Il selfista domestico

È ancora piena estate, sono in vacanza in una località nota per i locali e per il divertimento notturno. È sera quando mi siedo sul balcone del mio alloggio. Davanti c’è un palazzo degli anni ’70, con appartamenti presi in affitto da famiglie con bambini e cagnolini, da coppie di fidanzati e da compagnie di giovani ragazzi e ragazze.

Va bene, lo ammetto: se so da chi sono stati presi in affitto significa che mi sono fatta gli affari altrui per qualche giorno. In fondo sono in vacanza, no?

Mentre sono lì seduta, vedo dalla finestra di fronte – e no, non è il film di Alfred Hitchcock –la sagoma di un corpo di donna muoversi di continuo dietro le tende. Cammina veloce, poi si ferma per qualche istante e ricomincia. Arriva un’altra sagoma, di statura più alta, sempre magra, con i capelli raccolti. Non capisco se i capelli sono raccolti in una coda di cavallo o in uno chignon, ma poco importa; devo continuare a osservare, non c’è tempo per farsi sopraffare dai dubbi, nemmeno se sono in vacanza. Noto un’altra figura, e un’altra ancora, tutte simili, tutte che vanno avanti e indietro, si fermano un secondo e, quando sono ferme, mi sembra mettano le spalle di lato e inclinino l’anca. Ma ci sono le tende, accidenti! Non riesco proprio a vedere bene. A un tratto però la porta del loro balcone si apre. Esce uno di quei corpi che riuscivo solo a intravedere.

Eccola, beccata!

Si tratta di una ragazza, è mora, indossa pantaloni traforati che mettono in risalto le sue belle gambe e, sì, ha i capelli raccolti in uno chignon. “Quando si tratta di estetica non sbaglio un colpo”, penso fiera. Arriva sul balcone un’altra giovane donna, anche lei bella, vestita bene, anche lei con lo chignon. Due chignon su due, bingo! Escono altre due giovani donne. Ma insomma, mi chiedo: in quante sono là dentro? Però non c’è tempo per le domande, devo capire cosa stanno facendo.Una di loro, improvvisamente, si ferma, assume una posa da ninfa o da diva, comunque elegante, e mette il piede di lato con la punta, poi dietro la gamba, poi davanti, sembra punta da una zanzara ma no, capisco che si sta mettendo in posa. L’amica la fotografa. Un’altra ragazza cammina tenendo il braccio alzato per farsi un video con il telefonino mentre scuote i capelli. La quarta, forse la meno interessata ma comunque coinvolta nel meccanismo, si siede con le gambe incrociate e anche lei alza il braccio, tenendo in mano il telefonino.

Dai locali intorno arriva la musica e si sente la gente cantare, mentre queste ragazze sono lì, su un balcone.Mi guardo intorno: ci sono altri balconi illuminati, con persone ferme in posizioni “instagrammabili”, come si suol dire, che si fanno selfie o si fanno fotografare dall’amico. Mi sembrano tutti eleganti. Ne noto poi uno con l’asciugamano che gli copre la vita, il petto fiero e il respiro trattenuto. E io mi preoccupo: mi auguro che quel povero ragazzo respiri prima o poi. Pazienza se l’addominale si rilassa un attimo, ma almeno resta vivo.

La musica dei locali avvolge lo spazio, sento che per strada le persone continuano a parlare tra loro, a socializzare, a esistere, e poi mi concentro di nuovo sull’appartamento di fronte, su quelle ragazze. Una di loro è rientrata in casa, le altre la seguono. Attraverso le tende vedo quei corpi che si spogliano, vedo che camminano. Mi appare piuttosto chiaro che stanno facendo il turno per andare a struccarsi. Vedo la camera da letto, a un certo punto entrano lì. Spengono la luce. Dormono. Mi dico: Ma come, quindi non escono? C’è la musica là fuori e poi, non siamo in vacanza?

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