Lifestyle
January 14 2013
"L'occhio dello straniero vede solo ciò che già conosce": questo risaputo detto attribuito ai dogon, etnia del Mali divenuta in Occidente una delle icone d'Africa, sintetizza benissimo l'approccio al senso di alterità che alimenta oggi la performance turistica nel mondo occidentale. Nella nostra contemporaneità digitale, il mondo è un'immensa galleria di immagini che gli anglosassoni non perdono occasione per definire iconiche: landmark del nostro tempo, allusive, transculturali, autoreferenziali, onnipervasive.
All'autenticità "rappresentata", Marco Aime e Davide Papotti hanno dedicato L'altro e l'altrove , un saggio fra antropologia, geografia e turismo che si divora con voracità, per scoprire fino a che punto la nostra società confeziona giorno per giorno un immaginario turistico a cui aderiamo senza potercene rendere conto. Ogni click del mouse o del nostro cellulare o fotocamera, ne è già una conferma. Cosa stiamo cercando su un motore di ricerca, su una brochure d'agenzia, su una guida turistica? Nella migliore delle ipotesi, un sogno preconfezionato.
Per paradosso, in un mondo che diventa sempre più virtuale il viaggio (perfino quello dei pacchetti organizzati) resta tra le poche esperienze di interculturalità e talvolta di incontro. Quanto ambigua, però. Siamo sicuri di partire per un posto sconosciuto? L'altro e l'altrove, spiegano i due studiosi, è una costruzione, un processo utile a "forgiare l'identità del turista". In un mondo che è ormai un grande atlante di immagini selezionate, pressoché ogni immagine preesiste al luogo. L'auspicata rottura della quotidianità promessa da un viaggio diviene così ricerca di conferma. Vado a vedere "quel" bello.
Gli interrogativi che aleggiano nel terzo spazio fra conosciuto e non-conosciuto occupato dal turismo, non risparmiano nemmeno le forme di viaggio declinato in senso etico e responsabile (salutista, spirituale, naturalistico eccetera). L'utopia dell'alterità è così interna alla dimensione occidental-centrica del fenomeno da alimentare le contraddizioni e il disagio dei "naufraghi dello sviluppo", come Serge Latouche chiamava già vent'anni or sono i turisti del nuovo mondo, nel seminale Il pianeta dei naufraghi .
Una visione irresistibile e dissacrante dello stereotipo turistico è contenuta in uno dei libri più interessanti della scorsa estate, Morte dei marmi di Fabio Genovesi, che in una Versilia archetipica aveva già ambientato i precedenti romanzi Versilia rock city e Esche vive. Al Forte "l'unica soluzione trovata dalla grande industria turistica è stata la stessa pensata dai romani duemila anni fa: la rimozione totale degli indigeni dal paese". Invece lo scrittore continua a viverci, coltivando un rapporto di amore-odio coi versiliesi, "un popolo che vive di turismo e insieme è il meno ospitale del pianeta".
Per recuperare la saggezza che viene dalla strada, il consiglio è aprire a caso l'ultimo tomo di Paul Theroux, Il Tao del viaggio . Celebrando mezzo secolo di vita passata on the road con un taccuino in mano, il grande narratore americano ha compilato un'antologia mischiando stralci delle sue opere con brani dei grandi nomi della letteratura di viaggio, da Conrad a Melville, da Flaubert e Lawrence, da Hemingway a Che Guevara, da Kerouac a Chatwin, da Lèvi-Strauss a Paul Bowles e tantissimi altri. Uno zibaldone entusiasmante per la sua natura non organica, un distillato di intuizioni e piaceri vissuti che si conclude con la rivelazione di alcuni segreti e con personalissimi elenchi sui luoghi più pericolosi, seducenti, felici.
Che poi un luogo è ricordato come felice solo se lo è stato anche il tempo. Perché mentre vendere avventure fa parte dell'industria multinazionale del viaggio, il Tao del viaggio è uno stato d'animo, un'esperienza interiore, metafora della vita. Theroux la riassume in 10 imperativi categorici (il nono è: se devi portarti un cellulare, evita di usarlo). E per la fortuna di chi resta a casa, la gioia di viaggiare stimola quella di leggere e di scrivere (regola n. 7: tieni un diario), se è vero che i racconti di viaggio hanno preceduto tutta la letteratura scritta e orale.
Come disse un celebre non-viaggiatore letterario, Jean Floresses des Esseintes in Controcorrente di Joris-Karl Huysmans, chiunque può "compiere lunghi viaggi di esplorazione stando seduto accanto al camino e, se ne avverte il bisogno, aiutando la mente indolente e refrattaria con un'occhiata a qualche libro di viaggi in terre lontane".
I libri:
Marco Aime, Davide Papotti
L'altro e l'altrove
Einaudi
pp. 240, 17 euro
Fabio Genovesi
Morte dei marmi
Laterza
pp. 142, 12 euro
Paul Theroux
Il Tao del viaggio
Dalai Editore
pp. 345, 19,90 euro