Politica
March 28 2022
La rimilitarizzazione dell’Europa è inevitabile. C’è una guerra di aggressione in corso, uno scontro tra due stati sovrani sulla soglia del continente. Non si tornerà indietro nel breve termine da un assetto dello Stato più securitario e militare. D’altronde l’invasione russa ha dimostrato come la scarsa deterrenza - fondata su una politica di difesa debole - incentivi la politica di potenza. Gli ucraini andavano armati maggiormente negli scorsi anni e i paesi NATO avrebbero dovuto spendere maggiormente a livello militare, azioni che avrebbero disincentivato l’avventura sanguinaria di Putin oltre confine e su così vasta scala. Ora è tardi per piangere sul latte versato, ma si è ancora in tempo nel comprendere che da una politica di difesa forte non si può prescindere, soprattutto ora che si profila la triste possibilità di un Vietnam europeo ed una crescita ulteriore della conflittualità con la Cina. Uno stato è prima di ogni altra cosa la sua politica estera, defensor pacis e dominus belli. Per questo appaiono pavide e incomprensibili le posizioni dei partiti della maggioranza Draghi che frenano per l’aumento della spesa militare.
Il caso più imbarazzante è senza dubbio quello dell’ex presidente del consiglio e leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte, il quale più di ogni altro politico continua a ripetere che sia necessario impiegare altrove le nuove risorse destinate agli apparati militari. Un gioco che spinge Conte verso la sinistra massimalista e pacifista a prescindere. Non è un caso che l’ex premier sia stato seguito da Sinistra Italiana nella sua linea NATO scettica mentre il gelo ricopre ciò che resta dei rapporti tra Conte e il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Stesso partito, posizioni opposte. Un passo ulteriore verso la liquidazione politica del Movimento 5 Stelle. Ma anche a destra c’è chi rischia di perderci la faccia.
Matteo Salvini continua a propugnare una linea ondivaga, che accenna al pacifismo (“le armi non sono mai la soluzione”) e sembra voler preservare ad ogni costo un filo rosso con Mosca. Senza sforzarsi di comprendere che nel giro di poche settimane siamo entrati in una nuova fase storica e che il futuro della Lega, oltre che quello personale di Salvini, si giocheranno sull’Atlantismo e sulla capacità di immaginare il ruolo italiano nel blocco occidentale. Il distinguo rispetto alla linea di Forza Italia e Fratelli d’Italia - favorevoli all’aumento della spesa per la difesa - rischia di non funzionare, di spingere l’elettorato leghista verso gli altri partiti della coalizione. Sarebbe l’ennesimo errore degli ultimi mesi da parte di Salvini.
Più fruttuosa potrebbe essere invece la discussione sull’impiego di questi fondi. Gli eserciti non fanno soltanto la guerra né si limitano a comprare armi: sviluppano tecnologia, creano infrastrutture, raccolgono informazioni, si rapportano e aiutano il settore privato, mettono in sicurezza i processi d’immigrazione. Le stesse forze armate hanno bisogno di modernizzazione e riforme. Su questo, più che sull’aumento della spesa militare in se, bisognerebbe discutere.
Come usare il surplus di bilancio per la difesa? O alcuni partiti italiani vogliono rinunciare a questa possibilità in nome di pericolosi equilibrismi ideologici? Ci sarà inoltre da capire se questo processo di spesa sarà autonomo, cioè nazionale, o se invece avverrà sotto l’egida internazionale della NATO oppure in cooperazione con gli altri paesi dell’Unione Europea (sovranazionale). Come questa possa avvenire può e deve essere oggetto di discussione. È probabile che questi tre livelli si integreranno in qualche forma, nell’ottica di un rafforzamento del blocco euroatlantico e di una ricerca negoziata dell’autonomia europea dagli Stati Uniti. Ad ogni modo, la classe politica deve venire a patti con l’idea che lo scenario è cambiato: le linee rosse della politica internazionale si sono ristrette, ci si può muovere e negoziare in quello spazio. Oltrepassarle, invece, è molto pericoloso per chi aspira a governare in futuro.