Economia
February 07 2023
Puf! Sono bastate poche settimane per far esaurire i 150 milioni di euro di incentivi per l’acquisto di auto nuove con emissioni tra 61 e 135 grammi di CO2 per chilometro. Una corsa al bonus che ha contribuito, insieme alla maggiore disponibilità di prodotto, alla forte ripresa delle vendite sul nostro mercato: in gennaio sono state immatricolate 128.301 vetture con una crescita del 18,96 per cento sul gennaio 2022. Un boom che segue il più 21 per cento messo a segno in dicembre. Gli incentivi del resto sostengono una fascia di mercato molto ampia: sono previsti 2.000 euro, solo con rottamazione di un veicolo fino a Euro 4, per le auto che emettono appunto da 61 a135 g/km e con un prezzo inferiore a 42.700 euro. Rispetta per esempio questi requisiti una Golf diesel con 150 cavalli, che emette 115 g/km di CO2 e costa 37.600 euro.
Complessivamente il governo ha stanziato per quest’anno 630 milioni di incentivi per l’acquisto di auto nuove. Oltre ai 150 già prenotati, 190 milioni erano riservati a veicoli con emissioni comprese tra 0 e 20 grammi di anidride carbonica per chilometro e altri 235 milioni per vetture con emissioni comprese nella fascia 21-60 g/km (ibridi plug-in, cioè con batteria che va ricaricata alla spina). Il 5 per cento di questi importi sono riservati agli acquisti per attività di car sharing commerciale o noleggio.
A chi acquista auto elettriche da 0 a 20 g/km viene riconosciuto un bonus di 3.000 euro senza rottamazione e di 5.000 euro con rottamazione, ma solo su vetture con un prezzo inferiore a 42.700 euro. Per chi compra un’auto nella fascia 21-60 g/km l’incentivo è di 2.000 euro senza rottamazione e di 4.000 euro con rottamazione con un tetto al prezzo di 54.900 euro.
Questi fondi riservati alle auto meno inquinanti sono, però, ancora in gran parte disponibili: circa 174 milioni per l’acquisto di autovetture solo elettriche e 219 milioni per le auto da 21 a 60 g/km non sono stati spesi. Del resto le vendite di auto a batteria in Italia stanno andando malissimo: in gennaio le immatricolazioni delle vetture full electric sono cadute dell’8,7 per cento rispetto al gennaio 2022 e la quota di mercato è scivolata dal 3,4 al 2,6 per cento.
Naturalmente, visto che i fondi per le auto con motore termico sono già finiti, le case automobilistiche si preparano a implorare il governo: «Ancora, ancora». E c’è già chi propone di usare i soldi destinati alle auto elettriche per dare un’altra dose di droga al mercato delle vetture tradizionali.
La vicenda degli incentivi italiani alle auto lascia però qualche perplessità. Siamo il Paese con una delle aree più inquinate d’Europa, la Pianura Padana, sforiamo regolarmente i limiti di emissioni di polveri sottili, abbiamo una quota di auto elettriche bassissima, e incentiviamo l’acquisto di auto con motore termico, perfino diesel. Strano. La tesi dei difensori di questa politica è che aiutiamo il mercato a riprendersi dopo la lunga crisi e spingiamo gli italiani a svecchiare un parco macchine vecchio (l’età media è sui 12 anni) mettendo sulle strade veicoli più moderni e meno inquinanti.
È una tesi un po’ bislacca. La crisi del mercato dell’auto è stata provocata in gran parte da una carenza di offerta, non di domanda. Gli incentivi servono quando c’è poca domanda. E non è il nostro caso. In pratica, stiamo usando soldi pubblici per spingere la gente ad acquistare un prodotto che comunque avrebbe comprato, magari tra sei mesi, magari tra un anno. E non sono fondi che aiutano l’industria nazionale: oggi Stellantis ha il 33 per cento del mercato italiano, e volendo essere pignoli solo il 15 per cento delle auto vendute in Italia sono prodotte nel nostro Paese. In altre parole, ogni 100 euro di incentivi, solo 15 vanno nelle fabbriche italiane, il resto finisce all’estero. Ma va bene così, non siamo certo nazionalisti.
Un altro effetto negativo degli incentivi all’italiana è che non aiutano la diffusione di auto elettriche: offrendo i bonus anche alle vetture tradizionali, di fatto si riduce il divario con gli incentivi previsti per i veicoli con poche emissioni e che costano molto di più. Con il risultato che l’Italia resta il fanalino di coda in Europa nell’elettrificazione e rischia di diventare il mercato a cui rifilare le vetture diesel che nessuno più vuole: nel 2022 le immatricolazioni di auto elettriche sono scese da noi del 27,1 per cento mentre in Germania hanno messo a segno un più 32,3 per cento, nel Regno Unito più 40,1, in Francia più 25,3, in Spagna più 30 per cento. In Germania le auto elettriche hanno conquistato una quota di mercato del 18 per cento, nel Regno Unito del 16,6, in Francia del 13 e in Spagna del 3,8 contro il nostro 3,7 per cento relativo all’intero 2022.
Continuare così è come guidare guardando lo specchio retrovisore: si vorrebbe aiutare indirettamente chi produce bielle e pistoni (per case soprattutto straniere) e non si guarda avanti, spingendo i consumatori ad adottare le tecnologie meno inquinanti, cercando di portare in Italia produttori di batterie e di far crescere le fabbriche di auto elettriche. La gigafactory realizzata dall’Enel in Sicilia per produrre pannelli solari, la più grande d’Europa, è un buon esempio: mostra come la transizione energetica va cavalcata e non subita. Come possa offrire opportunità di business e di lavoro. Dovremmo fare altrettanto con l’auto del futuro.