News
May 06 2013
Nacque filoamericano, l’uomo di fiducia degli Stati Uniti, e visse l’ultima parte della sua vota rimpiangendo il mondo bipolare: gli americani da una parte e i sovietici dall’altra. Ma credo che provasse più tenerezza per i secondi che per i primi. Come guida della politica estera italiana fu un filo arabo con le mani sempre in pasta nel campo petrolifero. Di conseguenza era guardato con sospetto e con dispetto da Israele che vedeva in lui un amico dei nemici dello Stato ebraico. Fu lui il vero protagonista dell’episodio di Sigonella, 11 ottobre del 1985, durante il quale i carabinieri della base militare della Nato circondarono col mitra imbracciato i marines (anche loro col mitra imbracciato) i quali circondavano a loro volta l’aereo con dentro i terroristi di Al Fatah che avevano sequestrato la nave Achille Lauro e avevano barbaramente ucciso il cittadino americano Leon Klinghoffer colpevole di essere anche ebreo ed handicappato. Il colonnello Oliver North intercettò l’aereo con i terroristi cui il governo italiano di Bettino Craxi aveva concesso un salvacondotto che violava la condizione chiesta dagli americani: che non fosse stato versato sangue americano.
Craxi era capo del governo, ma Andreotti era il ministro degli Esteri. Gli americani se la legarono al dito e si disse poi che le disgrazie di Andreotti, la sua incriminazione per mafia in particolare, fossero una vendetta a stelle e strisce, cosa che reputo assolutamente falsa ma che dà egualmente l’idea del livello dello scontro che opponeva Andreotti al mondo americano. In una intervista ad Elkan Andreotti disse di essere rimasto impressionato dal modo diretto e brutale con cui Craxi si era rivolto al presidente Reagan rimproverandogli i suoi rapporti col dittatore cileno Augusto Pinochet. Lo ricordava con grande ammirazione: “Reagan restò quasi paralizzato e lo pregò di non parlarne nella conferenza stampa che si sarebbe tenuta di lì a poco”.
Nella Commissione Mitrokhin, di cui io ero il Presidente e lui un membro (è stata la prima e unica volta che partecipasse a una Commissione d’inchiesta) faceva da spalla ai post comunisti ridicolizzando la questione di cui si discuteva e divertendosi a interrompere i lavori per raccontare aneddoti peraltro molto divertenti. Era l’idolo degli uomini che venivano dal Pci e anche degli uomini che venivano dall’Unione Sovietica. Non a caso il ministro degli esteri libico Trekki mi aveva raccontato del dolore che Andreotti manifestò quando l’Unione Sovietica si dissolse per volontà di Eltsin, mentre Andreotti si trovava in visita a Tripoli: “Un mondo è finito, disse. Il nuovo mondo non sarà più bilanciato fra due grandi potenze, ma sarà soltanto americano”. La cosa non gli faceva affatto piacere. Ebbe sempre questa ambiguità: si considerava un occidentale talmente impegnato nel dialogo con i nemici dell’Occidente, da innamorarsene, o almeno da sostenerne le ragioni ogni volta che poteva. Non amava Israele e mostrava la sua preferenza per il mondo palestinese e aravo in genere.
Questa predilezione incarnava una tendenza fondamentale all’interno della Democrazia Cristiana. I palestinesi, anche per decisione di Aldo Moro, godevano in Italia di una libertà enorme e illegale, in cambio di una polizza di assicurazione contro eventuali attentati. I servizi segreti si uniformavano a questo credo, che non era tanto ideologico quanto pratico: i paesi arabi portavano petrolio mentre gli israeliani portavano soltanto guai, dal suo punto di vista pragmatico e anzi cinico. In Europa non amava i tedeschi. Celebre la sua battuta: “Amo talmente i tedeschi che di Germanie ne vorrei avere sempre almeno due”. Si riferiva alla imminente riunificazione fra la Germania occidentale e quella orientale. Non gli piaceva e la sua diffidenza nasceva dal periodo dell’occupazione nazista a Roma che lo vide fuggiasco nei conventi romani dove incontro Alcide De Gasperi che ne colse immediatamente la qualità superiore, la marcia in più.
Era un uomo privo di ideologie anche in politica estera. Sminuzzava i teatri di guerra come sminuzzava le questioni politiche nazionali. Era un frammentatore determinato e meticoloso. Non parlava le lingue, salvo un po’ di francese scolastico e parlava sempre attraverso gli interpreti durante i suoi lunghi viaggi all’estero. All’estero lo ricordano benissimo e la notizia della sua morte è stata una “breaking news” in questi tutti i telegiornali del mondo. Di lui si diceva che aveva governato più di Enver Oxa, il dittatore albanese che restò sul trono per mezzo secolo.