News
February 07 2022
Abbiamo un fenomeno e non lo sapevamo. O, meglio, ce ne siamo dimenticati per quattro anni salvo riprendere in mano il libro di storia giusto in tempo per sederci in poltrona a guardare le Olimpiadi di Pechino, solo che nel frattempo la storia si è trasformata in leggenda. Arianna Fontana è il simbolo dell'Italia che suda, lavora, vince e per bucare lo schermo deve aspettare che tutti i pianeti si allineino nel modo giusto, cosa che avviene per lei e per quelli come lei - figli degli sport minori - più o meno una volta a quadriennio. Una condanna che non toglie certo dignità alle loro vittorie, anzi ne conferisce un'aurea particolare, ma che certamente contribuisce a renderle ancora più difficili perché a dimenticarci di Arianna e di quelle come lei sono tutti, compresi quelli che dovrebbero aiutare il meraviglioso sport italiano a crescere e svilupparsi in strutture adeguate.
Non è il solito piagnisteo di retroguardia che accompagna l'appuntamento quadriennale con le storie degli atleti olimpici, meglio se medagliati. Ascoltare la dedica che Francesca Lollobrigida, fresco argento nel pattinaggio di velocità su pista lunga che in Italia si pratica praticamente solo in una località, all'aperto e al gelo, ha fatto direttamente da Pechino non appena ripreso fiato dopo la sua meravigliosa volata fino al podio. Oppure immaginare cosa sarà tra qualche mese - anzi settimane - di Stefania Constantini e Amos Mosaner, la coppia del curling che sta riscrivendo storia e gerarchie di una disciplina fin qui nota solo per essere presa a paradigma di quanto possa essere noioso e ridicolo tutto ciò che non conosciamo e che, invece, necessità talento e applicazione per salire sul tetto del mondo.
Ecco, loro come Arianna e Francesca e tanti altri sono i Jalisse della cultura sportiva del nostro Paese che insegue mode sportive regalando fama e denaro a volte in maniera incoerente rispetto al reale valore dell'atleta. Arianna Fontana, ad esempio, con l'oro conquistato nei 500 metri dello Short track a Pechino ha raggiunto Stefania Belmondo (la ricordate? lo scricciolo del fondo condannata per tutte la sua carriera ad essere 'l'altra' rispetto a Manuela Di Centa) come atleta italiana più medagliata di sempre ai Giochi. Dieci volte sul podio da Torino 2006, quando era poco più che adolescente, a Pechino 2022: solo Armin Zoeggeler - altro invisibile dello sport italiano - ha saputo fare meglio (6 edizioni consecutive a medaglia) ma nessuno se ne ricorda.
Una lezione che non impariamo mai, nemmeno appena usciti da un 2021 talmente ricco di gioie da risultare quasi esagerato. E dentro un 2022 che promette bene ma che per gli umori di tutti noi sarà quasi interamente legato allo spareggio cui la nazionale di calcio si è condannata per non bucare l'appuntamento con il Mondiale. Non si tratta di mettere l'uno contro l'altro e nemmeno di dire che Arianna vale più di qualche presunto fuoriclasse molto televisivo ma con un palmarès nemmeno confrontabile; siamo abbastanza intelligenti da capire che, ad esempio, nuoto e atletica leggera hanno una diffusione nel mondo superiore allo Short track e, dunque, anche i podi vanno pesati oltre che contati.
Però il vizio di trasformare i nostri fenomeni in invisibili non ce lo riusciamo a togliere. Per capirci, mentre da noi ci si scannava sul Var e dintorni, negli Stati Uniti la CNN inseriva Arianna Fontana nel ristretto novero dei 25 campioni per cui valesse la pena mettere la sveglia e seguire i Giochi di Pechino. Sarà perché lei - valtellinese di nascita - ora è anche mezza americana, trascorrendo tanto tempo in Florida dove c'è la famiglia del marito e allenatore Anthony? Può darsi. O, forse, sarà solo perché a volte le storie dei migliori sarebbe bello seguirle e raccontarle non solo una volta ogni quattro anni.