Bail in, il salvataggio “da dentro” che mette in fuga i capitali

In principio fu Cipro. E tutti (o quasi) gridarono allo scandalo. Ma il prelievo forzoso sui depositi bancari sopra i 100 mila euro in caso di dissesto finanziario rischia di essere cosa fatta. Magia del “bail in” ossia salvataggio “da dentro” in vigore dal 2018 su scala Ue. Toccherà ai singoli Paesi decidere se coinvolgere o meno e in quale misura i correntisti. Per carità. Ma la sola idea fa tremare i polsi ai comuni mortali.

E pazienza se ne va della stabilità del sistema stesso. Come hanno dimostrato anche le polemiche sollevate sul tema all’ultimo Workshop Ambrosetti tenutosi lo scorso week-end a Cernobbio con tanto di scontro diretto tra Lorenzo Bini Smaghi, in tenuta Snam, ma ex uomo di vertice della Bce, all’attacco del commissario alla Concorrenza Ue Joaquin Almunia colpevole di sostenere l’idea (molto tedesca) di fare perdere soldi a chi ha investito in una banca sull’orlo di una crisi di nervi. Per Bini Smaghi si tratta di un vero autogol che minerà la fiducia degli investitori. Come se oggi ce ne fosse a palate (di fiducia, dico)!

Ma andiamo in ordine. È stato l’Ecofin del 26 giugno scorso a rompere gli indugi stoppando il “bail out” (salvataggio “da fuori”) a favore del “bail in”. Appunto. In soldoni: basta con salvataggi bancari il cui onere viene scaricato indiscriminatamente sui contribuenti. D’ora in poi a pagare per evitare il fallimento di una banca saranno azionisti & Co.

Per l’esattezza: in caso una banca Ue si dichiari insolvente soci, creditori e correntisti copriranno fino all’8% delle sue passività. Azionisti e sottoscrittori di bond possono perdere fino al 100% di quanto investito. Mentre sul fronte correntisti in linea di principio l’onere toccherà prima alle grandi aziende, poi ai correntisti individuali e infine alle pmi. Con una certezza: i depositi sotto i 100 mila euro a chiunque appartengano non verranno toccati.

Che possa bastare a sedare eventuali ondate di panico? Non è affatto detto. Chi presta soldi a una banca, magari comprando qualche sofisticato strumento derivato, se sa che sarà il primo a perderli in caso (non certo improbabile) di difficoltà? Come minimo pretenderà un rendimento più alto, rendendo quindi la banca stessa più fragile. E ancora: il famigerato credit crunch rischia di avvitarsi su se stesso. Un fatto è certo: il principio in linea di massima è giusto. Ed è pure più equo. Ma le conseguenze di un simile intervento potrebbero essere pure peggiori.

Soprattutto in Italia, ricca di ricchezza privata perlopiù nascosta ai creditori pubblici. Che l’ennesima fuga di capitali sia dietro l’angolo?

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