Calcio
July 24 2023
L'ultimo rilancio, ammesso che non sia il prodotto di un colpo di calore estivo o di un'allucinazione, è qualcosa che cancellerebbe il trentennio appena trascorso di calciomercato, rendendo vizi da nulla le spese che le varie grandi proprietà (russe, cinesi, statunitensi e arabe) hanno via via riversato sul calcio per cercare di affermarsi nel mondo. Kylian Mbappé, di fatto fuori rosa al Psg e a un anno dalla scadenza del ricco contratto che lo lega ai parigini, all'Al Hilal per un'operazione da un miliardo di euro. Per un solo anno, il prossimo, visto che rimane solio il sospetto che nel giugno 2024 il fenomeno francese sia pronto a sposare la causa del Real Madrid, possibilmente a parametro zero.
Troppo per non aprire gli occhi e accorgersi del rischio che sta correndo tutto il calcio europeo, oltre a quello mondiale, se accetta di consegnarsi nelle mani delle ricchezze senza limiti che vengono dal petrolio. Il numero uno della Uefa, Aleksandr Ceferin, ha definito nelle scorse settimane quella araba una specie di bolla come altre ce ne sono state nella storia recente del calcio, senza che nessuna lasciasse il segno. La Fifa pare più interessata a surfare sull'onda lunga dei petrodollari, dopo aver mandato in Qatar l'ultima edizione del Mondiale nonostante le proteste di mezzo mondo.
Apparentemente la montagna di denaro che viene dai club della Saudi League può sembrare la soluzione a tanti problemi. Toglie giocatori fuori progetto e con ingaggi pesantissimi alle società che non vedono spesso l'ora di disfarsene, pompa denaro fresco nel sistema con valutazioni spesso esagerate e aiuta a creare liquidità nell'immediato. Una specie di ciambella cui aggrapparsi in uscita dalla crisi pandemica che ha devastato i bilanci dei club causando miliardi di euro di perdite. Eppure il beneficio rischia di essere effimero mentre i danni e i pericoli molto più gravi e incombenti.
La sfida araba mira a spostare il centro del pallone più a oriente. Rispetto ad altri tentativi di lancio ed espansione - riferimento alla nascita del soccer Usa o alla breve stagione della Cina - i sauditi stanno facendo razzia non solo di calciatori alla fine della carriera, ma anche di campioni ancora pienamente attivi. Qual è il loro progetto? Si limita all'idea di riuscire a farsi assegnare una delle edizioni del Mondiale successive a quella del 2030 per la quale hanno ritirato la loro candidatura?
Siccome il calcio moderno si sta trasformando sempre più in media company e industria dell'intrattenimento, soffocando l'aspetto sportivo puro, il sospetto è che l'Arabia Saudita punti a prendersi la leadership mondiale pur sapendo di non aver dalla sua parte storia e tradizione e di non poterle acquistare. Una sfida tra Al Nassr e Al Ittihad, dunque, difficilmente avrà mai il fascino del Clasico o di una finale di Champions League, ma guai a sottovalutare il peso della nascita di un mercato che potrebbe nel medio periodo dragare la maggior parte delle risorse commerciali e televisive che ruotano intorno al calcio internazionale.
Dunque, un pericolo concreto che necessita una risposta forte e complessiva. Anche perché i club arabi non si muovono all'interno della stessa cornice di regole di quelli europei e nemmeno in un mercato con la stessa logica. Non esiste alcuna possibilità che investimenti e stipendi garantiti in questa folle estate 2023 possano trovare un equilibrio nei conti dei club sauditi e in realtà non ce n'è nemmeno bisogno, visto che paga tutto il fondo sovrano. E però in Europa da almeno un decennio questo viene limitato o scoraggiato attraverso un sistema di regole sulla carta rigido.
Quella araba è concorrenza sleale e mina alla radice la correttezza della competizione. Se non per i trofei, almeno per un po', certamente per la conquista del mercato dell'entertainment generato dal pallone e dalle sue stelle. Per quanto l'Europa accetterà di farsi razziare senza comprendere il pericolo e reagire?