A Torino si celebra l'amore tra Lavazza ed il tennis

Pensi a Torino e ti viene in mente un gianduiotto, il Museo del Cinema o quello Egizio. Magari la Juve di Del Piero o il Grande Torino di Valentino Mazzola, Rigamonti e Bacigalupo. Pensi a Torino, prima capitale d’Italia e un colpo al cuore ti riporta con la mente ai tempi in cui per le strade giravano i Savoia. La città dei grandi caffè storici, la culla dell’industria automobilistica e di molte altre eccellenze.

Poi pensi al tennis e ti viene in mente la terra rossa dei Roland Garros, quel geniaccio di Agassi, l’erba immacolata di Wimbledon, The Hammer, alias Berrettini, il nostro futuro, Nadal e i suoi punti appassionati. Uno sport solitario, in cui la migliore delle traiettorie è decisa in poche frazioni di secondi.

Bene, cosa unisce Torino e il tennis? Oggi più che mai, la famiglia Lavazza, che il nome della città lo ha fatto diventare parte del logo, come a voler sancire un legame che mai nessuno potrà compromettere.

Per il secondo anno consecutivo le Nitto ATP Finals (il torneo riservato agli otto migliori giocatori dell'anno) si tengono, in questi giorni, proprio nel capoluogo piemontese, e continueranno a darsi appuntamento all’ombra della Mole fino al 2025.

La famiglia Lavazza, al pari degli organizzatori e delle istituzioni nazionale e territoriali ha dimostrato sin da subito quel legame speciale ormai radicato con il mondo del tennis professionistico.

Abbiamo incontrato il vicepresidente Lavazza Group e membro del Comitato d’Onore di Nitto ATP Finals, Marco Lavazza, nel Fan Village adiacente al Pala Alpitur, all’interno di Espressoland, l’area ludica che ha permesso a tutti gli appassionati di scoprire le regole di un vero espresso italiano.

Il ruolo attivo che svolge la famiglia Lavazza nella città e per la città di Torino è sotto gli occhi di tutti e non è per nulla scontato. Perché tanta ostinazione?

Siamo qui da 127 anni e questo vuol dire tanto. Il fatto di aver costruito la nostra nuova sede qui, pur non parlando di una città frizzantissima dal punto di vista immobiliare, è stato la dimostrazione della nostra volontà di rinnovare le nozze con questa città. Semplicemente viviamo a Torino, la amiamo e abbiamo scelto di metterla al centro del nostro marchio: Torino, Italia 1895.

Ho vissuto in maniera meravigliosamente divertita i Giochi Olimpici invernali del 2006: ho fatto per 20 anni gare di sci, era l’apoteosi. Quel momento fece sì che la nostra città fosse indicata precisamente al mondo dove fosse, non alla destra o alla sinistra di Milano.

Siamo nati nel quartiere Aurora, quel quadrante di Torino ci ha sempre portato bene, ecco perché abbiamo fatto un trasloco di appena 500 metri. Siamo ostinati, crediamo stoicamente nella nostra città con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. È il nostro modo di dire grazie e sempre in questo approccio si inserisce lo sforzo collettivo fatto per portare un evento mondiale come le Nitto ATP Finals, nella nostra città.

Il matrimonio di Lavazza con il tennis è iniziato oltre dieci anni fa, in quello che da tutti è considerato il tempio di questo sport: Wimbledon.

Abbiamo iniziato partecipando al torneo, più storico, più iconico e più difficile. Lavorare con gli inglesi, fargli capire che eravamo un’azienda affidabile, fargli capire cosa potesse esserci in comune tra tennis e caffè, non è stato facile. Eravamo considerati un partner di prodotto e basta. Dopo pochi anni, sono stati loro a chiederci di continuare, ci hanno permesso di lavorare insieme a loro, cosa che non era mai successa prima. Gli inglesi sono amanti delle regole, e noi siamo diventati la nuova regola per quel che riguarda Wimbledon. Da lì abbiamo iniziato a lavorare al Roland Garros, a New York e poi anche con l’Australia. È stato un colpo di fortuna essere entrati in questo mondo e un colpo di fulmine perché poi ci siamo innamorati del tennis. Un amore assolutamente ricambiato perché abbiamo portato prima di tutto l’italianità, quella capacità innata che abbiamo di creare un ambiente familiare, anche all’interno del tennis. Questa probabilmente è stata la grande bravura di Lavazza in questi anni.

Avete dato vita ad un corto circuito pazzesco. Producete un prodotto popolare, il caffè, che tutti si possono permettere e lo avete proposto, presentato e servito all’interno di un contesto elitario come quello del tennis.

Non considero il tennis uno sport elitario. Per noi l’idea di lavorare con il tennis era molto trasversale, ci piaceva. Pensate a quanta storia e tradizione si porta dietro un mondo come quello di Wimbledon, ecco, è proprio quello che siamo noi della famiglia Lavazza: storia e tradizione. Il caffè dà poi energia, e nel tennis è importante non perderla mai. Ma la cosa che ci è piaciuta di più del tennis è il suo essere uno sport che non divide, mi piace un giocatore ma non odio il suo avversario. È giocato a tutte le latitudini e poi, ma solo dopo ci siamo resi conto che i quattro tornei più importanti si svolgevano nei quattro mercati più significativi per la nostra azienda. Una perfetta complementarità, direi.

Come si fa cultura intorno ad una tazzina da caffè?

Il nostro prodotto ha una sua cultura, fa parte del nostro modo di vivere. Il modello di vita italiano continua a piacere, nonostante tutto, e far partecipare gli stranieri a questo nostro modo di godere la vita è un elemento incredibilmente importante per Lavazza.

A Torino, al suo fianco, abbiamo visto un giovane Jannik Sinner, fenomeno del tennis italiano e protagonista della campagna advertising internazionale 'More than Italian'. Come si sceglie un Ambassador?

Deve avere la nostra stessa passione per quello che è il suo lavoro. Cerchiamo persone appassionate. Abbiamo lavorato con mostri sacri del tennis, ne cito uno che è la summa di tutto, Andre Agassi. Aver potuto lavorare con lui è stata un’emozione incredibile. Lavorare con Sinner è doppiamente piacevole perché è italiano, aiutiamo così a sostenere uno dei nostri campioni. È un ragazzo molto serio, che arriva da una regione dove lo sport è una ragione di vita. Ha iniziato con un altro sport, ha switchato dallo sci al tennis e l’ha fatto diventare la sua ragione di vita. Un altoatesino che sembra un piemontese.

Avete intrapreso da anni un percorso di ottimizzazione di tutti i prodotti in termini di sostenibilità, qualità, sicurezza ed eccellenza. Che coordinate sta prendendo oggi l’azienda?

Il claim Sustainable by design è diventato quasi una ragione di vita, uno stile. Il nostro obiettivo è garantire la massima qualità del caffè con il minore impatto ambientale possibile. Questo avviene nell’ambito della Ricerca e Sviluppo, grazie alla sperimentazione e all’implementazione delle tecniche più innovative fin dalle prime fasi di progettazione degli imballaggi, delle macchine da caffè e dei modelli produttivi.

Il primo seme di questo nuovo approccio, chi lo piantò?

Il nostro bisnonno era un contadino, arrivava dalla terra. Si è spostato dalla provincia verso la grande città, sempre tenendo a cuore le persone e il rispetto della terra. Trovandosi a lavorare con un prodotto come il nostro, coltivato nella fascia equatoriale del mondo, quindi la fascia più povera della Terra, è venuto a contatto con gente che lo ha colpito profondamente. Da persona rispettosa ha cercato di capire come poteva essere d’aiuto. Tutto il suo sforzo è giunto a compimento qualche anno fa con il programma della CSR (Corporate Social Responsability), in pratica abbiamo dato solo un nome ad un movimento che già esisteva.

Per noi collaborare con coloro che coltivano la terra è la normalità. Non lo facciamo da un punto di vista imperialista, non vogliamo insegnare come vivere a nessuno, semmai cerchiamo di capire quali sono le sue condizioni, aiutandoli dal punto di vista del lavoro, con pratiche agricole che magari non conoscono, affinchè possano produrre un prodotto migliore, con meno pesticidi, utilizzando meno acqua, e usando meglio la terra, facendo girare le culture. Nel momento in cui si arriva a un prodotto migliore da immettere sul mercato, considerando che il caffè è quotato in borsa, lo si può vendere ad un prezzo maggiore, guadagnando così di più per poter poi reinvestire nella propria qualità di vita.

Il cerchio è chiuso, quindi?

La chiusura del cerchio sono i prodotti ¡Tierra!, una selezione premium di Arabica biologica proveniente da luoghi incontaminati dell'Africa e del Centro e Sud America, luoghi in cui la Fondazione Lavazza sta insegnando ai produttori come far fronte agli effetti del cambiamento climatico. Parliamo di 32 progetti che portiamo in giro, in oltre 20 paesi nel mondo. Anche il consumatore finale tocca con mano quello che è il nostro impegno in chiave sostenibile verso la Terra.

La percezione del consumatore è cambiata? In che termini?

La globalizzazione ha portato il consumatore ad essere molto più attento e a creare un movimento che si chiama fact-checking, in altre parole controlla se le affermazioni che vengono dette sono veritiere oppure no. Per una azienda come Lavazza, che ha fatto della reputazione il suo marchio di fabbrica, questo è imprescindibile: quello che diciamo, facciamo.

Il consumatore non va più al supermercato solo per soddisfare un’esigenza primaria, si muove sempre più con cognizione di causa. Vuole capire quale azienda c’è dietro, come un alimento viene prodotto e seguendo quali valori. Portare la nostra esigenza famigliare, che punta sempre ad essere credibile e rassicurante nei confronti del consumatore è una ragione di vita e di questi ragionamenti sono figli tutti quei prodotti fatti con le plastiche compostabili, o le macchinette a basso impatto elettrico.

Quando abbiamo provato ad organizzare in avvio di queste Nitto ATP Finals, una cena che doveva essere si divertente ma anche unica… abbiamo scelto di dare una seconda vita al nostro caffè destinato al macero, trasformandolo in un campo da tennis. Un’idea splendida, funzionale e funzionante, nata dalla collaborazione con la start-up milanese Spazio Meta, che si propone di limitare gli sprechi, incentivando il riciclo creativo. Quando a fine cena due dei tennisti ospiti hanno provato a palleggiare, hanno detto che il risultato era ottimo. Come dire, abbiamo piantato un seme. Ancora uno e chi può dirlo cosa potrà un giorno germogliare da quel piccolissimo granello di… caffè?

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