Allegri, le dimissioni esistono (e si possono dare)

Nella notte più buia della storia recente della Juventus, umiliati dal Maccabi Haifa e con un piede e tre quarti fuori dalla Champions League, in mezzo a una crisi che pare irrisolvibile e che sta bruciando come un falò la stagione del centenario della proprietà Agnelli, il numero uno del club Andrea e il tecnico Massimiliano Allegri sono stati compatti in una sola cosa: confermare che non ci sarà cambio in panchina e che si va avanti così. Punto.

Uno (il presidente) spiegando che le responsabilità sono di tutti e non di un'unica persona, l'altro (l'allenatore) dichiarando che non ha mai pensato alle dimissioni per poi riattaccare il disco ormai rotto della necessità di "stare in silenzio e lavorare", come se fin qui alla Continassa si fosse scherzato e basta. Tutto intorno il mondo bianconero crolla e mentre la scelta di Agnelli può anche essere interpretata come il tentativo del responsabile numero uno del club di salvare quello che si può salvare, partendo dagli investimenti fatti con e per il tecnico, il rifiuto di Allegri di prendere atto della realtà suona come il barricarsi egoista di un uomo che ha fallito nella missione per la quale si era proposto ed era stato richiamato.

Dicono gli allenatori che la prima cosa che viene insegnata a Coverciano è che un tecnico non si dimette mai. Nemmeno di fronte a una catastrofe sportiva. Una sorta di autodifesa passivamente accettata dal mondo del calcio e che, invece, rappresenta un privilegio ormai fuori dalla storia. Nel mondo reale un manager che fallisce va a casa e dimettersi un minuto prima di essere cacciato consente di trattare una buonuscita ricca e di evitare l'onta del licenziamento. Nel mondo del calcio succede l'esatto contrario, ma non è vero che nessuno ha mai rotto il muro.

Allora sarà bene ricordare a Massimiliano Allegri che alcuni suoi colleghi, messi difronte all'evidenza di un rapporto non più sostenibile con il proprio ambito lavorativo, il passo indietro lo hanno fatto. Con onestà intellettuale e dignità. Saranno pochi esempi, ma ci sono e non tutti con le garanzie e la copertura del livornese che rimane aggrappato alla panchina della Juventus condizionandone le scelte. E' ovvio che lunghezza e onerosità del contratto concessogli siano stati un errore di Agnelli, che ne dovrà rispondere agli altri azionisti, ma l'immagine di un allenatore che nega l'evidenza del suo fallimento non arrivando a trarne le conclusioni è uno spettacolo poco edificante.

Cosa serve di più per capire che il tempo è scaduto? Alla Juventus, forse, la possibilità di non subire conseguenze economiche esagerate dalla scelta di un eventuale esonero. Ad Allegri la coerenza di farsi da parte. Prenda esempio da chi ha avuto quel coraggio, allora: meglio così che attaccarsi addosso l'etichetta di chi non rinuncia a nulla, nemmeno all'assunzione delle proprie responsabilità.

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