L’appello a Panorama del divulgatore scientifico, che ha presentato un podcast dedicato a Cleopatra. E sulla pandemia: «Questo Paese ha reagito con grande saggezza grazie ai nostri tremila anni di storia».
Ennio Flaiano nel suo immenso e illuminato cinismo soleva dire: «L’Italia è un Paese dove sono accampati gli italiani». Alberto Angela la pensa diversamente. Secondo il nostro più famoso divulgatore scientifico e storico, paleontologo, scrittore di bestseller, abbiamo affrontato la pandemia in modo encomiabile: «Tremila anni di storia ci hanno salvato». Lui, 58 anni, figlio d’arte del grande Piero, durante l’emergenza Covid-19 non si è mai fermato ed è appena uscito, sulla piattaforma Audible, il suo primo podcast dedicato a Cleopatra. «Una grande statista. Un cervello e non un corpo, come invece volevano farla passare i romani. Che di lei hanno avuto vero timore». A Panorama racconta come la storia ha segnato questi nostri ultimi mesi. «Una cosa mi ha colpito: l’Italia ha agito subito e nella direzione giusta. Questa nazione si è comportata in modo straordinario. Non sta a me dire chi ha fatto bene e chi ha fatto male. Ci sono state sicuramente anche situazioni di ombra, oltre che di luce. Ma in un momento di dramma così grande c’è sempre di tutto».
Ma come ci ha salvato la storia?
Abbiamo saputo agire con grande saggezza. Siamo stati additati come untori, in realtà eravamo più vittime degli altri. Si è capito subito l’eccezionalità del momento, mentre all’estero non sempre è stato così. E chi non ha seguito il nostro esempio, ora piange scelte sbagliate.Tutto questo è successo grazie ai nostri tremila anni di storia. Viviamo in un Paese dove in ogni luogo, da Nord a Sud, c’è traccia di una civiltà perenne. Dalla Preistoria si arriva al mondo greco, agli Etruschi, Roma e l’Impero, il Medioevo con Pisa e Siena. Poi il Rinascimento a Firenze e il Settecento con Venezia. E infine l’Ottocento in Sicilia. Basta guardare un film come Il Gattopardo di Luchino Visconti per respirare le atmosfere sontuose di quel periodo. Ognuna di queste generazioni ha lasciato un segno importante. Noi lo vediamo sotto forma di monumenti e non ci rendiamo conto che troviamo l’equivalente nel nostro modo di pensare. Non sono i fuochi di un’epoca che è sparita, ma è un accumulo continuo, dall’antichità a oggi. Il nostro modo di parlare, di ridere, anche di mangiare è frutto del passato.
E tutto questo come ha influito sulla lotta al virus?
Abbiamo agito perché avevamo nel nostro Dna culturale l’incredibile contributo delle generazioni precedenti. Quando ci siamo trovati di fronte all’emergenza è stato come se le avessimo ancora accanto a sussurrarci le scelte da fare. È una saggezza antica quella che abbiamo visto all’opera in Italia contro il Covid. Non è stata improvvisazione. Altri Paesi sono inciampati perché non hanno il nostro passato. Abbiamo tirato fuori un’enciclopedia del buonsenso che all’estero non posseggono, una ricchezza culturale che ci ha permesso di agire nel modo giusto. E soprattutto all’unisono.
Dopo la saggezza, durante il lockdown non vede ora uno smarrimento generale?
È una situazione nuova, nessuno era preparato. Dopo mesi di blocco è comprensibile che ci siano degli sfoghi. Forse le generazioni precedenti avrebbero affrontato con più facilità l’isolamento. Noi siamo stati abituati ai contatti, all’informazione, a una vita sociale intensa. Cinquant’anni fa non c’erano tanti luoghi di svago, i viaggi continui, né i social. Bisogna capire che la gente ha fatto un passo enorme per affrontare la quarantena.
E ora che futuro ci aspetta?
Bisogna tenere duro. Non per molto, ma non è finita. Dobbiamo stare attenti. Ora sappiamo che le cose stanno gradualmente migliorando, ma se vogliamo che finisca davvero dobbiamo continuare a vigilare. Il nemico c’è ancora. Come tutti spero che con l’estate il virus scompaia per sempre, ma è la prima volta che ci troviamo di fronte a tutto questo. E il tempo ci spaventa. Se guardiamo una serie in tv ci aspettiamo che l’assassino venga trovato in 60 minuti. Questo non corrisponde alla realtà. Anche l’informazione ci dà tempi di soluzione molto rapidi. Poi quando capisci che non sarà così, tutto diventa difficile. Ma quello che succederà domani dipende da ciò che facciamo oggi.
E così cosa dovremmo fare?
Non dimenticare. Tre sono le cose fondamentali. Primo: ricordare chi non c’è più. Dietro ogni vittima c’è una famiglia distrutta. Rispettiamo il dolore degli altri. Perché è anche il nostro. Secondo, non scordiamoci di chi, rischiando la vita, ha affrontato questo mostro in prima linea. E spesso l’ha fatto a mani nude. Medici, infermieri, operatori sanitari, farmacisti, chi lavora nei laboratori. Consapevolmente quanti di voi entrerebbero in un’arena sapendo nche c’è una belva che ti può uccidere?
E la terza cosa da non dimenticare?
Tutti quelli che durante questa crisi hanno perso il lavoro. Intere attività hanno dovuto chiudere. E soprattutto chi ha sofferto per la gestione del nostro patrimonio. È difficile separare il turismo dalla cultura nel nostro Paese. Parlo di albergatori, ristoratori, guide turistiche, i tanti ragazzi che facevano i camerieri. Pensiamo a loro e premiamo chi ha resistito. Facciamo le vacanze in Italia. Andiamo ad aiutare chi è rimasto e ha combattuto. Ricompensiamo il Paese, le città d’arte, i nostri borghi. Non solo è importante per l’economia, ma così diamo una mano alle persone che valorizzano quell’eredità che ci ha salvato.
Ma come possiamo proteggere i nostri paradisi culturali?
Tutti ci invidiano lo stile di vita. Tutti vogliono venire in Italia e non per il sole. Perché noi abbiamo la cultura della cultura. Non devi essere laureato per capire la bellezza di Michelangelo, di Cimabue o della Torre di Pisa. Chi arriva dall’estero guarda queste meraviglie con stupore, noi invece tutto questo lo abbiamo dentro da sempre.
In molti temono una seconda ondata, si può fare un paragone ncon le epidemie del passato?
Allora duravano anni e anni. La mortalità era diversa. La peste era una cosa terrificante, non sapevano neanche da dove venisse. Le epidemie erano più devastanti, non c’erano conoscenze scientifiche né vaccini, le condizioni igieniche erano terribili. Bisogna stare attenti a fare paragoni. Ogni epidemia è frutto del suo tempo. Forse allora il coronavirus non sarebbe mai arrivato. Dalla Cina le strade erano via mare o lungo la Via della seta. Ci sarebbero voluti mesi.
Alla fine cosa resterà di questo tragico periodo?
Le cose importanti. La famiglia, gli amici, quelli veri che hai cercato nei momenti più duri. Tanti rami secchi sicuramente sono stati tagliati. Spero che il rumore di fondo della superficialità svanisca. Ritroviamo i valori profondi, quelli che ci hanno insegnato i nostri nonni, i nostri padri. Loro avevano un coraggio incredibile, durante la guerra hanno rischiato la vita per quei valori. Se hai saputo conservarli dentro il cuore, allora sei felice.
E chi invece li ha dimenticati?
Ogni comunità con principi ferrei lascia un’impronta nella storia. Al contrario ci sono i barbari che passarono, distrussero ma non lasciarono traccia. La storia esiste per ricordarci cosa è già successo e come evitare le tragedie. Le situazioni si ricreano, ma l’uomo malgrado tutto ci ricade sempre. Per questo non dimenticare è molto importante.
Cosa si aspetta ora dal governo?
Penso a quello che dobbiamo fare noi, non a chi ci governa. Dobbiamo aiutarci. È come un dopoguerra. Dobbiamo darci da fare. Bisogna rimboccarsi le maniche e ricostruire. Io suggerirei di passare i mesi estivi in Italia. Ogni volta che mi chiedono qual è il Paese più bello che ho visitato rispondo sempre: il nostro. All’estero ci sono luoghi meravigliosi da Petra all’Isola di Pasqua, dal Machu Picchu ai deserti del Sahara. Ma c’è solo quello. Noi abbiamo le campagne, il mare, le montagne più belle e soprattutto abbiamo la storia. Ti senti coccolato dall’amore per la vita. Quando guardi il barocco di Noto non vedi solo uno stile architettonico, ma una gioia dell’anima. Quest’estate rimanete in Italia. L’Italia ha bisogno di noi.