Economia
February 15 2013
C’è qualcosa di grottesco nel fatto che lo stesso giorno abbia visto finire in prigione il primo e l’ultimo dei "predatori" del Corriere della Sera, Angelo Rizzoli junior e Alessandro Proto : l’uno, settantenne, che della Rcs fu davvero proprietario, l’altro che probabilmente, millatando l’intenzione di scalarla, voleva semplicemente gettare fumo negli occhi di qualche centinaia di polli da spennare, prima di rifugiarsi in Centramerica.
La parabola di Angelo Rizzoli (arrestato per bancarotta da 30 milioni di euro sulle sue 4 società Produzioni Internazionale, Ottobre Film, Delta Produzioni e Nuove Produzioni) però – anzi, quella strana curva sinusoidale del suo destino di imprenditore mediocre e uomo sfortunato – descrive una diversa emblematicità, quella di tanti eredi oppressi da un lascito troppo impegnativo, superiore alle loro forze, nel suo caso (come peraltro in tanti altri) addirittura incarnato nell’omonimia.
Angelo Rizzoli junior, detto Angelone per la mole del corpo, figlio di Andrea, nipote di nonno Angelo, fisicamente malaticcio, un po’ goffo e un po’ grottesco – con quelle gote paffute e i sopracciglioni – era sempre sembrato un "vorrei ma non posso", toccando in questo suo sfavorevole apparire l’acme con il matrimonio del ‘79, il primo, con una Belen del momento, quell’Eleonora Giorgi - poi intelligentemente evolutasi in signora seria della buona società – all’epoca nota per pellicole impegnative come Storia di una monaca di clausura o Conviene far bene l’amore che, sorvolando sul monito "nella buona come nella cattiva sorte", lo mollò nell’84, subito dopo lo scandalo P2, chiedendone per riprendersi dallo choc la metà del patrimonio, stimato in 400 miliardi e ottenendo (ahi lei!) soltanto un chip da 10.
La vita di Angelone è stata un po’ tutta così. Sfiorare il successo, assaggiare il potere, capitombolare in basso. Probabilmente da bonario incapace più che da stratega del male, e certamente da italiano anti-Stato, perchè poi non va dimenticato – oggi che è in carcere per aver frodato l’Inps, l’Inail e centinaia di controparti innocenti – che finora l’editore è stato largamente in credito con la giustizia italiana: tredici mesi di galera per poi essere assolto lasciano il segno. Neanche Socrate stette così a lungo al gabbio.
Reo però - innegabilmente – di quei due gravissimi comportamenti non penali che sono il velleitarismo e l’incapacità, Rizzoli è stato arrestato infatti una prima volta nell’83, ed è rimasto in cella per ben tredici mesi, su un'accusa infamante, quella di bancarotta di una società come la Rizzoli-Corriere della Sera, che di fatti in bancarotta non c’è mai finita, nel senso che è stata "salvata" agevolmente da un gruppo di nuovi soci con quattro lire e non ha mai neanche per un giorno sospeso l’attività.
Del resto, il passo più lungo della gamba –più lungo sul piano politico-lobbistico, se non su quello finanziario – era stato, per la famiglia, comprare il Corriere dalla traballente proprietà della famiglia Crespi e dell’Eni, ma era stato compiuto dal padre Andrea, primo figlio del fondatore Angelo. Andrea s’era fidato del presidente della Montedison Eugenio Cefis, suo ispiratore-burattinaio, e per appena 31 miliardi del ’74 aveva rilevato il 66% del giornale, promettendo alla Fiat di rilevare il rimanente capitale dalle casse di corso Marconi entro quattro anni.
In questo balzo di potere e dimensioni, nella famiglia Rizzoli s’era insinuata la P2, tramite Umberto Ortolani e il Banco Ambrosiano di Calvi prima, lo Ior di Marcinkus poi: all’epoca, infatti, la famiglia Rizzoli non ha, o non vuol spendere, tutti i soldi che si rivelano necessari per onorare gli impegni e li prende a prestito, esagerando. La cosa si traduce in un "commissariamento" di quei poteri occulti, che il ragazzone barbuto primogenito di Andrea pretende di poter governare, finendone invece succube, anche per la delega totale che dà al suo braccio destro Bruno Tassan Din.
Il "nume protettore" Cefis cade in disgrazia, perde la Montedison e ripara in Canada. Ai Rizzoli resta solo la P2, Angelone s’iscrive- tessera 523 - i soldi di Calvi arrivano. Ma sono soldi marci, triangolati da Nassau e dal Banco Andino, che bloccano i movimenti della famiglia, mentre Tassan Din, obbedendo a un disegno politico, compra giornali a man bassa e aggiunge debiti a debiti: dal Mattino di Napoli al Piccolo di Trieste, dall’Eco di Padova all’Alto Adige. Al Corriere va come direttore un piduista, Franco Di Bella, il gruppo si lancia nell’avventura del quotidiano popolare, L’Occhio, affidato a un altro piduista Maurizio Costanzo, che dura poco e brucia quattrini.
Ormai il capitale del gruppo è tutto in garanzia presso in Banco Ambrosiano. Andrea Rizzoli e il figlio Angelo non contano più niente, nei fatti, e quando l’istituto di Calvi inizia a traballare, l’esplosione dello scandalo P2 conduce all’amministrazione controllata del Corriere e al carcere di Angelo. Mentre lui è dentro, il padre muore d’infarto e si suicida, la sorella Isabella, diciottenne, viene indagata, va in depressione e quattro anni dopo si suiciderà. I beni di famiglia vengono sequestrati, il Corriere venduto per due lire alla cordata della Gemina – Agnelli, Mediobanca e gli altri soci del cosiddetto "salotto buono" ringraziati dai benpensanti d’Italia per aver fatto l’affare della loro vita.
Quando Angelo esce di galera inizia la sua guerra privata contro la giustizia, che alla fine nonostante una condanna per dei pasticci alla Cineriz – la controllata cinematografica del gruppo – si risolverà bene, per modo di dire: una sentenza della Cassazione del ’92 dirà che i fondi erano stati distratti da Tassan Din, Ortolani e Gelli, non da Rizzoli. Il quale tenta un’azione civile per rivalersi contro i "patrioti" che avevano salvato il Corriere e il loro punto di riferimento, il banchiere Giovanni Bazoli, ma al contrario viene condannato per diffamazione. In 26 anni alla sbarra, Rizzoli aveva avuto sei assoluzioni e una condanna per diffamazione. Finora.