News
May 06 2020
Le aziende italiane sono tutte avvisate: sul coronavirus non possono minimamente permettersi di abbassare la guardia. Gli imprenditori, insomma, devono sempre provvedere non solo a proteggere adeguatamente i loro dipendenti, ma devono anche a informarli alla perfezione di tutti i possibili rischi che corrono sul lavoro, e devono insegnare loro come evitarli. È quel che stabilisce una sentenza della Corte di cassazione (la numero 13575) depositata lo scorso 5 maggio, che sembra fatta apposta per trasformarsi in un monito molto tempestivo contro i rischi da Covid-19.
La vicenda, in realtà, risale a una decina di anni fa e riguarda una società veneziana. In fabbrica era avvenuto un grave infortunio sul lavoro: un lavoratore si era ustionato per rimuovere dei residui di plastica da un iniettore, aiutandosi con un'asticella di rame e senza usare i guanti.
Nello stabilire la condanna definitiva (che ovviamente ora fa giurisprudenza e si trasforma in "regola comportamentale" per tutte le imprese), i giudici della Cassazione scrivono che l'azienda "è responsabile per colpa specifica in caso di incidente del dipendente, se non fornisce protezioni adeguate, non informa nel dettaglio sui pericoli e non aggiorna il documento di valutazione dei rischi". La Cassazione ha dichiarato l'intervenuta prescrizione del reato di lesioni personali colpose a carico dell'amministratore unico della società, ma ha confermato la sanzione di 30.000 euro per lesioni colpose gravi e per violazione delle norme di sicurezza sul lavoro (articolo 25-septies Dlgs 231/2001).
In primo grado, il Tribunale di Venezia aveva condannato l'amministratore unico della società per lesioni personali colpose (art. 590 del Codice penale) e aveva sanzionato la società in base alla legge 231 del 2001, quella che ha introdotto il principio della "responsabilità amministrativa delle società e degli enti". Oltre alla sanzione pecuniaria, i giudici di primo grado avevano contestavato la violazione del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro (una norma del 2008), perché era mancato l'aggiornamento del Dvr, il "Documento di valutazione dei rischi", e la "mancata consegna ai dipendenti dei dispositivi di protezione individuali".
Alla base della condanna sono stati il mancato acquisto di guanti utili ad evitare le ustioni, l'omesso aggiornamento del Dvr, e l'inadeguata formazione dei lavoratori. Il vantaggio economico per l'azienda, che la legge richiede perché possa essere stabilita la sua responsabilità, stava nel risparmio di spesa derivato dal mancato acquisto di dispositivi più efficaci di quelli in uso, e nell'assenza di corsi di formazione. I giudici hanno stabilito che l'azienda avesse tratto un maggior guadagno anche "da ritmi di produzione resi più veloci dall'assenza di misure stringenti sulla sicurezza".
In era di Covid-19, insomma, è come se la Cassazione ricordasse preventivamente a tutte le aziende le regole che devono rispettare per evitare una condanna. Non è passata la tesi della difesa della società, che aveva cercato di dimostrare che l'incidente avrebbe potuto verificarsi anche se il lavoratore avesse indossato la protezione fornita, e che l'azienda non potesse essere considerata responsabile per il mancato aggiornamento del Dvr, dal momento che il lavoratore non aveva comunque rispettato le disposizioni di sicurezza.
Per i giudici, "anche i comportamenti scorretti dei dipendenti vanno addebitati alla società", a causa delle lacune informative. L'azienda, oltre a fornire le protezioni ottimali, deve insomma mettere sempre ogni lavoratore nella condizione di fronteggiare tutti i rischi prevedibili. All'imputato e alla società è stata contestata un'ipotesi di colpa specifica "concernente l'omessa adeguata previsione di un modello organizzativo adeguato, nel quale rientra anche la mancata formazione dei dipendenti".