Economia
October 02 2021
Insulti, accuse e minacce, specialmente tramite i social, sembrano ormai far parte del modo in cui si esprime il dissenso. Dopo l'articolo del 28 settembre intitolato "Da Alitalia a Ita, ovvero dal mondo protetto al mercato reale" si è scatenata una pioggia di messaggi indignati che ci hanno accusati di fare "killeraggio", di "insultare i lavoratori", di "odiare Alitalia", d'essere "filo-governativi" e altro ancora. Nulla di più falso; è impossibile ignorare il dramma di migliaia di famiglie che saranno colpite dalla fine di Alitalia, e di chi non troverà assunzione presso la nuova Ita. E questo indipendentemente dal ruolo che ricopriva nella compagnia, ma certamente con particolare attenzione nei confronti di chi, da operatore di terra, certo non prendeva un grande stipendio. Lavoratori ai quali – proprio per esperienza diretta – va tutta la solidarietà.
Ma non bisogna dimenticare il mondo reale, il fatto che Alitalia, uccisa da pessimi management, da troppa politica ma anche da altro, è ora finita. Ed anche che nel mondo del lavoro le risorse umane sono necessarie alle imprese (le compagnie aeree sono tali e devono fare utili), per realizzare i loro progetti industriali. Non il contrario. Per troppi anni infatti si è cercato di mantenere grande un'impresa partendo dall'avere a disposizione decine di migliaia di addetti, facendo finta di ignorare, attraverso magheggi e maquillage, che sarebbe stato impossibile portare in positivo il bilancio della compagnia. Perché l'importante era altro, era mantenere lo status quo, usare le persone per conquistare voti, tenere sul pennone della politica certe bandiere anche se il mondo stava cambiando, e quello dell'aviazione è da sempre tra i più rapidi a evolvere. E pasare la palla rovente al prossimo governo.
Non è un caso se oggi, alla vigilia delle amministrative, nessun politico osa rischiare di divenire impopolare dicendo la verità: in Ita non ci sarà spazio che per taluni, e gli altri dovranno arrendersi alla possibilità di essere aiutati da ammortizzatori sociali. Ma soprattutto dovranno avere il coraggio di mettersi in fretta sul mercato se intendono restare nel comparto aeronautico. Perché a questo proposito c'è una buona notizia: il mercato si sta riprendendo dalla più pesante batosta dalla fine della Seconda guerra mondiale e richiede specializzazioni e competenze che vengono riconosciute in ogni parte del pianeta. Certo, l'aviazione non offre quasi mai il lavoro sotto casa, è proprio una delle sue caratteristiche. "Fà esplodere i confini" come disse Le Corbusier nel 1927, e "Rende il mondo più piccolo" come scrissero Saint Exupéry e Howard Hughes. Nei soli Stati Uniti l'aviazione movimenta ogni anno oltre 45.000 persone che cambiano stato, casa, abitudini per seguire il loro lavoro. Una trasformazione che in Italia forse non dovevamo permettere perché non siamo pronti, ma che, come dicono proprio gli americani, "quando nel mondo sei rimasto l'unico a fare una cosa in certo modo, o sei un genio oppure un idiota".
E ora il conto da pagare non è soltanto nelle tasse degli italiani come lo ricordiamo da oltre vent'anni, comprese quelle dei dipendenti Alitalia e di chi lavora nell'indotto, ora ce ne sarà uno più amaro da digerire che è destinato a portare effetti negativi su tutta la società.
Ma in quanto ad aviazione l'Italia ha fatto in modo che per le imprese nazionali non fosse più conveniente operare, ha spalancato le porte ai vettori esteri; la politica per decenni ha messo nelle posizioni chiave gente che di trasporto aereo nulla sapeva, non ha mai chiamato da grandi compagnie in attivo chi avrebbe saputo agire perché costui avrebbe fatto ciò che oggi ci si rifiuta di accettare. Siamo il Paese che quando si parla di sviluppo tutti vogliono un aeroporto, ma nessuno lo vuole vicino casa sua. I nomi di dirigenti e politici che ci hanno portato fin qui sono noti, forse certi messaggi andrebbero inviati a loro.