Un anno senza Draghi al governo

Un anno fa cadeva il governo di Mario Draghi. E paradossalmente l’attuale esecutivo, per molti versi, ne raccoglie l’eredità.

Sì, proprio il governo di Giorgia Meloni, che del governo Draghi era l’unica opposizione, nel clima di unanimità delle larghe intese. Nonostante le frecciate di questi giorni sul Pnrr “scritto da altri”, proprio in riferimento all’ex capo Bce, sui fascicoli cruciali, primo tra tutti la guerra in Ucraina, il governo di centrodestra si pone in un contesto di continuità. Quello dell’atlantismo senza se e senza ma, nonostante i mal di pancia all’interno della maggioranza.

Anche sull’economia – fronte dove è ancora presto per dare giudizi – sembra regnare la prudenza di bilancio di impronta draghiana, in attesa di provvedimenti più sostanziosi sul fisco, che tuttavia ancora sono di là da arrivare. Persino sui rapporti con l’Europa – fatta salva l’opposizione alle accelerazioni ecologiste – il centrodestra segue i binari di Supermario.Anche sul fronte alleanze: con buona probabilità anche alle prossime europee, pur privilegiando l’asse tra popolari e conservatori, in Fratelli d’Italia non si esclude una riproposizione, se obbligati dai numeri, di una nuova maggioranza “Ursula”, cioè estesa anche a socialisti e liberali.

Insomma, la metamorfosi istituzionale e moderata di Giorgia Meloni non può che seguire il solco del predecessore, purché questo processo non sia troppo evidente, onde evitare fratture troppo profonde con gli alleati. Se vogliamo, il vero punto di rottura col governo Draghi si è avuto sulla gestione sanitaria: oggi si è fatta piazza pulita di green pass e burocrazia del virus. Ma forse, più che per un convincimento libertario, questo si deve semplicemente alla cessata emergenza.

Se da un lato, fatta la tara degli slogan mediatici, la filosofia draghiana coincide in tanti punti con quella meloniana, l’altro aspetto interessante è che il partito che più si considerava erede di Draghi – cioè il Pd – sembra aver anch’esso virato a 180 gradi. Al punto da continuare a elemosinare un accordo con il tanto vituperato Giuseppe Conte, che di Draghi era stato uno degli accoltellatori. Il Pd ha tradito Draghi, dopo averlo portato in processione per mesi esagerando con gli inchini e i salamelecchi. E tradendo Draghi, il partito democratico ha rinnegato anche ciò che restava di sé stesso, cioè quella natura di “partito istituzionale della stabilità” che in qualche modo gli aveva garantito la permanenza nelle stanze dei bottoni. Con la gestione Schlein, anche questo rimasuglio di identità è andato alle ortiche. Risultato? Al Nazareno sono di nuovo alla ricerca di un Papa straniero: possibilmente fluido, come richiedono i tempi.

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