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Difesa e Aerospazio

Pericolo caduta asteroidi

Solcano l’universo come razzi, a una velocità media di 18 mila chilometri orari, senza mettere frecce né evitare ostacoli. Se impattano contro un pianeta, a seconda delle loro dimensioni possono provocare qualche cratere, nella migliore delle ipotesi, o causare un’estinzione di massa (accadde così, sulla Terra, 66 milioni di anni fa, quando fu annientata la «stirpe» dei dinosauri). In Italia, uno dei telescopi avanzati creati apposta per avvistare questi erranti corpi celesti, e prevenire il pericolo, ha rischiato di non vedere la luce per l’opposizione di alcuni gruppi ambientalisti.

Parliamo dell’Osservatorio sul monte Mufara, nel Parco delle Madonie, in Sicilia, denominato Flyeye: un gioiello hi-tech nato dalla collaborazione tra l’Agenzia spaziale europea (Esa) e quella italiana (Asi) e approvato a pieni voti dal ministero per lo Sviluppo economico. Un brevetto made in Italy che segna una svolta nel modo di rilevare gli asteroidi. Nonostante ciò, Club alpino italiano, Legambiente Sicilia, Lipu e Wwf Sicilia l’estate appena trascorsa ne avevano bloccato la realizzazione sostenendo che avrebbe avuto un forte impatto ambientale. Il 24 settembre il Tar ha rigettato il ricorso aprendo la strada alla realizzazione di questa struttura che, oltre a proteggere da asteroidi pericolosi, rispetta l’ecosistema del monte Mufara (a differenza di quanto sostenuto dagli ecologisti).

Che il rischio non sia poi così remoto (anche se non siamo più nei tempi burrascosi della Terra primordiale) lo ricorda Washington Post: «Questi sono asteroidi che spaventano gli scienziati. Siamo preparati ad affrontarli?» titola in un suo recente articolo, facendo riferimento a 2.500 corpi celesti, troppo piccoli per essere individuati in tempo dagli strumenti ma abbastanza grandi per fare danni. Rocce dai 20 ai 250 metri di diametro, detti anche Neo (Near earth objets) che, sempre secondo il quotidiano americano, rappresentano un grattacapo per chi li sta cercando.

«Può un progetto nato in collaborazione con l’Agenzia spaziale europea, e quindi internazionale, non rispettare tutte le regole di sostenibilità, comprese quella ambientale?» si chiede polemicamente Roberto Ragazzoni, presidente dell’Istituto nazionale di Astrofisica Inaf e professore ordinario al Dipartimento di fisica e astronomia dell’Università di Padova. «Questo telescopio, che ho creato con due colleghi, alimentato a energia solare, non sono un ecomostro di cemento. Sarà un ponte tra la natura della montagna e il cielo».

L’habitat del Mufara (dove esiste già un altro osservatorio) scelto per le sue condizioni meteo molto favorevoli all’osservazione spaziale, è un luogo alto e buio, lontano dall’illuminazione artificiale. Flyeye vedrà, almeno 12 ore prima, gli asteroidi potenzialmente pericolosi (che in genere gravitano in orbite stabili tra Marte e Giove). Potrà calcolare con certezza matematica il luogo dell’impatto permettendo alla Protezione civile di dare il via ai piani di evacuazione. Progettato per osservare il cielo a 360 gradi, è collegato a telescopi «gemelli» in Cile, Arizona, Hawaii, Canarie. «Attualmente conosciamo il 99 per cento degli asteroidi con diametro superiore a un chilometro, quelli che possono provocare disastri al livello planetario» sostiene Antonella Barucci, astrofisica, planetologa e ricercatrice all’Osservatorio di Parigi. «Un asteroide di 100 metri di diametro può provocare la distruzione di un’area corrispondente a Roma o Parigi. Tutti i programmi per avvistarli e mapparli, a cui partecipa l’Italia con l’Inaf, hanno il compito di caratterizzarne le proprietà chimiche e fisiche. Conoscenze necessarie per definire i modi e le tecnologie per deviarli e impedirne l’impatto». Il rischio è che uno di questi corpi celesti devii dalla sua traiettoria originale e faccia rotta verso la Terra. «Sono frequenti, ovviamente parliamo di tempi astronomici, le collisioni fra asteroidi che finiscono per frammentarsi: i frammenti hanno percorsi diverse, e alcuni potrebbero incrociare l’orbita terrestre».

Per ora a «dirottarli» ci pensa Dart, sonda spaziale che, scagliata verso il corpo celeste, lo «sboccia» come nel gioco del biliardo. Allo studio ci sono anche le esplosioni provocate sulla superficie del meteorite o i «fasci ionici ad alta velocità» sparati nell’angolo giusto della roccia. «Queste metodologie sono concettualmente corrette ma difficili da applicare perché non si possono conoscere dettagliatamente le proprietà degli asteroidi, e le tecnologie necessarie non sono ancora disponibili. Uno studio sempre più approfondito permetterà nuove tecnologie di difesa».

C’è anche da dire che allarmi imminenti non ce ne sono. Statisticamente, è più probabile che un asteroide killer cada negli oceani, visto che la superficie della Terra è coperta per la maggior parte da acqua, o in zone a bassa densità di popolazione, come i deserti. Quello che ha attraversato l’atmosfera lo scorso 4 settembre, largo un metro, si è disintegrato nel cielo delle Filippine con una fiammata ben visibile senza fare danni.

Il celebre meteorite di Cheljabinsk del 15 febbraio 2013 invece, 20 metri di diametro, pur esplodendo a 30 chilometri d’altezza sui cieli della Russia, con la sua onda d’urto mandò in pezzi migliaia di finestre. Tanti i feriti a causa dei vetri rotti, nessun morto. «Non bisogna essere allarmisti» conclude Barucci. «Però sarebbe una pazzia ignorali: anche un rischio molto improbabile non deve essere trascurato». Insomma: un asteroide che ci cada sulla testa senza lasciarci via di scampo, è una causa di morte remota. Però (giusto per fare un altro paio di esempi) il 27 e il 29 giugno di quest’anno due rocce non troppo «amichevoli», 2011 UL21 e 2024 MK, sono passate a pochi milioni di chilometri dal nostro pianeta. E sapere che qualcuno tiene d’occhio quelle due migliaia circa di asteroidi potenzialmente pericolosi (c’è persino una «lista nera» astronomica che li elenca, come il Sentry Risk Catalogue della Nasa e la Risk List dell’Esa) fa dormire sonni più tranquilli.

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