Il mondo complicato e pericoloso delle Baby Gang
Di Franco Posa, medico e criminologo, esperto in Neuroscienze Forensi.
La definizione di baby gang deriva dalla letteratura americana in particolare dal “United States Department of Justice” e dal “Bureau of Justice Assistance”. Baby Gang può essere definita come un’associazione o un’organizzazione formata da un gruppo di coetanei con le seguenti caratteristiche: tre o più membri, età tra i 12 e i 24 anni, nome e simboli di identificazione, individuazione di un leader, territorio di appartenenza e comportamenti delinquenziali e attività criminali sia individuali che collettive. La banda è identificabile in una sottocultura, in uno strumento alternativo, attraverso il quale il giovane soggetto può raggiungere mete altrimenti impossibili.
Il fenomeno delle baby gang prende origine tra gli anni 50 e 70 negli slums, quartieri poveri e degradati che negli Stati Uniti hanno rappresentato il luogo ideale per l’origine di questo fenomeno. Nel territorio italiano le baby gang iniziano ad essere descritte a partire dagli anni 50, sono identificabili due macrocategorie, una comprende il cosiddetto svantaggio sociale, dove il disagio familiare e gli abusi sono spesso presenti. D’altra parte, anche l’intolleranza e l’autoritarismo rappresentano un percorso educativo favorevole all’aggregazione antisociale.
La percezione sociale è continuamente evidenziata dai mass media. Premesso che l’appartenenza ad un gruppo di coetanei è un elemento fondamentale per lo sviluppo della propria identità, per un’adeguata crescita personale e soprattutto per la costruzione di una responsabilità che diviene nel tempo sempre più consolidata. È in adolescenza che il giovane percepisce il valore delle proprie responsabilità.
Non stupisce quella categoria di adolescenti che provengono da situazioni che posso definire opposte, di buona famiglia, agiate e spesso sottoposte ad un’iper-protezione del contesto familiare. I modelli sbagliati in un’epoca sempre più mediatica sono diventati un riferimento per questi giovani adolescenti. È il cattivo della situazione che riesce sempre ad uscirne in modo vincente. La ribellione e la protesta appartengono ad una cultura certamente conflittuale. Vengono rivissute le dinamiche di una società guerriera. Il fascino della violenza deve renderci consapevoli che le nostre teorie a volte non sono sufficienti per una ricerca di una realtà francamente distante da ogni principio empatico e da ogni tipo di rispetto nei confronti del prossimo.
Questi giovani soggetti non percepiscono alcun senso di colpa rispetto alle loro vittime, ritroviamo spesso leader dai tratti narcisistici maligni che con la loro autorità assumono il ruolo di comando. Dalla microcriminalità si assiste ad un’evoluzione verso il gruppo organizzato, violento e gestito, non solo in termini di azioni, ma anche della gestione del territorio. L’emulazione dei crimini commessi da adulti, la volontà incontrollata di demolire le regole sociali sono altri elementi facilmente reperibili all’interno di questi giovani gruppi.
Il furto, gli atti vandalici, le rapine, le aggressioni e lo spaccio sono solo una parte dei crimini commessi. L’obiettivo è il diverso, il più debole, l’anziano e il disabile. Ovviamente il terreno fertile è spesso il degrado, le condizioni di criticità familiari e sociali. Il comportamento del bullo ha spesso un’evoluzione verso la struttura della baby gang. Il leader con i suoi gregari sono elementi rappresentativi anche della baby gang. È dalla scuola che parte il fenomeno baby gang: bullo e gregari spaziano in ambienti diversi da quelli scolastici.
Le frustrazioni non controllate, la percezione di un costante disadattamento a volte sostiene la scelta di andare oltre alle regole.
Una percezione limitata del comportamento illecito, il mancato riconoscimento delle regole e dei limiti sono solo alcuni degli elementi che vengono trasformati in sfida sociale.
Da un’analisi più attenta delle baby gang identifichiamo il bisogno di coesione e di solidarietà del gruppo che spesso permettono di evidenziare un’attività comunicativa all’interno della stessa compagnia. Sarà quindi la comunicazione deviante a sostenere le scelte antisociali. La componente trasgressiva va oltre la fisiologica componente del periodo adolescenziale. Il rapporto con le regole educative sociali viene messo in discussione o addirittura eliminato.
Dobbiamo considerare in questa epoca della vita l’aumento dell’impulsività puberale, che comporta la messa in atto di azioni ispirate più al desiderio che alla ragione. La baby gang si identifica in un’aggregazione patologica di gruppo governata da sistemi di coesione che rispondono al bisogno di ridurre frustrazioni e paure.
Branco e rifiuto di assimilarsi:
Il branco è in grado di consolidare al suo interno valori opposti a quelli della società dando origine ad un comportamento di esclusione, di rifiuto delle regole e delle gerarchie.
È costante la mancanza di qualsiasi prospettiva ideologica o culturale, prevale l’espressione simbolica effimera e l’affettività è spesso concentrata l’appartenenza al gruppo, alla squadra, alle stesse origini o agli stessi ideali. Non per ultimo, bisogna considerare i giovani extracomunitari presenti sul nostro territorio che soprattutto nelle grandi città hanno dimostrato capacità di aggregazione per scopi anche antisociali.
In uno studio del 2005 eseguito su territorio genovese, vennero identificati due macrogruppi di appartenenza. Il primo definito “di prima generazione” e un gruppo di extra comunitari “di seconda generazione” che evidentemente tra loro presentavano differenze sostanziali.
I primi sono identificabili in una sorta di spaesamento nei confronti della loro cultura, del loro simbolismo e delle loro tradizioni. La percezione è quella di un vuoto di identità. Nel secondo gruppo invece si è riscontrato un percorso educativo ben integrato fino all’adolescenza, quando i soggetti si trovano di fronte alla difficoltà di un’integrazione adeguata. Queste situazioni risultano spesso essere una delle cause della marginalità. Il giovane straniero rielabora continuamente la propria identità cercando risposte su due fronti ben differenti, le proprie origini e nuovi modelli sociali. Si tratta di un biculturalismo in contrasto. L’aggregazione con coetanei e soprattutto connazionali diviene carica di significato e bisogna anche considerare l’estraneità percepita nei confronti delle istituzioni, situazione che vede spesso consolidarsi una sottocultura di tipo oppositivo.
Alcuni autori hanno identificato anche caratteristiche “terapeutiche” della baby gang. Questi gruppi criminali sono ricchi di rituali usati dai giovani per il passaggio da adolescenza a vita adulta. Il gruppo demolisce l’ansia del singolo e fornisce sicurezza, elementi che non si sono consolidati tra società e individuo.
L’evoluzione del fenomeno nel ns territorio è divenuta molto rapida. Basti considerare quanto espresso dal ministro Giuliano Amato presso il Viminale nel “Rapporto sullo Stato Di Sicurezza” del 14 agosto 2006. In tale rapporto veniva descritto: “… raramente tali gruppi giovanili presentano le caratteristiche strutturali e aggregative tipiche di una vera e propria gang, guidata da un leader, con una ben definita gerarchia interna ed il controllo di un territorio. I reati attribuibili a questa categoria vanno dalle estorsioni alle rapine da strada, spesso associate a percosse e lesioni, ai furti, alle risse, alle violenze sessuali nei confronti delle ragazze legate agli appartenenti a gruppi opposti e al vandalismo “.
Nel tempo le bande sono divenute sempre più organizzate attraverso gerarchie strutturate. I reati a scopo di profitto si sono oggi evoluti in atti contro la persona o contro il patrimonio. Più forte è stata l’aggregazione del gruppo, minore è divenuta la consapevolezza del significato reale e della gravità del comportamento messo in atto.
Un elemento rafforzativo del gruppo è il meccanismo di dislocazione della responsabilità che viene attribuita al leader: l’agire del gruppo nel suo insieme esonera la responsabilità del singolo.
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