dovessero derivare da eventuali provvedimenti di recupero e connessa irrogazione delle sanzioni, ed eventualmente della copertura dei costi di un eventuale contenzioso.
È qui che gioca un ruolo determinante il ruolo del contratto: a meno che non siano state inserite particolari clausole finalizzate a ridurre o escludere profili di responsabilità a favore dell'accollante, infatti, sul piano civilistico l'accollante ha assunto la specifica obbligazione di estinguere il debito dell'accollato.
Quindi, l'eventuale mancata per fatto dell'accollante ne comporta una responsabilità contrattuale che si può fare valere in giudizio. La prospettiva di andare incontro ad un possibile contenzioso, quindi, potrebbe indurre l'accollante che confida sulla bontà dei suoi crediti ad accettare di rilasciare tale garanzia, nell'ambito di un accordo bonario con l'accollato, per evitare futuri problemi.
La situazione, tuttavia, si complica se ci si rende conto che la controparte contrattuale è un soggetto fittizio, una cartiera, o comunque un'entità il cui capitale o il patrimonio aziendale risulti esiguo e difficilmente aggredibile.
In casi del genere è indispensabile consultare un avvocato penalista specializzato in reati tributari ed aziendali che, sulla base della documentazione e delle informazioni disponibili, possa valutare se la condotta degli accollanti e di suoi eventuali emissari, siano essi consulenti o intermediari, possa essere qualificata come una frode perseguibile in sede penale.
E se si dovesse ricevere un atto di recupero? In questo caso occorre consultare immediatamente un esperto difensore tributario, tenendo presente che dalla data di ricevimento della notifica dell'atto decorrono sessanta giorni di tempo per una possibile impugnativa.
Gli atti di recupero, infatti, molto frequentemente presentano una serie di vizi strutturali sui quali è possibile costruire un'efficace strategia difensiva in giudizio.
Questi vizi sono originati dal fatto che le disposizioni normative che hanno introdotto e disciplinato questo tipo di provvedimenti (cioè i commi 421 e 422 dell'art. 1 della finanziaria 2005, ossia la L.n. 311/2004) sono estremamente laconiche e non chiariscono dettagliatamente la natura di questo tipo di atti.
La conseguenza è che gli uffici che li emettono, spesso non tengono conto di alcune specifiche indicazioni della giurisprudenza di alcune disposizioni normative successivamente adottate che incidono in modo rilevante su elementi e contenuti necessari di questi atti, la cui mancanza può essere causa di rilevanti profili di legittimità.
In conclusione, quella degli accolli tributari con compensazioni è una materia caratterizzata da estrema delicatezza e chiunque abbia fatto ricorso a questo tipo di strumenti farebbe bene ad affidarsi a figure professionali competenti, sia in un'ottica di tutela preventiva che in caso di contestazioni specifiche da parte del Fisco.
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