Calcio
March 11 2024
La brusca frenata della Juventus nel cuore dell'inverno - 6 punti in 7 partite e pure col fiatone - ha riportato i bianconeri più vicini alla dimensione reale della rosa rispetto ai mesi del duello scudetto con l'Inter. Solo i critici a prescindere, servi del proprio pregiudizio, possono insistere sul fatto che al record del monte ingaggi corrisponda una presunta e mai dimostrata superiorità quantitativa e qualitativa degli uomini a disposizione di Allegri per correre in questo campionato.
Poi ci sono numeri e circostanze che riportano il dibattito alla realtà dei fatti. La Juventus battuta a Napoli in extremis era la più giovane dell'ultimo trentennio con un'età media poco superiore ai 26 anni e quella fermata dall'Atalanta è partita con a centrocampo con Cambiaso, Miretti e Iling-Junior e con in panchina un'infornata di di ragazzini. Gasperini non avrebbe fatto cambio e nemmeno uno tra Inzaghi, Pioli, De Rossi, Sarri, Italiano e Calzona per restare alla parte sinistra della classifica.
Anomala era la Juventus in lotta con l'Inter, insomma, non quella che vivacchia tra secondo e terzo posto. I critici ribattono che, senza coppe europee e non nel piano del caos societario, questa squadra ha un punto in meno rispetto a quella del 2023 ma, servi del proprio pregiudizio, omettono di ricordare come rispetto a quella sia anche depotenziata dagli addii di Di Maria (40 presenze, 8 gol), Cuadrado (47 presenze) e dall'assenza forzata di Fagioli (37 partite) e Pogba. Insomma, meno forte causa un mercato condotto all'insegna delle cessioni per cercare di limitare i danni economici.
Messi in fila i numeri, però, non si può non ragionare su quello che sta trasmettendo Massimiliano Allegri in questa fase della stagione. Il pragmatismo dell'autunno ha lasciato spazio a un triste low profile che si scontra con quanto questa stessa Juventus depotenziata ha comunque mostrato di poter fare. Perso lo scontro diretto con l'Inter, è crollato il castello emotivo che teneva in piedi tutto e il tecnico sta faticando a restituire identità e motivazioni a un gruppo di cui non si capisce in campo quale sia il piano partita.
Incassare gol a ripetizione su situazioni di schemi di palla inattiva non preparati non fa fare bella figura a nessuno, Allegri prima di tutto. Attaccare in maniera estemporanea come se non ci fosse un modello da seguire, nemmeno. Ostinarsi a definire "buone prestazioni" performance appena sopra (o sotto) la sufficienza crea un senso di disorientamento così come fare il conto alla rovescia dei punti che mancano per toccare la fatidica quota 70 che vale il ritorno in Champions League.
Era il mandato richiesto dalla società a inizio stagione e Allegri ha fatto bene a ricordarlo nel momento in cui tutti spingevano per altro, ma c'è modo e modo di arrivarci e quello invernale non è accettabile. Il futuro pesa, la sensazione di precariato e di dibattito aperto a tempo indeterminato tra conferme e illazioni, pure. Le parole di Giovanni Branchini, agente di Allegri, che ha attaccato la dirigenza hanno segnato un punto di non ritorno spalancando il vaso di pandora. L'#AllegriOut non è più solo un tema da social, ma un evidente topic interno alla dirigenza: prima si chiarisce, meglio è. Perché i numeri sono ancora dalla parte di Allegri - a volerli leggere con distaccata onestà intellettuale -, ma la china presa dalla stagione juventina è da fine regno con caduta dell'imperatore. E rischia di far gettare al vento quanto seminato prima.