L'ultima guerra di Putin che vuole prendersi Ariston e tutte le aziende da trasformare in russe

Un ricatto? Cosa c’è dietro la decisione, improvvisa e non annunciata, di Mosca di “nazionalizzare” lo stabilimento dell’italiana Ariston in territorio russo? C’è la guerra in Ucraina con le sanzioni imposte dall’inizio del conflitto, ma c’è, anche e soprattutto, il tentativo di bloccare, in extremis, la possibilità di impiegare gli asset russi congelati in Europa proprio a favore di Kiev.

Venerdì Putin ha firmato e pubblicato un decreto che trasferisce temporaneamente le sussidiarie russe di Ariston e di Bosch alla Gazprom Domestic Systems. È stato possibile grazie a una regola introdotta in Russia nel 2023 che permette al governo di sequestrare i beni di aziende di Paesi considerati “ostili”. Ci sono i precedenti. Stessa cosa, infatti, Mosca ha fatto la scorsa estate con le filiali russe della Danone e della Carlsberg, proprio poco prima dell’annuncio delle due aziende di voler lasciare il Paese. Ora è toccato all’italiana Ariston che nel 2023 ha prodotto 100milioni di euro di ricavi in Russia. Lo stabilimento vicino a San Pietroburgo occupa un sito di 64mila metri quadrati e conta 300 dipendenti, compresi quelli della rete commerciale.

Immediate sono arrivate le reazioni. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha convocato l’ambasciatore russo in Italia e Bruxelles ha definito la mossa di Mosca come un “chiaro segno di disprezzo della Russia per il diritto internazionale”. Putin, dunque, torna a caccia di aziende occidentali, proprio alla vigilia del G7 a guida italiana. Un segnale. Un’azione di risposta alla morsa delle sanzioni dell’Occidente scattate con la guerra in Ucraina. Uno degli ultimi rapporti della Commissione europea parla chiaro: l’economia russa è diventata un’economia di guerra, cioè la crescita è dovuta all’aumento delle spese militari. Il rublo ha perso oltre il 20% rispetto al dollaro e i tassi sono stati aumentati al 16% con l’inflazione che viaggia sopra il 7%. Le sanzioni costano a Mosca e la guerra ha bisogno di soldi.

Ma nazionalizzare le filiali delle aziende di Paesi “ostili” che non hanno lasciato la Russia non è solo una reazione alle sanzioni che continuano a piovere su Mosca. È anche un braccio di ferro politico ed economico sulla futura gestione degli asset russi congelati. Europa (e Stati Uniti) vogliono usare quei soldi per supportare l’Ucraina. Sono circa 3 miliardi di euro l’anno derivati dagli interessi dei beni russi sequestrati. Mosca pochi giorni fa aveva parlato chiaramente. In caso l’Occidente confiscasse i suoi beni congelati a favore dell'Ucraina: "Abbiamo un progetto di legge, che siamo pronti a prendere in considerazione immediatamente, sulle misure di ritorsione. E gli europei perderanno più di noi", ha detto la portavoce della camera alta del parlamento russo, Valentina Matvienko, all'agenzia di stampa statale Ria.

E alla vigilia della decisione ecco la “nazionalizzazione” delle filiali italiane e tedesche di due aziende. Una mossa di Mosca per fare pressione su Roma e Berlino? Bruxelles ha chiesto la revoca immediata del provvedimento firmato da Putin definendo la Russia “un attore imprevedibile anche in campo economico”. Intanto avvio negativo oggi per Ariston, gruppo quotato su Euronext Milan. E preoccupazione da parte dei sindacati.

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