Andrea Benty: il punto è saper interpretare la pista e saperla conquistare


Quella che state per leggere non è proprio un’intervista, ma più uno scambio di punti di vista con un dj per passione e a volte per lavoro. Andrea Benty, blogger per la musica, dj rocker e presto padre di un futuro dj. Ecco l’estratto della nostra chiacchierata in Skype a seguito di uno scambio d’opinioni su Twitter.

AndreaDelogu: allora incominciamo subito con il capire cosa fai nella vita e perché ti intendi tanto di musica da club?

Benty: nella vita lavoro in un’azienda. Di musica da club in questo momento non posso davvero dire di intendermi: ho un hobby che mi porto dietro da adolescente ed è mettere i dischi. Se nei primi anni novanta conoscevo abbastanza bene la musica da club, perché con quella ho iniziato a mixare, da parecchi anni ormai preferisco proporre altri generi musicali da ballare che non definirei proprio da club, al massimo da “rockoteca”. Mi capita di salire in consolle per feste private di ogni genere, di fare serate in locali, ultimamente anche a un piccolo festival: l’hobby s’è progressivamente trasformato in una specie di secondo lavoro, visto che sia in Grecia dove abitavo fino a due anni fa che qui mi sono trovato dei posti dove poter mettere più o meno la musica che mi piace.

AndreaDelogu: abbiamo, qualche giorno fa, incominciato un botta e risposta su Twitter dove disquisivamo sul fatto d’avere una passione o di farne un lavoro del mestiere del dj. La tua posizione era favorevole alla possibilità di suonare, pagati, anche se non professionisti. Perché?

Benty: perché la figura del dj presenta tantissime varianti possibili. Se è vero che c’è la superstar dj che riempie gli stadi o le discoteche, c’è anche il dj del piccolo club, del pub, della sagra, della festa di matrimonio o del circoletto arci. Non tutti riescono a mantenercisi. Non tutti i giramanopole ci credono o ci investono a tal punto o hanno abbastanza talento da riuscire a divenire professionisti, e vivere solo mischiando dischi. Eppure fanno tutti quella cosa lì: se sono bravi, in qualunque situazione si trovino ti fanno passare una bella serata ballando. Essendo -seppur poco- pagati non puoi nemmeno dire che non stiano lavorando e che lo facciano per pura passione o come semplice passatempo.

AndreaDelogu: il più grosso problema è che il rischio al 90% dei casi è che non sono bravi. In America se vuoi fare l’attore devi aver studiato ed essere iscritto ad un’associazione, solo così puoi essere chiamato a sostenere un provino, dovrebbe essere così anche per i dj in tutto il mondo per evitare ciarlatani. O no?

Benty: a volte ho visto dj professionisti fare schifo e altre volte mi sono innamorato di selezioni di dj cosiddetti dilettanti. Credo tu ti riferisca principalmente al dj che lavora nei club medio-grandi, magari con tanto di vocalist e vj. Ma come dicevo prima ci sono disc jockey in mille situazioni diverse dal club (io tra questi), dove magari non si richiedono virtuosismi da turntablist. Spesso sono persone che lo fanno solo per passione e vivono facendo altri lavori, eppure sono bravissimi a far divertire chi è in pista. Non significa necessariamente che valgano meno di quelli professionisti. Poi per quanto riguarda l’Italia non credo si senta un forte bisogno di altri ordini professionali e barriere burocratiche, basta già la SIAE a complicarci la vita.

AndreaDelogu: ma così non si elimina la percentuale di dj non in grado si sostenere una serata, il rischio in Italia, come credo nel mondo, è che il lavoro del dj è troppo sottovalutato e ci troviamo immersi in un popolo di ragazzi o super gnocche che fanno fatica a mixare un pezzo con l’altro o a selezionare dischi adatti alla pista. Io non ce l’ho con chi ama questo lavoro ma non riesce a mantenersi io ce l’ho con chi questo lavoro lo uccide.

Benty: apri un sacco di parentesi, tutte meritevoli di approfondimento. Pensiamo alle Paris Hilton, alle Fernanada Lessa, a quelle che mixano in topless, alle Asia Argento. Sono veri/e dj? Boh? Io direi non tanto. Lo fanno professionalmente? Sì e guadagnano anche molto. Sono più dj loro o io che ho passato la giovinezza a vaschettare i negozi “for djs only” anche se non sono un professionista? Hanno diritto di farsi chiamare dj? Il fatto è che la gente va a vederli e i locali quindi continuano a  offrirgli serate. Pensi che un esame da sostenere per diventare dj abilitati cambierebbe qualcosa? A quel pubblico interessa che il dj sappia mixare o la sua selezione musicale? Non credo. Sono lì per un altro tipo di spettacolo. Chi ha voglia di ballare le set list di un bravo dj ha solo l’imbarazzo della scelta. Il problema non sono solo i ragazzini, e nemmeno la qualità del missaggio. Il ragazzino deve pur iniziare da qualche parte. Conosco dj impeccabili a mixare in battuta e che presentano delle set list desolanti. Secondo me il punto è saper interpretare l’atmosfera in pista e saper conquistare il pubblico con le tue selezioni. Ritengo più importante scegliere il pezzo successivo giusto piuttosto che un pezzo mixato alla perfezione che però ti svuota la pista.

AndreaDelogu: Concordo ma il punto non è tanto iniziare da qualche parte, il punto è che poi anche se non sono in grado riiniziano, magari c’è un ragazzino allo stesso prezzo in una città vicino che invece questo lavoro lo sa fare. Non considero un dj da quanto guadagna, io considero un dj se fa quello di mestiere, o se non riesce a farlo di mestiere almeno che sia la sua unica ragione di vita.

Benty: Mi ripeto: io vedo un problema maggiore per la professione nei tanti che mettono professionalmente musica di merda piuttosto che nei ragazzini che ci provano. Il ragazzino se non è bravo non insidia nessuno, al massimo ci prova una volta e finisce lì, il padrone del locale non lo richiama (a meno che non mobiliti folle oceaniche, perché allora può fare anche schifo ai cani, ché tanto lo richiamano di sicuro, avrà tutto il tempo per migliorare la tecnica di missaggio). Io ti parlo dell’ambiente di provincia, di certe feste agghiaccianti che vanno per la maggiore. Tu fai riferimento probabilmente all’ambiente dei club “seri” di Rimini, Riccione. Non vedo comunque come i dj professionisti possano essere impensieriti dai ragazzini

AndreaDelogu: Non mi preoccupo se i dj professionisti sono impensieriti, mi preoccupo per me, cliente che pago il biglietto e se sono sfortunata mi ascolto un cane in consolle, quindi pago 20/25 euro per una serata pessima. La mia idea sarebbe di tutelare la professione del dj, la possibilità di passare un esame (forse viaggio troppo con la mente) d’avere la certezza che solo se hai passato un esame allora puoi stare dietro ad una consolle, come il medico che opera solo se è davvero un medico, così si eviterebbero tutte queste finte dj o dj incapaci.

 Benty: Andrea, sto per scadere nel qualunquismo, ma da una parte ti ricordo che in questo paese hanno elevato alla posizione di ministro dentisti e show girl, figurati se un incompetente non può fare il dj. Dall’altra equiparare la rispettabilissima e sicuramente sottovalutata professione del dj a quella del medico mi pare una forzatura. Per non correre il rischio di cui parli credo tocchi al gestore del locale fare da filtro e ingaggiare  dj capaci di gestire al meglio una serata. Anche perché se il dj è un cane la gente non ci torna a ballare da te. Se in Italia e all’estero siamo arrivati al 2012 e già da anni i dj riescono a riempire stadi essendo perfetti autodidatti e a scrivere pagine di storia della musica senza l’abilitazione, credo che possiamo continuare ad avere ottimi dj anche senza l’esame. E come saprai dj importantissimi nemmeno sapevano mixare a tempo (immagino che gli esami di cui parli prevedano una prova di missaggio).

AndreaDelogu: non intendo solo il mixaggio anzi, la selezione è fondamentele esame anche per quello chiaramente capire i bpm, capire come funziona una serata, esami insomma.

Benty: se hai gente davanti alla consolle, capisci quello che vogliono e li fai ballare e divertire non hai bisogno di altri esami come dj secondo me. Per fare questo si presuppone tu abbia passato molto tempo a scegliere quali dischi mettere in valigetta, a pensare come proporli, come creare un crescendo. Di certo bravi dj non ci si improvvisa. Se invece non riesci mai a farli ballare a) ti passa la voglia di metter dischi b) non ti chiamerà mai più nessun locale. Certo, se non hai mai visto un dancefloor vuoto o che si svuota non puoi dire di averle viste tutte come dj

AndreaDelogu: Parlami del perché ti sei trasferito in Grecia?

Benty: per una ragazza. All’inizio non mi trovavo tanto bene. Dopo un paio di anni invece ho iniziato ad ambientarmi a tal punto che la storia con questa greca è finita e io sono rimasto.

AndreaDelogu: quanto sei rimasto lì?

Benty: in tutto ho vissuto a Salonicco per 8 anni. La situazione per me è precipitata “fortunatamente” un po’ prima del disastro generale, avendo toccato in anticipo il settore in cui lavoravo laggiù, ovvero l’insegnamento di lingue straniere. Ciò ci ha costretto ad andarcene prima che le cose peggiorassero drammaticamente (parlo al plurale perché nel frattempo ho convinto una ragazza coraggiosa a raggiungermi in Grecia, abbandonare il suo lavoro da avvocato in Italia, vivere in Grecia 4 anni e a sposarmi). La vita in Grecia è cambiata in peggio sotto molti punti di vista, da quello che ho visto e che mi raccontano. Sia nel concreto (ho amici che lavoravano nel settore pubblico e si sono visti gli stipendi tagliati del 30% nel giro di un mese) sia psicologicamente: la gente non sembra avere più speranza, molti vanno avanti quasi per inerzia. Poi, per tornare all’argomento clubbing e vita notturna, a Salonicco recentemente hanno anche aperto un sacco di locali nuovi, pieni fino all’alba anche in giorni infrasettimanali. D’altra parte molti locali storici hanno chiuso. Farsi un’idea precisa è complicato, l’atmosfera che si vive non è comunque positiva 

AndreaDelogu: quando sei rientrato in Italia hai fatto fatica a ritrovare stabilità?

Benty: sono stato molto fortunato lavorativamente. Il salto da una città di 1,5 milioni di abitanti con la più grande università dei balcani (100.000 studenti, immagina il numero di bar, club, feste universitarie, locali tutti i giorni) a un paesotto dell’entroterra marchigiano – in cui tutt’ora non c’è una discoteca! -non è stato facilissimo. Men che meno come dj. Da questo punto di vista devo ringraziare moltissimo la rete: un sacco di contatti che sono diventati amicizie tramite i blog prima e social network poi, mi hanno portato negli ultimi due anni a metter dischi in locali romagnoli, di Bologna, Roma, a fare un po’ di radio e a scrivere di musica su altri blog e portali musicali. Così m’è diminuita la nostalgia per la Grecia

AndreaDelogu: cosa ne pensi del concorso SheCanDj della EMI?

Benty: premetto che in genere sono piuttosto contrario all’idea di quote rosa, in qualunque ambito. Bisogna dire che sono poche le ragazze che si cimentano dietro la consolle, non ho mai capito bene perché. Questo contest può essere un buon modo di avvicinarne qualcuna in più a questa professione (o hobby!). Male non può fare di certo.

 AndreaDelogu: I tuoi progetti?

Benty: come dj il progetto a breve termine è continuare a metter dischi. Ha aperto un nuovo locale dalle mie parti un “alternative club” dove sono in consolle di venerdì, ancora oggi non riesco a pensare un modo migliore di passare il mio tempo libero. A lungo termine vorrei riuscire a trasmettere la “malattia del mischiare i dischi” all’erede che mi nasce a ottobre, e che avrà la fortuna di trovarsi una consolle bella pronta sotto il naso e una collezione di dischi a disposizione.

Leggetelo qui:

blog: benty.altervista.org

psicopatologia spicciola del dj pretenzioso su inkiostro: www.inkiostro.com
Twitter: @benty

YOU MAY ALSO LIKE