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October 15 2024
C’è un corto circuito nel mondo del food italiano. Esiste un prodotto di cui siamo leader mondiali. Un prodotto buono, bello, sano (è un superfood!), dalle mille caratteristiche e utilizzabile in altrettante mille maniere anche in cucina ma… non è di moda. Per usare un’espressione dei giorni nostri, non è cool. È poco esotico. Poco instagrammabile (volete paragonarlo ad una fettina di avocado?). Le mele. Il frutto proibito del Paradiso, l’alimento avvelenato delle favole. Pagherà probabilmente lo scotto di essere visto come l’alimento che fa bene, quello che… toglie il medico di torno. Eppure, è facile da trovare, ha una lunga conservazione e abbiamo la fortuna di essere tra i principali produttori del Vecchio Continente.
Infatti, la più grande area di coltivazione di mele in Europa si trova in Alto Adige: 18.400 ettari (il 2,5% della superficie totale della regione) coltivati da 7.000 aziende familiari ad una altitudine compresa tra i 200 e i 1000 m. Il 10% del raccolto europeo di mele proviene proprio da qui, non solo… una mela biologica su tre a livello europeo è altoatesina. Un lavoro fatto con amore e passione che ha portato a riconoscimenti importanti. Solo in Alto Adige ci sono 13 varietà insignite del riconoscimento IGP, marchio che tutela la provenienza e ne garantisce la qualità. Numeri che danno anche l’idea di quanto importante sia il comparto per il nostro paese.
E se questi giorni sono quelli della vendemmia per chi si occupa di vino, per i produttori di mele è tempo di raccolta; si inizia a metà agosto con la varietà Gala per terminare a novembre con la Pink Lady. Mele che attraverso una precisa tecnica di conservazione (ad atmosfera controllata) mantengono la loro freschezza fino a 8 mesi. Anche se il segreto della loro bontà non è la conservazione ma i 300 giorni di sereno e le 2000 ore di sole di cui la terra dalla quale provengono gode.
Partendo dalla consapevolezza che le mele rappresentano il primo e più importante prodotto di esportazione dell’Alto Adige, quello che ci si chiede è come tante piccole aziende a conduzione familiare siano in grado di muoversi come un organismo unico, con regole condivise che rispettino i bisogni dell’intera filiera. La risposta è in un sistema cooperativistico che si regge sulla collaborazione di persone, aziende ed organizzazioni. È il caso di Consorzi come VOG (nato nel ’45 in tempo di guerra), che da solo riunisce 11 cooperative, di cui fanno parte 4.600 produttori che, su una superficie di 11.000 ettari, raccolgono 600.000 tonnellate di frutta.
L’esempio lampante della forza di questo sistema sta in come hanno reagito, ad esempio, ad una emergenza sanitaria: “Questo fare sistema ci ha permesso nel 2014 di contrastare e bloccare l’emergenza causata dal batterio Colpo di fuoco, una delle avversità fitosanitarie più temute sul melo” dichiara Walter Pardatscher, al vertice del Consorzio delle cooperative ortofrutticole altoatesine Vog… e subito la mente va in Puglia e all’emergenza Xylella che ha colpito migliaia di ulivi. Un territorio e centinaia di aziende che non sono riuscite né ad affrontare, né tanto meno a contenere il contagio proprio per la mancanza di un sistema cooperativistico.
Spetta a loro quindi, ai Consorzi, alle Cooperative il compito di selezionare, conservare (in celle di refrigerazione), imballare e trasportare in tutto il mondo le mele dell’Alto Adige. Mele che raggiungeranno 60 Paesi (in cima Spagna, Germania e Paesi Scandinavi), ricordando comunque che il mercato italiano è il principale con una percentuale media del 40%.
Molte delle mele che oggi mangiamo arrivano dai centri di sperimentazione dove negli anni sono state messe a punto nuove varietà più resistenti e affini alle esigenze del mercato e dei melicoltori.
Walter Pardatscher, direttore del Consorzio delle cooperative ortofrutticole altoatesine Vog aggiunge: “Occorrono 20 anni per studiare una nuova varietà di mela che potrebbe farcela sul mercato. Considerate che solo il 30% delle varietà di mele che trovate oggi in commercio c’erano negli anni ’90. Abbiamo 100 criteri in base ai quali cerchiamo nuove varietà, facendo scouting in tutto il mondo. Quando una simile attività parte si parla di un milione di alberi piantati in ogni parte del globo, in centri di sperimentazione. Si aspetta che crescano e dopo cinque anni si fa la prima degustazione e sì capisce se le caratteristiche sono buone o meno. Poi si fa una selezione del 10%: rimarranno 100.000 alberi che passano al secondo livello. Ne piantiamo un po’ vicini, in modo da capire se la varietà è stabile, se performano bene dal punto di vista dell’immagazzinaggio. Dopo è il momento di un’altra selezione e scegliamo l’1% che verrà piantato in Alto Adige”.
Cosa si cerca oggi?
“Varietà che abbiano bisogno di meno acqua. Questo era un criterio che negli anni ’90 non era richiesto ma che con il cambiamento climatico dobbiamo affrontare. L’innovazione varietale ci permette di garantire il futuro delle mele e dei melicoltori. Investire in ricerca fa sì che si riescano a minimizzare i rischi che i nostri contadini domani si troveranno ad affrontare. Rivoluzionaria ai tempi fu l’irrigazione antibrina, pensata per difendere le gemme dalle gelate che avrebbero potuto comprometterne la fioritura. Un sistema di irrigazione sovra-chioma che ricopre le piante con un sottile strato d’acqua, il quale, congelandosi, racchiude le gemme, isolandole e proteggendole dal ghiaccio esterno”.
Prima, prima di tutto questo, della vendita e dei mercati, della commercializzazione e delle campagne marketing, c’è però la vita nei meleti e il lavoro da fare 365 giorno all’anno. In inverno le piante vengono potate anche per far penetrare nel modo corretto la luce nella “chioma” dell’albero. Attenzione che permette di ottenere dei frutti di qualità e una produzione regolare. In primavera, durante la fioritura si mettono le basi per la raccolta, facendo attenzione sia alle giovani piante, sia che le visite delle api siano in numero sufficiente. Ma soprattutto si monitora l’andamento meteorologico, con le gelate e le grandinate sempre più frequenti. Rimedi sempre validi sono l’irrigazione antibrina e le reti antigrandine. In estate si controlla la regolare densità di insetti e parassiti utili, si diradano gli alberi dei frutti in sovrannumero o danneggiati, in caso di forte siccità si attiva l’impianto di irrigazione a goccia e si falcia l’erba tra i meleti in modo che possa nutrire i microorganismi del sottosuolo. In autunno si vive lo sprint finale durante la raccolta, fatta manualmente dopo aver effettuato un “test di maturazione” per valutare le caratteristiche organolettiche delle mele. Se pensate che il lavoro sia finito qui, sbagliate di grosso. Subito dopo si concima il terreno, le piante più datate vengono estirpate, si arieggia il terreno e in pratica si ricomincia daccapo tutto il ciclo.
Come si aggiunge valore ad un prodotto semplice? Probabilmente ci vorrebbe un cambio di prospettiva nella nostra cultura alimentare, in modo da dare il giusto valore ad un prodotto che per natura nasce anche inclusivo e alla portata di tutti: costa poco ma non vale poco!
Ma cosa vuole conoscere il consumatore della mela? In Alto Adige hanno le idee chiare. Vogliono che parta un’idea precisa nella testa di chi prende in mano una mela Marlene. Vogliono che dietro quel frutto vedano che è stato prima seminato, poi allevato e infine raccolto. La mela vale, in teoria, quanto un formaggio, quanto un vino, a patto che si veda il mondo che c’è dietro. Ci sono varietà diverse, sono figlie dei loro territori dal quale prendono aromi e momenti giusti per essere raccolte. Su queste premesse poggia la scelta del Consorzio Mela Alto Adige e dell’Unione Agricoltori e Coltivatori Diretti Sudtirolesi di istituire il primo corso al mondo per Sommelier della mela. Pensato per conoscerle meglio e per restituirgli il giusto valore, lavorando anche sugli abbinamenti da fare.
Sono tanti i produttori che hanno deciso di affinare le loro conoscenze proprio a livello accademico, approcciandosi alla mela con nuovi strumenti, come la Ruota degli aromi che tiene conto della sua struttura (consistenza della buccia, finezza della polpa, succosità, croccantezza), del suo aroma (erbaceo, fruttato, speziato, floreale, frutta secca, tropicale, agrumi) e del suo sapore (dolcezza, acidità). Tra di loro c’è Alexander Holler, 43 anni, terza generazione di una famiglia di melicoltori che oggi produce dieci varietà diverse. È sommelier della mela dal 2022. È il migliore ambasciatore che l’Alto Adige potesse sperare di avere. È un figlio della loro terra, proprio come le mele.