Televisione
October 26 2017
Voleva fare il calciatore, invece il destino ha scelto per lui e oggi Alessandro Cattelan incarna una delle (poche) solide certezze della televisione italiana. Non è “il presentatore del futuro”, come molti si ostinano a ripetere ossessivamente da anni, ma il conduttore del presente, con uno stile tutto suo in cui mixa gioco di sottrazione, ironia e ritmo. La sua unicità? Essere passato dalla gavetta alla consacrazione definitiva senza strappi o passi falsi e quasi senza giocare il ruolo di mediano di successo (com’è capitato invece a molti suoi colleghi). Panorama.it l’ha incontrato alla vigilia dei Live Show di X Factor 11, al via da giovedì 26 ottobre – tra gli ospiti di questa edizione anche i Negramaro, Sam Smith, Noel Gallagher, Dua Lipa, Harry Styles e le Ibeyi – per capire come sarà la sua settima volta sul palco del talent show di Sky Uno.
Alessandro, togliamoci ogni dubbio: l’hai evitata la crisi del settimo anno con X Factor?
(ride) Nessuna crisi, nessuna voglia di lasciare. È bello tornare, perché X Factor è facile da fare: in fondo basta contare fino a 12, come il numero dei concorrenti - nella prima puntata, poi 11 nella seconda…solo la doppia eliminazione mi crea problemi di calcolo. Al netto di ogni ironia, la parte difficile è dare personalità a quello che faccio, trovare un tono mio.
Il paradosso è che in questo contesto lo fai giocando di sottrazione, con una conduzione molto asciutta.
Proprio perché non ho tanto gioco, per provare a lasciare il segno devo inventarmi qualcosa, trovare un modo e uno stile. Qui gioco di sottrazione, perché è la cosa migliore da fare: non sono io il protagonista. E poi c’è Cattelan invece è l’apoteosi del mio ego.
Come te lo spieghi il successo di X Factor nonostante dieci edizioni alle spalle?
Col fatto che è un programma realizzato da eccellenze, in tutti i suoi settori - a cominciare dai giudici - per cui la cosa più probabile è che vada bene. Il mio ruolo all’interno di questa macchina è veramente un po’ quello di smistare il traffico: le parti dove so che ci devo mettere tanto cervello, sono altre.
“Sono una versione pro di quello che prova davanti allo specchio con la spazzola in mano”, hai detto di recente. Eccesso di modestia?
No, anche perché non sono per niente modesto. Dicevo semplicemente che ho fatto tutto da autodidatta ma cercando di non andare allo sbaraglio. Ero giudice e giudicato di me stesso: provavo da solo a fare delle cose prima di esibirmi in pubblico, per capire cosa davvero ero all’altezza di fare.
L’Ale Cattelan di Tortona, quello che il sabato pomeriggio faceva lo struscio in centro, cosa sognava di fare?
Il calciatore. Di base sono un fallito perché non ci sono riuscito. Ho rimediato con un piano b che per adesso mi sta andando bene.
Dunque non sognavi nemmeno di condurre Sanremo? Cattelan-Festival è ormai un’ossessione per molti addetti ai lavori.
Vi giuro che ve lo dico quando capita: per ora non me l’ha mai chiesto nessuno di condurlo. È una fissa di voi giornalisti.
Però è assodato che l’ex direttore generale della Rai, Antonio Campo Dall’Orto, ti stimi molto. Ci sono mai stati abboccamenti per un passaggio in Rai?
Mai stato alcun contatto. Sky è il posto dove posso fare al meglio le cose che ho in mente. Ci sono stati tempi duri prima, ce ne saranno ancora probabilmente: ora vivo quella fase in cui ho l’obbligo morale, la responsabilità di fare bene quello che ho in mente.
A cominciare da #EPCC, che riparte a gennaio. Novità?
Cominciamo con uno speciale natalizio, il 26 dicembre, poi la stagione quotidiana da gennaio. Non è facile perché ogni anno dobbiamo trovare idee migliori e ospiti che si prestino a mettersi in gioco. È partito come un programma molto scritto, perché aveva bisogno di precisione per funzionare: ora è un cazzeggio, per quanto molto preparato e ben fatto.
All’orizzonte si staglia però la tua prima sit-com, sempre con Sky. Di che si tratta?
È un’idea talmente figa che non posso dire nulla altrimenti me la rubano. La stiamo scrivendo e ci sta dando molta soddisfazione. Siamo curiosi e spaventati perché non è un terreno che conosciamo a fondo, ma ci vogliamo provare.