News
September 22 2018
All’inizio sono semplici dimenticanze, un nome confuso, una parola che è lì, sulla punta della lingua, ma che non si riesce a ricordare e pronunciare, un familiare che si fatica a riconoscere fino ad arrivare ad un blackout totale, dove i neuroni iniziano a spegnersi come tante lampadine fulminate. Una malattia invisibile nelle sue primissime fasi iniziali, devastante ed invalidante sia per il paziente che si trova catapultato negli abissi della sua memoria sia per i familiari, i cosiddetti caregiver.
Proprio per questo motivo, nel 1994, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha istituito una Giornata Mondiale contro il Morbo di Alzheimer, celebrata il 21 settembre di ogni anno, per fare luce sulle nove terapie per gli oltre 50 milioni di individui che nel mondo soffrono di questa malattia.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), in base all’ultimo rapporto presentato, nel 2050 i casi di demenza triplicheranno. Ad oggi, l’Italia registra più di un milione di pazienti affetti da demenza, 600mila affetti dal Morbo di Alzheimer pari al 5% delle persone che hanno superato i sessant’anni d’età.
Pian piano si assiste alla morte delle cellule cerebrali a causa di un deposito di proteina beta-amiloide sui neuroni che fanno così fatica ad attivare le loro connessioni. Il Morbo di Alzheimer fa il suo esordio con una lieve perdita della memoria fino ad arrivare alla sua totale assenza. Sono coinvolte le aree del linguaggio e del pensiero logico.
Il paziente incomincerà a non riconoscere più familiari i luoghi in cui vive, a dimenticarsi nomi, a sentirsi disorientato nello spazio, ad avere repentini cambiamenti d’umore, fino a perdere anche la capacità dei freni inibitori. Una malattia che fagocita l’ammalato in una bolla silente facendolo diventare spettatore inerme del suo lento spegnersi.
L’età media di incidenza della malattia è rilevata maggiormente in quei pazienti che hanno tra i 70 e gli 80anni d’età. Ad esserne colpite soprattutto le donne. L'aspettativa di vita è tra gli 8-10 anni dopo la sua diagnosi.
Le cause sono ancora poco chiare anche se la genetica, uno stile di vita poco sano, l’età e l’ambiente circostante in cui si vive ricoprono dei ruoli importanti.
L’attenzione è rivolta alle recenti scoperte scientifiche. Sempre più i farmaci sperimentali passano le diverse fasi per poi arrivare sul mercato. Per ora l’attenzione medica si basa su quella classe di inibitori dell’acetilcolinesterasi e memantina che appartenendo a quei farmaci sintomatici, provano ad arrestare il decorso clinico della malattia.
A questi farmaci se ne associano altri per provare ad arrestare quei sintomi concausali come la depressione o i disturbi del comportamento nonché la regolamentazione del ritmo sonno-veglia che nella fase acuta della malattia cambia completamente.
Attualmente gli studi sono indirizzati verso la creazione di un vaccino che possa fermare la produzione del peptide b-amiloide, responsabile delle placche amiloidi presenti in un cervello affetto da Alzheimer.
Ma un ruolo fondamentale lo gioca soprattutto la prevenzione primaria. In una malattia neurodegenerativa, una diagnosi precoce permette di trattare tempestivamente i primi sintomi così da non far avere alla patologia un rovinoso esordio.
Dopo un’attenta anamnesi clinica, il punto fondamentale da dove partire sono tutti quegli esami diagnostici e strumentali che visualizzano le aree del cervello colpite. Test di laboratorio e visite neurologiche permettono al medico di escludere altre patologie così da poter elaborare il piano terapeutico più adatto e consentire al paziente ed ai suoi familiari una gestione della malattia più consapevole e dettagliata.