Economia
March 29 2018
Tira brutta aria sui colossi del tech quotati a Wall Street. L'ultimo a far innervosire gli investitori che hanno comprato titoli tecnologici è stato, tanto per cambiare, Donald Trump, che è tornato ad attaccare frontalmente Amazon: paga poche tasse (la stessa accusa mossa dalla Ue) e fa chiudere i negozi.
Il titolo nella sola giornata di mercoledì 28 marzo ha bruciato 53 miliardi di dollari di capitalizzazione: gli investitori temono che il presidente USA sia pronto a punire il gruppo. Ma passarsela male in queste settimane sono un po' tutte e gli altri titoli tech quotati alla Borsa di New York.
A partire dalle FAANG, acronimo formato dalle iniziali di 5 grandi big della tecnologia americana: Facebook, Apple, appunto Amazon, Netflix e Google, anche se il nome della holding in realtà è Alphabet.
Martedì 27 marzo, il giorno prima del crollo di Amazon, tutto il settore tecnologico è stato colpito dalle vendite per chiudere con un pesante -1,7 per cento. Cosa è successo? Giuseppe Sersale, resposabile delle gestioni patrimoniali di Anthilia Capital Partners, la spiega così nella newsletter spedita mercoledì 28 marzo agli investitori:
"Un Nasdaq già alle corde per la storia di Facebook e il contagio agli altri social, è stato affossato da una serie di 'single stories' su alcuni esponenti di rilievo del comparto: Nvdia (-8%) ha sospeso i test sulle self driving car; Tesla (-8%) è finita nuovamente sotto inchiesta per un incidente (e oggi crolla per un downgrade del merito di credito); Twitter (-11%) è stata oggetto di un report di un operatore specializzato in short bets (vendite di azioni allo scoperto, ndr)".
I have stated my concerns with Amazon long before the Election. Unlike others, they pay little or no taxes to state & local governments, use our Postal System as their Delivery Boy (causing tremendous loss to the U.S.), and are putting many thousands of retailers out of business!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 29 marzo 2018
A dare il colpo di grazia è stato poi The Donald che ha messo nel mirino Amazon. La Casa Bianca, sperando di gettare acqua sul fuoco, ha provato a smentire le indiscrezioni dicendo che "al momento" non c'è alcuna politica allo studio riguardante il colosso americano del commercio elettronico.
Ma Trump è uno che twitta: "Ho parlato delle mie preoccupazioni relative ad Amazon molto prima delle elezioni". E ancora: "Diversamente da altri paga poche tasse o non le paga ai governi statali e municipali, usa il nostro sistema postale come se fosse il suo ragazzo delle consegne (causando perdite enormi agli Usa) e facendo fallire molte migliaia di negozi!".
Ma non è tempo per suonare le campane a morto per il tech. C'è, insomma, il rischio diuna nuova bolla sul comparto? Certo è che il tonfo di mercoledì di Amazon (-4,4%) viene dopo un periodo di forte crescita in Borsa: da inizio anno l'azione è salita di oltre il 22% e negli ultimi 12 mesi del 67%. Gli investitori sono preoccupati anche per le possibili conseguenze su tutto il listino americano: non a caso Barron's, una delle pubblicazioni più lette dagli operatori a Wall Street, si chiedeva pochi giorni fa se fosse il caso di alleggerire il portafoglio dai titoli tech ("Time to De-FAANG Your Portfolio?").
Per far capire quanto siano importanti le FAANG a Wall Street, basti pensare che oggi rappresentano circa il 13% della capitalizzazione totale dello S&P 500, l'indice che raccoglie le 500 principali aziende americane quotate, e che la loro crescita lo scorso anno è stata da capogiro: nel 2017 in media hanno fatto guadagnare agli investitori, compresi i dividendi, il 49,2% rispetto al 22% dell'indice S&P 500.
Le FAANG sono chiamate dagli addetti ai lavori anche "titoli dracula": fang in inglese significa "zanna". I diretti concorrenti, i colossi cinesi Baidu, Alibaba e Tencent, sono i "titoli pipistrello" (bat in inglese). La fantasia dei trader è quella che è e, a volte, nasconde una feroce ironia: l'Italia, ad esempio, nel 2011 faceva parte dei PIIGS (l'acronimo ricorda pigs, maiali in inglese) o GIIPS (gipsy, zingari in inglese), gli acronimi per indicare i 5 titoli di stato dell'Eurozona a rischio (del club facevano parte anche Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna).