Alitalia, esuberi e tagli: ecco perché la compagnia non decolla

Ci risiamo: Alitalia-Cai chiede ai sindacati l’approvazione di un piano di riorganizzazione per risparmiare 30 milioni, mette sul piatto 690 esuberi e chiama a gran voce maggiore produttività . Non sono passati nemmeno quattro anni da quando i patrioti guidati da Roberto Colaninno facevano risorgere con il Piano Fenice la nuova società AlitaliaCai: imprenditori privati, oltre un miliardo di investimento, un partner industriale come AirFrance-Klm (al 25 per cento) e soprattutto nessun debito a tirare il freno (le perdite erano state scorporate e la vecchia Alitalia ha seguito il suo corso fallimentare).

Alitalia-Cai era decisa a non ripetere il fallimento da 2,3 miliardi di euro della storica compagnia aerea tricolore, ma pur essendo oggi ben lontana dal ripetere quello scempio si trova ancora davanti a una strada in salita. Perché?

I sindacati tirano per la giacca l’amministratore delegato Andrea Ragnett i e la proprietà “che non ha effettuato gli investimenti promessi”. La compagnia mette sul piatto problemi congiunturali come la crisi internazionale, l’insostenibile caro-petrolio, l’aggressività dei vettori low cost e adesso anche dei treni veloci. E gli esperti del settore, pur riconoscendo gli sforzi e i risultati ottenuti in tale contesto, ammettono che qualche scelta strategica obiettivamente è parsa strana e un po’ affrettata.

L’elenco degli “errori” comincia dalla scelta di utilizzare il poco attrezzato hub di Fiumicino per il lungo raggio, che in poco tempo ha fatto perdere tre milioni di passeggeri di transito, ma soprattutto l’aver voluto concentrare gli sforzi sulle rotte nazionali e su quelle a medio raggio senza avere una struttura tanto snella da poter competere con le più aggressive compagnie low cost.

“Sia RyanAir che Easyjet hanno in Italia il loro secondo mercato per rendimento e tutte le maggiori grandi compagnie aeree internazionali dispongono di un marchio low cost operativo” spiega Oliviero Baccelli, docente di economia e politica dei Trasporti all’Università Bocconi di Milano. “Alitalia ha provato a inserirsi nel segmento mantenendo l’insegna AirOne, ma pur avendo ottenuto buoni risultati sulle tratte Venezia, Malpensa e Pisa è sempre rimasta un “quasi”. Una via di mezzo”. AlitaliaCai ha quindi cercato di rimediare con la trattativa poi fallita per rilevare WindJet ? “Probabile, ma in questo caso credo che il problema sia stato l’opacità dei conti del vettore siciliano”.

E allora, punto e capo. AlitaliaCai ha bisogno di snellirsi e di riorganizzarsi ancora. La compagnia annuncia nuovi voli, nuove campagne di comunicazione, marketing aggressivo affidato al braccio destro di Ragnetti: Gianni Pieraccioni “ma chiede nuovi tagli, non investe e soprattutto esternalizza molti servizi: dalla manutenzione pesante sugli aerei dei voli intercontinentali (svolta da una società israeliana) ai quella sui carrelli, ormai passata ai francesi” sottolinea Antonio Cepparulo, sindacalista della Filt Cgil. “Questo non può essere considerato un piano industriale, soprattutto quando chiediamo da sempre di investire sul lungo raggio, perché sono questi i voli più redditizi. Diversamente, non potrà reggere il confronto con le low cost” peraltro favorite da tariffe più accessibili o addirittura incentivate dagli aeroporti periferici.

La semestrale di giugno presentata da Ragnetti ha pur mostrato qualche segnale incoraggiante: mantenuta la quota di mercato, ricavi cresciuti del 4,1 per cento (a quota 1,686 milioni), alto fattore di riempimento degli aerei (al 71,1% con un aumento di 3,4 punti), ma ancora una perdita secca di circa 200 milioni di euro. L’amministratore delegato prevede di migliorare i conti nel 2013 e arrivare agli utili nel 2014, ma la congiuntura economica mondiale lo costringe a limare dove può per recuperare 30 milioni.

“Chiediamo soprattutto più produttività” spiegano in azienda. Una contropartita da definire con i sindacati in cambio della rinuncia ai tagli? Si vedrà. Intanto le parti si ritroveranno ancora lunedì prossimo per la trattativa: da una parte Alitalia-Cai, su cui pesano 14 mila dipendenti (erano 20mila quelli di Alitalia) di cui 2.500 ereditati ad AirOne. Dall’altra i sindacati, che dopo aver visto languire i 7500 esuberi della vecchia compagnia di bandiera prima in cassa integrazione e oggi in mobilità, non sono disposti ad accettare altre sforbiciate. Soprattutto, non si ha notizia di eventuali placet governativi ad un ulteriore utilizzo degli ammortizzatori sociali.

“Ho conosciuto tutti gli amministratori delegati di AlitaliaCai e tutti si sono spaccati il cervello per far decollare la compagnia, compiendo sforzi incredibili” continua Baccelli “L’azienda non ha torto quando lamenta la situazione economica difficile, il prezzo del petrolio in euro che è aumentato nell’ultimo anno del 30 per cento, la concorrenza agguerrita e le condizioni impari in cui si trova ad operare”. I sindacati lamentano mancati investimenti? “La flotta AlitaliaCai è tra le più nuove, anche se adatta al medio raggio. E bisogna valutare che il potenziare la flotta intercontinentale avrebbe comportato costi ben maggiori, sia in termini di aeromobili che di servizi e organizzazione” sottolinea ancora il docente  “Poteva davvero permetterselo l’azienda? Io cito soltanto un dato: il piano industriale Fenice prevedeva la ripresa dei voli a un prezzo che la crisi ha impedito di mantenere. Oggi quel prezzo è inferiore del 15 per cento”.

Se c’è un errore che però AlitaliaCai ha davvero commesso, è quello di aver abbandonato Malpensa per puntare su Fiumicino: “La compagnia doveva necessariamente riorganizzare i servizi e ridurre i costi, perché mantenere due hub per il lungo raggio è davvero troppo (soltanto Lufthansa ne ha due). Purtroppo ha scelto affrettatamente lo scalo romano, tenendo conto del fatto che la gran parte dei dipendenti ha base a Roma” Risultato? Presi tre milioni di passeggeri di transito perché lo scalo, poco attrezzato ed efficiente per il transito, ha spinto i viaggiatori a guadare altrove: “Piuttosto che affrontare disagi, i passeggeri dei voli intercontinentali hanno scelto di cambiare a Zurigo, Parigi, Francoforte”.

Rimediare oggi è difficile. E nell’attesa che il direttore marketing Pieraccioni tiri fuori il suo coniglio dal cilindro, i sincadati chiedono che anche la situazione Alitalia venga analizzata nel corso del tavolo ministeriale che ha acceso un faro sulla crisi del comparto. Il sottosegretario Guido Improta ha già promesso “condizioni uguali per tutti ” per mettere fine alla deregulation che favorisce le compagnie straniere low cost. e il decreto sviluppo taglierà di netto i privilegi di cui ha goduto sino ad oggi RyanAir . Basterà?

Quello che tutti temono è che AlitaliaCai arriverà alla scadenza del lock Up nel 2013 (ovvero la data entro la quale i soci della cordata Colaninno si sono impegnati a non rivendere ad altri le loro quote) di nuovo indebolita, non alleggerita dal personale eccessivo bensì “anoressica e incapace di un rilancio” aggiunge ancora Cepparulo. I soci minori sono già pronti a vendere e già si agita in giro lo spettro di una “svendita” ad AirFrance, che aumenterebbe la sua quota a prezzo di saldo. “Non è detto che vada proprio così. La crisi è generalizzata e sia AirFance che Lufthansa hanno i loro problemi di bilancio. I francesi devono razionalizzare il loro modello e i tedeschi da gennaio riorganizzarenno le rotte brevi e medie per favorire il loro brand low cost” spiega Baccelli.

E allora il timore aumenta: e se AirFrance non comprasse? E se Alitalia non trovasse i partener giusti? Sarebbe la crisi dopo l’ennesima crisi e via rotolando verso il basso? “Nessuno ha la sfera di cristallo. Di certo Alitalia ha bisogno di un partner industriale e dovrà trovarlo: inutile illudersi. I piccoli soci lavorano in altri settori e non possono portare valore aggiunto nell’interazione con i sistemi finanziari. Benetton dovrà scegliere se mantenere la sua quota in Aeroporti di Roma o in Alitalia e io ritengo che negli aeroporti trovino un business più simile e complementare a quello delle Autostrade Spa. Chi resterà? Un socio forte, probabilmente, capace di dialogare con possibili finanziatori negli ambienti giusti”.

Quali, non è dato sapere. Di certo le uniche compagnie aeree in attivo oggi si trovano In Medio Oriente e in Asia e qui bisognerà guardare. Etihad Airways, il vettore degli Emirati Arabi, ha già acquisito partecipazioni in AirLingus e soprattutto in AirBerlin, ma la vera sfida è arrivare al confronto con eventuali partner presentando una compagnia appetibile e conti in salute. “L’orizzonte delle ipotesi è ampio” conclude Baccelli “D’altronde, chi mai avrebbe pensato che l’Italia avrebbe chiuso il 2011 con una perdita di due punti e mezzo di Pil?”.

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