Politica
June 30 2020
Da 20 anni a questa parte la brama politica di mettere la parola "fine" in calce alla questione Alitalia non ha risparmiato proprio nessuno. Tra nazionalizzazioni, mancate privatizzazioni, fondi pubblici, investimenti privati, cordate, partner e commissariamenti vari la "fu" compagnia di bandiera, oltre ad aver inghiottito qualcosa come 40 miliardi di soldi pubblici, ha rappresentato la spina nel fianco e l'occasione mancata per l'intera classe dirigente nazionale.
L'ultimo, in ordine di tempo, ha pronunciare l'archidemico "Eureka" sulla questione è stato l'attuale premier Giuseppe Conte che, per l'ennesima volta nella storia di Alitalia, ha dichiarato di aver trovato l'uovo di Colombo per risollevare la compagnia aerea e chiudere il dossier.
Dopo aver approvato un nuovo stanziamento a favore di Alitalia all'interno del cosiddetto Decreto Rilancio Conte ha battezzato la nascita della "newco" precisando che non sarà "un carrozzone dello Stato".
"Abbiamo un progetto – ha dichiarato Conte - nascerà una newco che non sarà un carrozzone di Stato, ma un nuovo soggetto che dovrà riuscire a interpretare quello che è lo spazio di mercato attualmente disponibile". Il finanziamento a questa newco sarà di (altri) 3 miliardi di euro che arriveranno dal Mef mentre ancora non sono noti né i dettagli societari né la mission e il piano industriale.
Questo soggetto dal potere apotropaico nei proclami del premier rappresenta la salvezza del vettore un po' come negli intenti – andando a ritroso nella storia – lo era stato Etihad Airways durante il governo Renzi. Era il 4 giugno del 2015 quando un agguerritissimo e ottimista Matteo Renzi nel corso della conferenza stampa di presentazione della nuova Alitalia diceva: "Allacciatevi le cinture, perché stiamo decollando davvero, piaccia o non piaccia a chi passa il tempo a lamentarsi. Stiamo rimettendo il Paese a correre come deve correre".
Anche per Renzi il fil rouge era quello del differenziarsi dagli errori del passato creando una "discontinuità" propedeutica alla rinascita della compagnia. "È arrivato il momento in cui qualcuno deve fare tesoro degli errori del passato – diceva l'allora premier – e avere una partnership strategica solida, delle persone di qualità e provare a scrivere una pagina del futuro, in tutti i settori. Adesso il futuro inizi davvero e quindi grazie per la decisione di Etihad di credere nel futuro dell'Italia e di Alitalia".
La solennità del momento aveva evocato la nota poetica della prosa dell'ex piddino: "Il decollo di Alitalia è il decollo dell'Italia, il decollo dell'Italia è il decollo di Alitalia. Se decolla Alitalia, viva l'Italia. Dovete tornare a crederci e impegnarvi perché è finito il tempo in cui, anche in questo settore, bastava lamentarsi e ci dicevano che ormai l'occasione l'avevamo perduta. Fuori continueranno a dirci che è il tempo del piano e del rimpianto. Io dico che lavorando duro l'Italia riprende il volo. Buon lavoro, buon volo, buona strada".
Luca Cordero di Montezemolo, in quel momento, era il presidente della compagnia e anche per lui il futuro del vettore nazionale era tutto rose e fiori: "Alitalia ha vissuto momenti difficili, addirittura drammatici. Ma ha tutte le condizioni per guardare al futuro con ottimismo". "Etihad rappresenta un partner perfetto" per "lasciarsi alle spalle momenti difficili". l'obiettivo e' "fare un grande sforzo per portare l'Italia nel mondo ma anche il mondo in Italia", disse. Come è andata a finire è storia recente.
Ma non sono stati solo Conte e Renzi a credere di aver risolto il cubo di rubrick della questione.
Giusto il predecessore di Renzi, Enrico Letta, aveva usato toni analoghi a fine 2013 quando, puntando il dito contro chi lo aveva preceduto asseriva: "In tutta questa vicenda non si può prescindere da un giudizio molto critico su tutta la storia recente di Alitalia, in particolare sul problema dal quale è partito tutto, dalla scelta nel 2008 di abbandonare l'ipotesi Air France per perseguire una strada solitaria. Una strada condizionata dall'obiettivo dell'integrazione coatta di Alitalia con Air One, che aveva alla base la volontà di salvare Air One".
Da qui "L'eureka" circa la perfetta ricetta per il rilancio: "Il futuro della compagnia è nell'integrazione in una grande alleanza internazionale e in questo modo possiamo legittimamente ritenere di arrivare a quell'obiettivo con un assetto più solido, con più forza. E l'obiettivo ora è un cambio radicale del piano industriale, una discontinuità forte a tutti i livelli. Basta con l'Alitalia solitaria modello 'nobile decaduta'. Bisogna andare a negoziare non più con il cappello in mano, l'integrazione in una grande alleanza internazionale. E bisogna farlo in tempi rapidì". In questo caso si paventava una spinta agli investimenti dei privati nel vettore con l'intervento della cordata di salvataggio di Poste Italiane.
Continuando a riavvolgere all'indietro il nastro delle dichiarazioni politiche a mezzo stampa circa la soluzione del tema con la rinascita dell'araba fenice nei cieli tricolore s'incontra Mario Monti che disse: "Bisogna distinguere tra italianità di un'impresa e italianità dei proprietari di un'impresa". Per poi specificare: "Nel caso ad esempio di una grande compagnia aerea l'italianità è servire a legare bene il Paese, in questo caso l'Italia, con il resto del mondo in tutti i punti che sono rilevanti per il turismo, per i commerci".
Per questo, secondo Monti, serviva "una soluzione aziendalmente forte: mi sembra che sia molto più importante questo che non la nazionalità della società o delle società che detengono le quote di patrimonio di Alitalia. Nel giro di qualche anno i livelli occupazionali torneranno quelli che erano prima".
Era il gennaio 2013 e, dopo la scadenza del lock up, le azioni Alitalia sembravano carta straccia. L'ipotesi sul tavolo era quella di cedere Alitalia a Air France Klm.
Il decennio precedente era stato invece completamente dominato dal tira e molla tra i due protagonisti del bipolarismo (im)perfetto all'italiana ovvero Silvio Berlusconi e Romano Prodi . Entrambi hanno utilizzato il tema Alitalia come ariete elettorale in più occasioni ed entrambi hanno, in un modo o nell'altro, fallito nell'intento di trovare la quadra del cerchio.
Il pasticcio Alitalia, infatti è frutto di una lunga e travagliata gestazione che dura da 20 anni, da quando nel 1998, durante il governo Prodi (già due volte presidente dell'Iri e uno dei maggiori economisti industriali d'Europa), si cercò di affiancare il vettore italiano a una compagnia di bandiera in forte ascesa, come l'Air France, per acquisire quote di mercato e resistere alla forte concorrenza privata dovuta alla deregulation americana e britannica, che di lì a poco avrebbe portato al boom delle compagnie low cost. Questo fallimento industriale e finanziario alla fine è costato ai contribuenti 7 miliardi di euro.
Eppure Prodi è sempre stato convinto che quella sarebbe stata la strada maestra come ribadito a commento dei fatti del 2009 con la strada Cai intrapresa, invece, da Berlusconi.
"Sono arrivati i capitani coraggiosi e il disastro che hanno fatto mi sembra abbastanza chiaro ed evidente, è costato al Paese 5 miliardi". I capitani coraggiosi cui faceva riferimento l'ex premier erano gli imprenditori (tra i quali il duo Colaninno-Sabelli, Marco Tronchetti Provera, Angelucci, Corrado Passera, Enrico Salza, Carlo Toto e Salvatore Ligresti) che nel 2009 furono chiamati a raccolta da Silvio Berlusconi per partecipare al risanamento della compagnia aerea diventando azionisti di quella che poi divenne Cai, Compagnia aerea italiana.
"Nel 2007 avevo cercato – dichiarava Prodi - vista la situazione dell'azienda, tutti gli accordi che avrebbero potuto renderla forte e che le avrebbero permesso di resistere sul mercato. Prima c'era stata una lunga trattativa con Lufthansa, abituata ad avere diversi hub: la cancelleria era favorevole, ma il consiglio di sorveglianza disse che non voleva avere a che fare coi sindacati Alitalia", ha ricordato Prodi.
Secondo Prodi la crociata berlusconiana sull'italianità di Alitalia è stato un errore strategico fondamentale.
Eppure il Cavaliere aveva trovato il claim vincente: "Io amo l'Italia, io volo Alitalia".
Il progetto di tornare a italianizzare Alitalia cosi quel che costi lo aveva spiegato in campagna elettorale lo stesso Berlusconi dichiarando: "Se Alitalia cadesse nelle mani di Air France tanti turisti finirebbero a visitare i castelli della Loira invece che le nostre città d'arte".
Da qui il progetto Cai (che poi è andato a finire male) con quella cordata di investitori definiti dallo stesso ex premier "patrioti".
Anche Berlusconi aveva pensato di aver trovato la formula magica per salvare Alitalia profetizzando che grazie ai nuovi investimenti "potranno aumentare il numero dei dipendenti assunti che, sono sicuro, in futuro salirà. Così come l'indotto".
Succedeva 10 anni fa e da allora il buco nero Alitalia non solo si è allargato invece di stringersi ma ha anche divorato soldi, speranze e progetti di politici più o meno visionari.