Calcio
June 07 2024
Le sentenze sportive che hanno spazzato via la Juventus e Andrea Agnelli sono legittime? Domanda non eludibile dopo che il Tar del Lazio ha deciso di accogliere il ricorso dell'ex presidente juventino, girando alla Corte di Giustizie dell'Unione Europea tre domande che puntano al cuore del funzionamento dell'ordinamento giudiziario sportivo. In sintesi: si possono comminare pene che hanno un impatto enorme dal punto di vista economico dei club e della carriera professionale delle persone senza che sia concessa l'opzione del ricorso alla giustizia ordinaria?
Non è un dettaglio, visto che il processo sportivo è costruito su modalità e tempistiche compresse all'inverosimile, risponde principalmente alla logica della tempestività ed afflittività della pena e prevede una sorta di inversione dell'onere della prova. Il sospetto che non tutti le garanzie alla difesa siano pienamente rispettate è, dunque, legittimo e se questo è accettabile, in nome della sacralità dell'autonomia del sistema sportiva, laddove ci si occupa di questioni tecniche e disciplinari diventa più complesso ritenerlo opportuno laddove ci si addentra in vicende finanziarie e con provvedimenti che impattano per centinaia di milioni di euro su una filiera industriale come ce ne sono decine nel nostro Paese.
I giudici del Lussemburgo dovranno rispondere così a tre domande girate dal Tar del Lazio. La prima: è giusto che, in presenza di una condanna particolarmente pesante e con impatto enorme dal punto di vista economico su un azienda calcistica, sia negata la possibilità di appellarsi presso un tribunale ordinario, facendo così valere il principio della tutela giurisdizionale? La seconda: è in linea con le norme comunitarie di libera circolazione quanto accade quando la pena colpisce un dirigente, vietandogli per un lasso temporale lunghissimo di poter lavorare in Italia e fuori (per l'estensione a Fifa e Uefa)? La terza: L'articolo 4 delle norme Figc, quello sulla "lealtà e probità" utilizzato come ombrello per giustificare la stangata sulla Juventus e i suoi dirigenti, è scritto in maniera precisa e circostanziata anche nei suoi effetti sanzionatori o è illegale perché troppo vago e discrezionale?
Non sfugge che, se la Corte di Giustizia UE dovesse rispondere dando ragione ai ricorrenti, tutto l'impianto della giustizia sportiva come conosciuto nell'ultimo mezzo secolo subirebbe un colpo definitivo. Qualche segnale c'è già stato nei mesi scorsi, quando gli stessi giudici hanno affermato un principio simile trovandosi ad analizzare una sentenza della Federazione internazionale di pattinaggio sul ghiaccio. E qualche segnale che lo sport, ora che è diventato un'industria che muove miliardi di euro, non può più regolarsi come in passato è emerso anche nelle pieghe dei due verdetti (Corte di Giustizia UE e Tribunale di Madrid) che hanno certificato la posizione illegittima di abuso di monopolio di Fifa e Uefa.
Ecco perché la questione è delicata e meglio sarebbe affrontarla con una riforma piuttosto che a colpi di sentenza che vengono da fuori. Con un'aggiunta altrettanto ineludibile. Il processo sportivo sulle plusvalenze della Juventus si è celebrato che le vecchie regole e ha azzoppato una società e azzerato la carriera dei suoi vertici. Quelle sentenze erano legittime? Ed è accettabile che ad oggi non si sia ancora capito quando e come la Procura della Figc si muove e quali siano limiti e vincoli che si è posta nel rapporto con la magistratura ordinaria?
Perché non può sfuggire che un sistema che processa e condanna in poche ore qualcuno sulla base di documenti ricevuti dopo la chiusura di un'indagine (peraltro condotta da una Procura poi riconosciuta non competente da un giudice), e invece accetta passivamente che altre non trasmettano i propri dossier, lasciando trascorrere mesi ed anni nell'inazione, non rende un buon servizio a se stessa e al sistema. La giustizia per esistere deve essere equanime e credibile. Quanto emerge oggi racconta una realtà differente.