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February 08 2016
Per Lookout news
I rappresentanti mandati a Ginevra dai gruppi islamisti, dopo la chiamata a raccolta a dicembre a Riad da parte dei loro sponsor sauditi, avevano posto come precondizione agli incontri la sospensione dei bombardamenti e delle azioni di guerra da parte di russi ed esercito siriano. Lo avevano fatto perché gli jihadisti stanno perdendo costantemente terreno sotto l’incalzare del complesso di truppe formate da Esercito siriano (SAA), Comitati di Difesa Popolare (PDC), National Defence Forces (NDF), Hezbollah, palestinesi e, a nord, dalle Syrian Democratic Forces (SDF). Grazie al supporto dei bombardamenti aerei dell’aviazione russa, dal loro inizio a settembre 2015 le truppe di terra hanno riconquistato centinaia tra villaggi e cittadine, dal sud al nord del Paese.
La richiesta degli islamisti aveva quindi lo scopo di sedersi al tavolo delle trattative con più territorio possibile in proprio controllo. Ma, visto che la loro richiesta è caduta nel vuoto e che gli USA hanno fatto poco o nulla per evitare che ciò accadesse, si sono trovati costretti ad accettare gli incontri triangolati dall’ONU. Partecipano alle trattative pur non rappresentando alcuna forza politica di opposizione ma soltanto una sparuta minoranza di salafiti e wahabiti sostenuti dall’Arabia Saudita e le cui milizie combattenti sono formate in parte più che consistente da stranieri.
I combattimenti a sud
Le truppe in sostegno del governo di Bashar Al Assad hanno riconquistato a sud la cittadina di Sheikh Miskeen, dove hanno operato la quindicesima Brigata della quinta Divisione Armata e la settima Divisione Armata dell’Esercito siriano e le milizie delle National Defense Forces di Izra’a. La cittadina, benché non grande, è di importanza strategica perché è sullo stretto corridoio che conduce a Dara’a. Era la più importante città del sud ancora controllata dagli antigovernativi e la sua riconquista ha consentito la liberazione di altre due cittadine, Nawa e Jassim.
Il fronte del sud, e la riconquista di Dara’a, sono di importanza vitale per due motivi: consentirebbero la dislocazione sugli altri fronti delle truppe qui impegnate; renderebbero possibile la chiusura dei due passaggi di frontiera con la Giordania, da cui sono affluiti sia miliziani sia armamenti, in misura minore che dalla Turchia ma comunque consistenti. L’attacco a Sheick Miskeen ha portato alle vibrate proteste del rappresentante speciale della Gran Bretagna in Siria, Gareth Bayley, il quale ha lamentato che la Russia e le truppe governative avevano portato un furioso attacco alle forze di opposizione moderate. Il sud della Siria è infatti assegnato nelle mappe della guerra, e sui media occidentali, al controllo della FSA (Free Syrian Army), descritta a torto dall’inizio della guerra come componente autoctona democratica non collegata in alcun modo con i gruppi islamisti. Ma il gruppo Ahrar al-Sham ha rilasciato in rete foto e video della propria partecipazione nella presa della base militare della 52esima Brigata in prossimità di Dara’a. Una conquista che il Free Syrian Army si era accreditato.
Non vi è di fatto alcuna proporzione numerica (né di capacità militare) tra FSA e Ahrar al-Sham, il più forte gruppo del Fronte Islamico impegnato in Siria che dice di essere una formazione militare, politica e sociale islamica e i cui obiettivi sono la cacciata di Assad e l’instaurazione di uno Stato Islamico la cui sola sovranità e la cui legislazione rimandano direttamente all’“Onnipotente Sharia di Allah”. Motivo per cui, per opportunità strategica, il Free Syrian Army affianca praticamente ovunque gli islamisti.
I combattimenti a nord
Nel nord i gruppi islamisti sono pressati sul fronte est dalle truppe delle Syrian Democratic Forces (SDF), alleanza sostenuta dagli USA formata da milizie curde, assire (siriaci cristiani), arabe, turcomanne e armene. Nel territorio controllato o riconquistato, le SDF sono costituite principalmente dai combattenti curdi dell’YPG (People’s Protection Units), i cui miliziani rappresentano la stragrande maggioranza dell’Alleanza. Le truppe delle SDF hanno da tempo varcato l’Eufrate – limite posto inutilmente dalla Turchia all’espansione curda nel nord della Siria – dirigendosi verso ovest e combattendo sia contro l’ISIS, che controlla il territorio a est di Aleppo, che contro Jabhat al-Nusra e Ahrar al-Sham, stanziati nella parte est di Aleppo e al nord.
Il 4 gennaio le truppe delle SDF hanno conquistato il villaggio di Keshtaar, usato dagli islamisti dei due gruppi quale base di attacco ai territori curdi (regione di Afrin), e il sobborgo di Tel Rafaat, che è qualche decina di chilometri a nord di Aleppo. L’avanzata delle truppe delle SDF è adesso verso ovest, vale a dire verso il corridoio di Aziz dove gli islamisti, e i turcomanni controllati dalla Turchia, cercano di mantenere aperta la vitale via di rifornimento verso la frontiera turca, e dove sono martellati dall’aviazione russa che punta così a interrompere il flusso dei rifornimenti.
La battaglia per Aleppo
Ma le forze siriane - sostenute dai russi - avanzano anche verso Aleppo, stringendola d'assedio e rischiando di provocare una grave crisi umanitaria. La parte nord-ovest della città è controllata da milizie dell’YPG a difesa dei quartieri curdi della città. Qui i miliziani del Fronte Islamico sono asserragliati assieme a quelli di al-Nusra nella zona est, una cui porzione è controllata anche dall’ISIS, che ha spinto la propria influenza tutto attorno all’est e al sud-est della città. Mentre le SDF avanzano da nord verso Aleppo, le forze governative avanzano da sud-est cacciando l’ISIS villaggio per villaggio e cercando di controllare l’autostrada che da Aleppo conduce a sud verso Homs. Un’eventuale riuscita del blocco del corridoio di Aziz, sotto i bombardamenti russi e l’avanzata delle SDF, taglierebbe i rifornimenti agli islamisti di Aleppo, facilitando la riconquista dell’intera città. Compito che sarebbe grandemente facilitato anche dalla maggiore disponibilità di truppe se le forze governative riuscissero a conquistare Dara’a nel sud, chiudendo così la frontiera giordana.
Quella di Aleppo è la battaglia risolutiva. Con il corridoio di Aziz chiuso e la città interamente ripresa gli islamisti non avrebbero più nulla in mano su cui trattare a Ginevra. Aleppo, in quanto seconda città della Siria per importanza e popolazione, è dunque la chiave di volta. Militarmente ci sarebbe infatti un fronte compatto che marcerebbe da ovest e sud-ovest (forze governative) e da nord e nord-ovest (le truppe SDF) per spingere l’ISIS verso il deserto e l’Iraq.
Il problema è che Aleppo è densamente popolata e non si può quindi procedere con massicci bombardamenti sulle posizioni islamiste. Le sorti della battaglia sono quindi affidate alla chiusura dei rifornimenti dalla Turchia, alla precisione dei bombardamenti mirati russi (iniziati da ottobre e intensificati) e dall’avanzata villaggio per villaggio e casa per casa.