Televisione
November 12 2019
Antonino Cannavacciuoloquesta volta sale in cattedra. Il gustoso antipasto di MasterChef, in onda da fine dicembre, si chiama Antonino Chef Academy, il nuovo programma in cui il cuoco stellato si trasforma in mentore e insegnante di dieci giovani e talentuosi chef. A colpi di prove tecniche, test e sfide di gruppo, i concorrenti del cooking show di Sky Uno – in onda da martedì 12 novembre – si contendono un posto nelle cucine del ristorante Villa Crespi, sul Lago d’Orta. “Hanno la stessa determinazione che avevo io agli esordi ai fornelli”, confessa a Panorama.it il super chef, parlando anche di sogni realizzati e progetti futuri.
Antonino, i cliché sulla “generazione z” si sprecano: come sono i dieci aspiranti chef tra i 18 e i 23 anni protagonisti nella tua accademia?
Sono tutti accomunati da una cosa: la voglia di arrivare. Li ho trovati concentrati e motivati, tutti stanno già nel mondo del lavoro ma studiano per salire di livello. E tutti vogliono avere una loro brigata.
Tu com’eri quando da giovanissimo aprivi 800 uova nel ristorante de La Sonrisa?
Gli somigliavo molto. A vent’anni studiavo, prendevo i libri in mano, provavo, stavo ore e replicare le ricette finché non erano perfette. Il successo lo devi immaginare già quando sei giovane, devi sognare in grande per raggiungere l’obiettivo.
Cosa serve per emergere?
Il talento non basta, serve la testa. È improtante anche ciò che trasmetti col cibo che prepari, come accarezzi gli ingredienti. Quando lo dicevo dieci anni fa, mi prendevano per pazzo.
Il vincitore di Antonino Chef Academy verrà a lavorare a Villa Crespi. Che esperienza sarà?
Può essere che si spaventi della mia cucina o che si adatti subito. La strada è lunga, ma spero di vederlo prima o poi a capo di una brigata in un suo ristorante.
Quanto sono influenzati i giovani dalla tv che fa vedere solo il “lato a” del mestiere di chef?
Meno di quanto si pensi. Sono molto consapevoli dei sacrifici di questo lavoro. Sanno che solo la fatica ti premia, la strada facile di porta a schiantarti in fretta.
Quanti curriculum al mese ricevi?
Decine, ma capitava anche prima della popolarità arrivata con la tv, quando a 27 anni avevo già Tre Forchette del Gambero Rosso e mi chiamavano “la stella del sud”. Le vagonate di curriculum arrivano a tutti i miei colleghi stellati. E sai perché? Perché tutti ambiscono ad arrivare a un certo livello, per poter dire la propria in fatto di cucina.
In un tuo libro hai scritto: “Da mio papà ho ereditato umiltà, senso dei limiti e voglia di migliorare senza mai sentirsi arrivato”. Ti senti arrivato ora che hai 2 Stelle Michelin per il Villa Crespi, una per il Bistrot di Torino e una per quello di Novara?
La mia è una malattia, non mi accontento mai, ogni giorno voglio fare qualcosa di nuovo. Chi mi conosce mi dice spesso: “Perché non credi in te?”. Non sono un falso modesto, ma sento sempre di sbagliare in qualcosa. Forse non è normale, forse è insito nel mio dna.
Non ti stanchi mai?
Arrivo al limite, sto fermo due giorni e ricomincio. Ho sempre bisogno di fare o progettare qualcosa. Tra un mese, ad esempio, so che avrò qualche settimana di pausa ma già penso a cosa fare per migliore i tavoli, il servizio e rendere l’esperienza nei miei ristoranti ancora più speciale. Quello per la cucina è un amore sfrenato e totalizzante, non è più un lavoro ma un hobby chenon mi pesa nemmeno un minuto, tanto che non staccherei mai.
Il Travelers’ Choice Restaurants di Tripadvisor di recente ha incoronato Villa Crespi miglior ristorante di lusso in Italia e terzo nel mondo. Qual è stata la tua reazione?
Mi ha fatto piacere e mi ha fatto riflettere. Non parliamo di Cannavacciuolo, parliamo di Italia che sta sul podio dei migliori al mondo. C’è la soddisfazione personale e soprattutto l’idea che ce lo meritiamo: abbiamo i prodotti migliori, i piccoli artigiani, i produttori, i contadini che danno tutto e ci rendono unici. Tutti ci copiano ma nessuno ci riesce.
Il prossimo traguardo?
Alzare ancora l’asticella: ogni traguardo mi spinge a pretendere ancora di più. Arrivare è facile, restare è difficile.
Non pensi che ci sia troppa cucina in tv?
Meno male che c’è. La cucina, il cibo, sono parte della nostra storia e della nostra cultura. Da quando ci sono i cuochi in tv la gente guarda i prezzi, la provenienza, testa la qualità degli ingredienti: dieci anni fa nessuno girava l’etichetta, in pochi riflettevano sul fatto che spendendo 2 euro in più avrebbero comprato prodotti nazionali.
Con boom dei tele-fornelli c’è stato un incremento d’iscrizioni nelle scuole alberghiere. Come siamo messi a livello di formazione?
Si può fare di più, sempre. C’è molta teoria e poca pratica: io facevo 18 ore di pratica, oggi se ne fanno sei. Fossi uno studente direi: “Fatemi cucinare di più”. Solo così quando si diplomano possono entrare subito nel mondo del lavoro, come capitò a me.
Che successe?
Ebbi la fortuna di avere un grande professore che mi ha insegnato tutto, a livello di testa e di preparazione. Oggi poi internet e la tecnologia aiutano moltissimo i giovani: una volta gli chef erano gelosi, nascondevano le loro ricetta, ti mandavano a prendere il sale quando il sale non serviva.
È più buona la tua parmigiana o quella di tua mamma?
(ride) Quella della mamma è sempre la migliore. Io però ho studiato la melanzana, l’acqua della mozzarella, l'ho alleggerita…ho fatto qualche passaggio in più diciamo.
Ultima domanda: Gianfranco Vissani ha appena perso una Stella Michelin e si è imbufalito. Ma i grandi della cucina non meriterebbero di essere inseriti in una categoria a parte?
Vissani è una star mondiale, per me meritava le tre stelle già dieci anni fa. L’ho seguito, studiato, mi ha sempre affascinato la sua cucina: ricordo che mangiando un cioccolatino bianco ripieno di caviale al suo ristorante pensai “questa è poesia”. Può stare o non stare sulle guide ma è un mostro di talento, un patrimonio nazionale.