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May 16 2014
Spesso ho pensato che la nostra esistenza fosse un budello complicato da dirimere, che molte cose ci fanno paura nel momento che le pensiamo e non quando le viviamo, che ci sono giorni che durano anni e anni che durano giorni. In questi attimi così difficili da decifrare, come una carta nautica di un oceano lontano, spuntano dei libri che accompagno questo vagar pensando e questo viver patendo. Uno di questi, capitati sulla mia meravigliosa scrivania in radica, appartenuta a Re Sole, c’era “Tutta la vita in un giorno”(Ed. Rizzoli, 2014) di Francesca Barra.
Il libro scorre sul filo del rasoio, perché le storie raccontate sono uno schiaffo in pieno volto, che da anima e consapevolezza, giocate su una scrittura morbida e voluttuosa, che non si perde nel semplicistico meandro della narrazione giornalistica dove c’è il fatto, il protagonista e l’interlocutore. Francesca Barra scava in maniera silenziosa e armoniosa tra le righe della società, è una donna e applica la sua femminilità, ad un prisma di analisi mai semplicistico.
Apriamo questa intervista con una notizia: la Lucania esiste e tu sei lucana di Policoro. Raccontami un po’ della tua meravigliosa terra.
Sono nata e cresciuta in Basilicata, a Policoro, un paese sulla costa Jonica. Credo che mi abbia dato la giusta dimensione del bello, della famiglia, dei rapporti sani ed onesti e poi fatto venire voglia di scoprire il resto del mondo. Non poteva essere tutto lì. Dovevo misurarmi con diverse realtà. L'ho fatto, ma ogni volta che posso torno.
Quest’anno hai condotto il concerto del Primo Maggio, banale chiederti come è stato, ma visto che un po’ di banalità ci vuole, Francesca com’è stato condurre il “concertone”? Mi raccomando la prima risposta deve essere: “una sensazione unica”.
Ho provato emozioni totalizzanti. Quasi un milione di persone che partecipavano a quell'evento. Non ho avuto paura. Ho provato gioia, allegria. Mi sono divertita. Abbiamo affrontato il palco sapendo che dovevamo essere noi stessi. E così è stato, nel pieno rispetto l'uno dell'altro. Non sempre accade. E non sentire la propria voce, mentre urlano cori di ogni genere, soprattutto al "genere" femminile, è stata una prova di forza. Ma ho molto apprezzato il pubblico. Silenzioso nei momenti più intimi e seri e comprensivo. Insomma, se vuoi che te lo dica, è stata una delle più grandi gioie (professionali) della mia vita. Essere stata scelta, come prima cosa.
Hai lavorato un po’ ovunque, qual è l’esperienza televisiva o comunicativa che ti ha dato di più?
La radio e il teatro.
Hai un rapporto molto prolifico con la scrittura, pensi davvero che scrivere libri serva oppure è un esercizio narcisistico?
Leggere serve. Io sono al completo servizio del lettore. Colmo un vuoto di informazione o lo arricchisco. Quando inizierò a scrivere romanzi o libri differenti, ti saprò rispondere diversamente. Forse.
Nel tuo ultimo bellissimo lavoro “Tutta la vita in un giorno” racconti di quel Paese nascosto ai più, quel Paese che spesso le telecamere non vedono o non vogliono vedere. Com’è stato scrivere questo libro ed immergersi in realtà che sembrano sempre essere distanti da noi?
E' stata una catarsi. Un momento di scrittura doloroso. Dovevo essere onesta, ma rispettare le storie degli altri, le sensibilità, la privacy, prevenire reazioni. Non è facile raccontare storie vere, di dolore così profondo.
"C'è la bellezza e ci sono gli oppressi. Per quanto difficile possa essere, io vorrei essere fedele ad entrambi”, è una frase di Camus, che sembra essere cucita su misura per il tuo libro, che ne pensi?
E' una frase che ho sempre cercato di fare mia. Disse Domenico Quirico: "E' stata una terribile esperienza, ma una grande esperienza. Chiedo scusa, ma tu sai qual è la mia idea di giornalismo. Di andare dove la gente soffre ogni tanto tocca soffrire come loro. Questa storia mi ha insegnato alcune cose". Ecco cosa ha insegnato a me: di essere fedele alla bellezza, a chi la perde, e agli oppressi. Sempre.
Cos’è per te la bellezza?
La visione migliore del mondo.
Quale storia ti è rimasta più dentro tra quelle che hai raccontato?
Quella dell'aspirante regista persiano. Senza soldi e con tanti sogni. E quella dei bambini che arrivano da ogni parte del mondo, venduti anche da più mafie. E che invece di dormire nei lettini, come i nostri figli, si trovano a viaggiare nascosti in diversi mezzi di trasporto e poi in strada.
Lo scorso anno conducevi una trasmissione su Radio Uno. Quanto ti manca il mezzo radiofonico?
La radio mi manca. Mi manca tutto il bene che abbiamo fatto, con quel programma. Oltre duemila storie di vittime innocenti e delle loro famiglie, raccontate. E' stato un megafono importante.
Bianco o nero?
Dipende se devi nascondere o mostrare.
Vedo che vivi tra Roma e Milano. Com’è vivere a Roncobilaccio?
Non solo nebbie e code recita il portale di Roncobilaccio. Lo sapevi? Io facevo anche quello in radio. Restituivo dignità a luoghi sottovalutati o conosciuti solo perchè legati ad episodi di cronaca, o come, in questo caso, al "passaggio" distratto.
Fai una dichiarazione d’amore ad Arfio.
Te possino...
Una dichiarazione che legge nel futuro, di solito me lo dicono dopo qualche mese “te possino”. Essendo eccessivamente narciso, non posso terminare l’intervista senza che tu rivolga una domanda a me. Prego.
Perché hai comprato e poi letto il mio libro?
Il titolo mi ha subito attirato, non come mero riferimento di marketing intendo, ma perché penso che ogni giorno viviamo una vita diversa, una storia con microdrammi, ansie, vita, morte, miracoli in ventiquattro ore. E’ un titolo evocativo, bello e doloroso al tempo stesso. L’ho letto perché avevo bisogno di vita vera, io che per gioco e per diletto faccio sempre finta e perché come sai sono i libri a scegliere il lettore