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August 08 2014
Ilham Aliyev, presidente dell'Azerbaijan, si aggiudica la palma di primo "dittatore 2.0". Non era mai successo che un capo di Stato minacciasse di dichiarare guerra a un altro paese tramite un twit . Ma l'uomo ne sa una più del diavolo e il suo profilo su Twitter è rigorosamente in inglese, in modo tale da parlare alla comunità internazionale e non ai suoi sudditi (in Azerbaijan il concetto di "cittadino" non esiste).
A sentire lui, durante la sua recente visita a Roma avrebbe trovato dei nuovi "amici", pronti a sostenere la sua linea sul Nagorno Karabakh, in barba alle indicazioni dell'Unione europea.
Il ministro degli esteri, FedericaMogherini, sulla vicenda per ora è rimasta in silenzio, creando non poco stupore a Bruxelles, dove ci si chiede da che parte stia l'Italia. E non è una domanda da poco, visto che Matteo Renzi, con tanto di lettera a Jean-Claude Juncker, ha chiesto a gran voce la poltrona di alto rappresentante della diplomazia Ue proprio per Federica Mogherini.
Ma cerchiamo di capire meglio di cosa stiamo parlando. Quella tra Armenia e Azerbaijan è una "guerra sospesa", che vede al centro del contendere il Nagorno Karabakh, un fazzoletto di terra tra le montagne sud caucasiche, abitato da una popolazione a maggioranza cristiana che si sente profondamente armena.
La guerra tra Armenia e Azerbaijan per il Nagorno Karabakh inizia a fine anni '80 e si conclude (o meglio viene congelata) a maggio del 1994. In mezzo ci sono più di un milione di profughi e migliaia di morti. Nel frattempo i due Paesi sono diventati repubbliche indipendenti dopo il crollo dell'Unione sovietica.
Una repubblica democratica, l'Armenia, e una feroce dittatura travestita da repubblica, l'Azerbaijan. Una repubblica cristiana e povera, l'Armenia, una repubblica islamica e ricchissima, l'Azerbaijan. Baku siede su un mare di gas e petrolio, ed è questa la fortuna della dinastia degli Aliyev, che da decenni governano il Paese nel terrore, strangolando qualsiasi voce fuori dal coro.
In Azerbaijan l'opposizione è come i panda, una specie in via di estinzione. Quelli ancora in vita sono tutti in carcere. La libertà di espressione è una chimera. I media sono controllati dal regime e le organizzazioni internazionali denunciano ogni giorno la violazione dei più elementari diritti umani e civili. L'Europa stessa si è più volte pronunciata contro il regime degli Aliyev.
Anche in queste ore Lady Pesc, Catherine Ashton, ha diramato un comunicato stampa in cui dichiara: "Prendiamo atto con sgomento che un altro difensore dei diritti umani di rilievo, Rasul Jafarov, è stato arrestato in Azerbaigian", e aggiunge: "Rimaniamo preoccupati per la situazione della sicurezza nella regione, e ricordiamo la nostra dichiarazione del 3 agosto 2014 in materia di Nagorno-Karabakh. Siamo convinti che la società civile ha un ruolo vitale da svolgere nel difendere le libertà fondamentali, in particolare durante i periodi di conflitto. Questo è stato il messaggio lanciato dal presidente della Commissione europea Barroso al Presidente Aliyev, durante la sua visita in Azerbaijian il 14 giugno 2014".
La posizione dell'Europa ribadita recentemente da Barroso non è cambiata nel corso degli ultimi anni. Il presidente della Commissione europea ha definito "inaccettabile" lo status quo del Nagorno Karabakh (lo Stato "sospeso"), e ha preso atto che dopo venti anni dal cessate il fuoco "la pace rimane ancora irraggiungibile", invitando "L'Azerbaijan e l'Armenia a intraprendere trattative finalizzate a ottenere risultati per un accordo di pace".
Tradotto: l'Europa non parteggia né per l'Armenia né per l'Azerbaijan ed è attiva nel dare il suo contributo all'interno del Gruppo di Minsk (emanazione dell'Osce e composto da Stati Uniti, Francia e Russia e da altri Paesi tra cui l'Italia) per trovare una soluzione al conflitto che non passi dai fucili ma dal tavolo dei negoziati. Tutto chiaro. La linea europea è cristallina.
Così come pure quella russa, francese e americana. Vladimir Putin ha invitato i due presidenti di Armenia e Azerbaijan a Sochi per un nuovo round di negoziati, onde evitare che gli scontri lungo il confine degli ultimi giorni portino all'esplosione di una nuova guerra, che destabilizzerebbe ulteriormente l'area.
Eppure, secondo il regime azero l'Italia (che, per inciso, presiede il semestre europeo) avrebbe abbandonato la linea di neutralità europea per mettersi al fianco degli Aliyev. Il presidente azero è recentemente venuto in visita a Roma. Con Baku l'Italia ha una scottante questione aperta: il Tap, il mega gasdotto che dovrebbe portare il gas azero sulle coste della Puglia.
Ma durante la sua vacanza romana, Aliyev ha incontrato il presidente del Consiglio Matteo Renzi con un altro scopo oltre il Tap (accordo tra l'altro già siglato da Enrico Letta poco prima che il suo governo decadesse in favore di quello renziano), ossia di strappare una dichiarazione politica congiunta all'Italia, per poi pubblicizzarla all'estero, dove il regime azero gode di una pessima reputazione.
I nostri diplomatici si mettono a lavorare su un testo congiunto, ma Aliyev non è uno abituato ad aspettare e, subito dopo aver lasciato l'Italia, fa pubblicare sul sito ufficiale dell'ambasciata azera a Roma una bozza di dichiarazione congiunta, spacciandola per la dichiarazione finale.
Nel testo si dice che "L'Italia supporta la soluzione del conflitto in Nagorno-Karabakh nel quadro dell'integrità territoriale dell'Azerbaijan". Il che tradotto equivale a dire che "improvvisamente" l’Italia ha cambiato posizione rispetto all’Ue e all’Osce.
La bozza spacciata per vera è chiaramente fasulla, ma - ed è questo l'aspetto grave e inquietante della vicenda - la Farnesina tace e non smentisce. I funzionari che si occupano del testo dichiarano che ancora ci stanno lavorando, ma nessuno osa sbugiardare gli azeri. La ministra Federica Mogherini non pervenuta. Il presidente del Consiglio Renzi idem.
Si sa, una bugia ripetuta mille volte rischia di diventare una verità. E così qualche giorno fa un noto quotidiano nazionale pubblica un articolo dal titolo emblematico: "Baku incassa il pieno sostegno italiano sul Nagorno Karabakh". Ci si aspetterebbe una reazione sdegnata da parte di Federica Mogherini, ma dalla Farnesina nessuno batte un colpo e i soliti funzionari dichiarano che stanno ancora lavorando sulla dichiarazione congiunta, nemmeno fosse la scoperta della pietra filosofale.
A questo punto, la nostra posizione in Europa diventa imbarazzante. Abbiamo un ministro degli Esteri candidato alla poltrona di alto rappresentante della diplomazia Ue, che non si esprime sull'Azerbaijan e che tace nel momento in cui il regime azero detta la linea al nostro governo e ci presenta nel mondo come i suoi migliori amici.
Insomma, è necessario che il governo italiano esprima la sua posizione in maniera chiara e netta. La domanda è semplice: stiamo con l'Europa o preferiamo metterci dalla parte di una delle più feroci dittature del mondo?. Il gasdotto Tap e l'economia non c'entrano. E' una questione meramente politica, come insegna la Gran Bretagna che da anni è uno dei migliori partner commerciali dell'Azerbaijan, ma che in maniera altrettanto incisiva non perde occasione per bacchettare il regime di Baku in materia di diritti umani e civili.
Basterebbe anche solo un cenno da parte di Federica Mogherini, una parola che porrebbe fine all'intera questione, montata a regola d'arte dalla propaganda azera. Ma niente, la Farnesina sembra già chiusa per ferie. E gli azeri gongolano per i loro "nuovi amici".