Lifestyle
September 15 2015
"È una fragile giovane donna, non può sopportare tutto questo", aveva detto il suo medico dopo l'overdose non letale del 2007. Purtroppo furono parole profetiche. Proprio ieri Amy Winehouse, la meravigliosa cantante inglese mancata nel 2011, avrebbe compiuto 32 anni. E proprio oggi esce nelle sale italiane come proiezione evento Amy - The Girl Behind the Name, il docu-film di Asif Kapadia (al cinema il 15, 16 e 17 settembre, distribuito da Nexo Digital e Good Films).
"Con lei potevi sentirti molto importante e poco dopo non valevi niente", racconta nel film il suo primo manager Nick Shymansky. Il lungometraggio del regista britannico, già autore del doc Senna (2010), parte dalle origini di Amy. La vediamo adolescente cantare per una festa di compleanno, con una voce più acerba ma già sinuosa. Eccola poi ai suoi primi chitarra e voce. Scopriamo - per chi non lo sapesse - che Amy Winehouse non era solo una cantante strepitosa ma era anche viscerale autrice dei suoi testi. A chi le chiedeva nuovi brani, rispondeva: "Scrivere è difficile... faccio quello che posso".
Attraverso filmati che la ritraggono e interviste al suo entourage, a colleghi, produttori e bodyguard, alla madre, al controverso padre, alle amiche storiche Juliette e Lauren, seguiamo Amy dalle origini al successo, passando attraverso il disagio ereditato dall'infanzia, disturbi alimentari ed eccessi di alcol e droga, la pressione di tournée, giornalisti e paparazzi ossessionati. La viviamo nella sua fragilità, sotto aspetti meno noti. Seguiamo il suo amore assoluto e autodistruttivo verso Blake Fielder-Civil, con cui voleva condividere tutto, anche i sentimenti negativi. "Dopo il matrimonio nel giugno del 2007 Amy ha provato crack ed eroina con il marito, e lo ha apprezzato".
Intanto le canzoni di Amy, da Back to Black a Rehab, tessono la trama narrativa del film. Del resto i testi della Winehouse erano sempre estremamente personali. Amy usava la scrittura in forma catartica, quasi fosse una terapia attraverso cui elaborare le emozioni più difficili.
"Amy non voleva morire", è detto nel doc. Ma ecco che intanto la vediamo sempre più magra, col viso stravolto, in immagini impressionanti.
Tanto potente quanto profondamente triste, Amy inquadra il rapporto contrastante tra fama e arte e il graduale distaccarsi dalla carriera, dalle amicizie, da tutto della cantante londinese. "Non sono una cantante, sono una cantante jazz", diceva lei.
Impossibile non uscire dalla visione con gli occhi rossi e con la stessa disperata malinconia di quel 23 luglio 2011.
A una guardia del corpo Amy Winehouse disse: "Se potessi dare indietro tutto per poter camminare tranquillamente per strada lo farei".