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October 21 2020
La Mostra del cinema di Venezia, svoltasi in presenza, primo evento internazionale in epoca Covid, aveva spruzzato speranza e fiducia sul cinema italiano e non solo. Ora la Festa di Roma, in corso, continua caparbiamente su quella strada. Ma mentre i set hanno ripreso a girare, tra mascherine e tamponi, le sale cinematografiche, anche le più tenaci che hanno subito riaperto appena il governo lo ha consentito, il 15 giugno, fanno fatica. Fanno i conti con incassi in drastico calo, spese per la messa in sicurezza sanitaria, offerta cinematografica incerta. E sui cinema della Lombardia, in più, ora cala anche la scure del coprifuoco per contenere i contagi: l'ordinanza regionale detta che da giovedì 22 ottobre fino al 13 novembre, dalle 23 alle 5 sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità o d'urgenza ovvero per motivi di salute.
Facciamo il punto con Lionello Cerri, fondatore e amministratore delegato di Anteo SpazioCinema, che comprende multisale a Milano, Monza, Cremona e Treviglio. A Milano, oltre al polo CityLife inaugurato nel 2017 e all'Ariosto, vanta Anteo Palazzo del Cinema, ristrutturato sempre nel 2017, passando da 4 a 11 sale che si sviluppano su quattro piani per un totale di circa 5.500 metri quadrati. Per i milanesi è un luogo di incontro e di cultura e una certezza: se un film è proiettato all'Anteo, è sicuramente di qualità.
Signor Cerri, come ha vissuto la vigilia del nuovo Dpcm (annunciato il 18 ottobre)? Si vociferava di una nuova chiusura per cinema e teatri, invece è tutto rimasto simile a prima: rimangono aperti con il numero massimo di 1000 spettatori per spettacoli all'aperto e di 200 spettatori per spettacoli in luoghi chiusi, per ogni singola sala.
«Da qualche giorno avevamo visto che non ci dovevano essere cambiamenti. Comunque è ormai dimostrato che il cinema e il teatro, i luoghi di spettacolo, sono i luoghi più sicuri: misuriamo la temperatura, si sanificano le mani, si tiene la distanza, si usa sempre la mascherina anche quando si è seduti in sala, gli impianti di condizionamento sono stati tutti modificati togliendo il riciclo dell'aria. Il cinema non ha il livello di sicurezza di un ospedale, ma è abbastanza vicino a una situazione di emergenza. Il Dpcm si pone il problema rispetto ai luoghi i cui c'è più possibilità di contagio. Non sono né un medico né un virologo, però credo che i mezzi pubblici e i ristoranti, per il fatto che al tavolo ci si tolga la mascherina, siano le situazioni più a rischio».
Ora però sulla Lombardia piomba il coprifuoco.
«Ovviamente noi rispettiamo le istanze governative o regionali e seguiremo le prescrizioni con senso di responsabilità, al 100%. Però bisogna anche trovare delle soluzioni che non vadano contro le disposizioni ma armonizzino la situazione che stiamo vivendo, partendo proprio dal fatto che le sale cinematografiche e teatrali dal punto di vista sociale sono tra le situazioni più sicure. Perdere anche lo spettacolo delle 20.30 sarebbe un disastro. I cinema e i teatri si impegnano a chiudere le sale alle 23, ma come Agis e Anec regionale abbiamo chiesto alla Regione Lombardia di concedere allo spettatore quei 20-30 minuti che occorrono per tornare a casa. Tutto può essere facilmente controllato dalle autorità visto che il lo spettatore sarebbe munito di biglietto, che attesta giorno e orario della spettacolo. Bisogna trovare formule intelligenti che permettano comunque di far vivere alle persone una loro socialità al di fuori di della loro casa. E anche per scongiurare quello che alla fine è simile a un lockdown. Dobbiamo trovare soluzioni che ci autolimitano ma ci garantiscono, tra noi cittadini. Non possiamo pensare di arrivare a una situazione di completo lockdown, che sarebbe un disastro collettivo per tutti quanti».
Un'indagine Anec (Associazione nazionale esercenti cinema) del 5 ottobre dice che, dal 15 giugno, data della riapertura delle sale dopo il lockdown, non si è registrato alcun caso di contagio nelle strutture afferenti.
«Come esercenti cinematografici, tra le varie misure anti-Covid, dobbiamo anche tenere per 14 giorni la lista di chi viene al cinema, quindi gli spettatori sono tutti monitorati. Sono i luoghi dove c'è più attenzione. Mi è capitato di andare al ristorante e non mi hanno né provato la temperatura né fatto lasciare il nome. Il problema è che ora poca gente va al cinema: conviviamo con l'emergenza da quando abbiamo riaperto, dal 15 giugno».
Voi avete riaperto quasi subito…
«Sì, abbiamo aperto subito le arene estive, il 15 giugno, le sale al chiuso il 19 giugno. In quel periodo abbiamo aperto in totale 42 schermi, quando in Italia c'erano 400 schermi aperti. Quindi il 10% dell'offerta nazionale. Il problema però è capire come si può convivere con l'emergenza sanitaria e come rilanciare un settore che peraltro è sicuro dal punto di vista della fruizione. Questo dipenderà anche dallo svolgimento della pandemia».
Come sono andati gli incassi dalla riapertura post-lockdown ad oggi?
«In genere registriamo un 80% in meno rispetto al 2019. A giugno, luglio e agosto la nostra società aveva registrato un meno 80% di media rispetto al 2019, poi a settembre un meno 60%. Ottobre sta già stravolgendo un po' le cose perché la gente sta cominciando a non venire più e c'è ancora un meno 80% rispetto all'anno scorso. È chiaro che in tutto questo, tra le varie sale che abbiamo, Palazzo del Cinema e i cinema che gestiscono un rapporto con il pubblico di un certo tipo, e un tipo di programmazione per lo più nazionale ed europea, hanno fatto meno fatica di quei cinema, tipo a Cremona o a Treviglio, che avevano per lo più un cinema americano, unito al cinema italiano. Le percentuali quindi sono diverse da cinema a cinema».
Il crollo degli incassi è dovuto alla capienza ridotta e alla paura del pubblico?
«Non parlerei di paura. In questa ultima settimana si è registrato un ulteriore calo perché la gente se va per strada vede meno gente in giro e si innesca questo meccanismo. Più in generale, invece, non dipende solo dal distanziamento o dai minori posti disponibili: il nostro settore purtroppo sta vivendo anche una mancanza di costrutto. Ad esempio, i film americani non escono. Ora si possono proiettare soli gli italiani e gli europei».
Il problema distribuzione si potrà risolvere questo autunno?
«Speriamo che la situazione ritorni a essere un po' più sotto controllo e che il cinema italiano ed europeo importante esca in questi mesi. Adesso i film italiani più grandi che hanno una data di uscita sono Ritorno al crimine di Massimiliano Bruno (29 ottobre, ndr), Si vive una volta sola di Carlo Verdone (26 novembre), Freaks Out di Gabriele Mainetti (16 dicembre) e Diabolik dei Manetti Bros. (31 dicembre). Speriamo che non succeda niente e che le date siano riconfermate».
Gli spettatori con che energia vengono in sala in questo periodo?
«Vengono con cautela, però nel momento in cui si sentono accolti e in sicurezza sono contenti e sollevati. Comunque c'è una fortissima voglia di ritornare in sala. Il problema è riuscire a dare risposte giuste e interessanti».
Nella nuova legge di Bilancio sono previsti 600 milioni di euro all'anno da destinare al sostegno dell'occupazione nei settori del cinema e della cultura.
«C'è grande attenzione da parte del ministro Franceschini e del Ministero tutto. Il problema da porsi però non è solo quella della cassa integrazione, fondamentale come garanzia per i lavoratori. C'è anche da trovare il sistema di rimanere aperti, con tutte le giuste precauzioni sanitarie, perché comunque un lavoratore alla lunga non può vivere solo di cassa integrazione».
Voi al momento avete lavoratori in cassa integrazione?
«No, abbiamo 80 dipendenti tra casse e uffici e abbiamo deciso di andare avanti e tenere aperte tutte le nostre strutture. Chiaramente questa è stata una decisione presa dal 15 giugno, man mano abbiamo riconfermato tutti alla luce di quello che è stato l'andamento della pandemia. Da parte governativa, ci dovrebbe essere l'attenzione di monitorare la situazione non solo attraverso la cassa integrazione ma anche con incentivi, laddove è possibile tenere aperto, con tutte le norme di sicurezza. Bisogna creare una prospettiva. Noi siamo a meno 80%: il conto economico delle società è profondamente in passivo, quindi dobbiamo trovare un sistema di armonia economica, sia rispetto ai lavoratori, sia rispetto alle aziende».
Quanto avete investito per mettere a norma i cinema secondo le misure anti-Covid?
«Indicativamente su tutte le nostre realtà abbiamo superato i 100 mila euro per l'organizzazione sanitaria. Questi si sommano agli investimenti già fatti prima del lockdown: abbiamo ristrutturato tutti i nostri locali, c'è solo una sala, l'Ariosto di Milano, che è stato chiuso già prima del lockdown per un problema di controsoffitto. Nel giro di tre anni abbiamo investito nel Palazzo del Cinema, in CityLife, a Monza abbiamo rifatto il Capitol, a Cremona abbiamo fatto tre sale in più, a Treviglio abbiamo riaperto una multisala che era chiusa da otto mesi. È chiaro che in questo momento è necessario avere un certo tipo di aiuto economico. Abbiamo bisogno di lavorare per poter rientrare degli investimenti. Il 2019 è stato un anno buono, gennaio e febbraio 2020 sono stati due mesi molto buoni. Questo ci permette di far fronte a un profondo rosso, per usare un termine cinematografico, che è iniziato dal 22 febbraio e dura fino ai giorni nostri. Il governo ha aiutato tutte le sale dando dei piccoli contributi, non sono tantissimi ma è già un atteggiamento di grande considerazione».
Il progetto di film in streaming #IoRestaInSala continua?
«Lo abbiamo fermato per un attimo perché dovevamo ristrutturare la piattaforma. Al più presto riprenderà».
Questa crisi ha cambiato il rapporto tra esercenti e cinema in streaming, che è diventato una possibilità?
«Noi abbiamo sempre pensato che non ci deve essere paura verso gli altri mezzi: nei limiti del possibile bisogna renderli tutti quanti compatibili. Tutti gli aventi diritto, partendo dalle sale arrivando fino alle piattaforme, dovrebbero ragionare insieme per trovare delle regole che possano andare bene a tutti. L'Italia, come il resto del mondo, è fatta di accordi tra le parti: l'unico luogo in cui c'è una legge, però, è la Francia, che ha determinato tutte queste finestre tra i vari mezzi. Credo che il cinema in sala non può essere sostituito da una fruizione casalinga, perché l'energia, la socialità, il mondo di stare insieme in sala non c'è a casa. Si tratta di capire come le sale possano portare avanti non solo una proposta di film ma anche di documentari, eventi sportivi, eventi in genere, e anche serialità o altre cose che finora sono solo nella programmazione delle piattaforme e delle televisioni pay. Dobbiamo metterci attorno a un tavolo e capire come armonizzare queste scelte. Quindi un'ipotesi come #IoRestoInSala è un prolungamento dell'attività di ogni schermo. È finito il tempo di mettere la testa sotto la sabbia: il mondo sta cambiando e bisogna trovare soluzioni».
Già a maggio aveva detto «Riaprirò le mie sale anche se andrò in perdita». Per dare un segnale. Poi ci sono stati Venezia e Roma, altri segnali importanti. Però ora non basta più dare segnali, occorre anche un ritorno economico.
«Certo. Non si può andare avanti così all'infinito. Bisogna capire come tutti questi sforzi in atto, da parte di tutti i cittadini, possano essere limitati a un periodo, e poi gettare anche basi per il futuro. Questa situazione drammatica porta comunque un'occasione per ripensare a quello che è il futuro. Su questo dobbiamo ragionare, sia dal punto di vista di mercato, che dal punto di vista organizzativo e artistico. Ricordiamo che nel Dopoguerra in Italia è nato il Neorealismo: è stato uno sforzo collettivo di idee, di uomini e di donne, verso una ripresa artistica e organizzativa».