Tecnologia
January 14 2013
Diciamo la verità: ognuno vorrebbe sapere dove sono i propri figli, coniugi, fidanzati, genitori, per essere più tranquillo e sapere che stanno tutti bene. Ma a tutto c’è un limite. Pensate che un certo Paul Wallich ha costruito un drone personale che ogni mattina “accompagna” il figlio alla fermata dello scuolabus per 400 metri. Il piccolo aereo, basato su una scheda Arduino, integra uno spazio per lo smartphone così da seguire in remoto il percorso del piccolo (aereo e bambino). L’autore dice che l’obiettivo del suo lavoro era prettamente creativo, ma forse il punto non è questo. Pochi genitori direbbero di no ad un dispositivo in grado di monitorare i propri figli, almeno fino all'età adulta. Nel 2003 salì alle cronache il Wherify Child System, un aggeggio che sembrava un orologio da polso da far indossare ai bambini per restituire, in remoto, la posizione dei figli in soli 60 secondi. Da allora non sono stati pochi i dispositivi inventati per proteggere i più piccoli, soprattutto con problemi autistici, in situazioni di smarrimento e pericolo.
Ma dicevamo che il punto non è questo, almeno non solo. Il crescente trend del voler controllare tutto e tutti è figlio di un eccessivo senso di insicurezza? Al di là delle frasi fatte e anacronistiche del tipo “cinquanta anni fa si viveva senza tutta questa tecnologia”, è pur vero che rispetto a qualche decennio fa oggi la criminalità, le droghe, gli sviamenti sono dietro l’angolo e di portata più semplice che in passato. Il panorama è dunque quello di una “rieducazione di massa”, dove l’individuo che fin da piccolo viene controllato a distanza, impara poi a comportarsi bene (ricordate il Wesley Snipes di Demolition Man?)
Secondo l’Economist sono americani e giapponesi i cittadini più disposti a provare questo tipo di dispositivi di controllo. Gli europei, anche grazie a più strette politiche sulla privacy, sembrano meno preoccupati e in ogni caso più scettici sull'adozione di simili strumenti di tracking. È pur vero che in paesi del Sud America preoccupano molto le bande criminali che sequestrano e rapiscono bambini; in questo caso un dispositivo di tracciamento personale potrebbe velocizzare le ricerche.
Non segnate quel bambino
Molte autorità pubbliche e scolastiche sono già pronte. Alcune scuole di Osaka nel 2004 hanno cominciato ad utilizzare sistemi di identificazione a radiofrequenza (meglio conosciuti come RFID) per i singoli studenti. Attraverso questo sistema i docenti possono controllare la frequenza con la quale gli alunni sono in classe e, se sono assenti, dove realmente si trovano. A Dubai la stessa tecnologia avvisa i genitori quando i loro figli salgono o scendono dallo scuolabus; in Brasile nella città di Vitoria de Conquista, gli studenti hanno uniformi dove sono cucite etichette radio. Alcuni istituti statunitensi hanno adottato il metodo degli RFID associandolo al pagamento della retta scolastica: più assenze fa l’alunno, durante l’appello mattutino, più salate saranno le tasse da pagare. Ma c’è anche una questione religiosa da rispettare. Qualche mese fa Andrea Hernandez venne espulsa dalla sua scuola a San Antonio in Texas per aver rifiutato di indossare il sistema di identificazione RFID. La ragazza dichiarò di non volerlo indossare per il suo credo religioso e in particolare per l’associazione del chip al “Marchio della Bestia” citato nella Bibbia e di recente svelato in un messaggio di Gesù nel giugno 2012: “[…]controllerà i vostri soldi, il vostro accesso al cibo e il vostro modo di vivere. Regole, tante, che vi renderanno prigionieri. La chiave del vostro chip, che vi tiene sotto il loro controllo, sarà il Marchio della Bestia. Il 666 sarà incorporato, come numero nascosto, in un chip che sarete costretti ad accettare proprio come si farebbe con una vaccinazione”. Un messaggio che ha il suo significato per i credenti ma che non nasconde i reali pericoli dietro un’adozione di massa di sistemi di rilevamento personale.
Il panorama attuale
I fautori di questo sistema parlano di “vantaggi” perché monitoraggio vorrebbe dire maggiore libertà. I genitori che sanno di poter facilmente trovare i loro figli possono sentirsi più propensi a lasciarli andare perché potrebbero ritrovarli quando vogliono. Gli adolescenti non riceverebbero mille domande e telefonate fastidiose soprattutto durante feste e passeggiate con amici. I critici invece affermano come il monitoraggio in realtà non protegga i bambini. I rapitori potrebbero disporre della stessa tecnologia per trovare i bambini. Tutto ciò che è tecnologico è hackerabile; lo saranno anche questi sistemi con la probabilità che molte più persone del dovuto possano sapere dove un bambino si trova e cosa sta facendo. Inoltre l’individuazione della posizione di un bambino non potrà impedire che possa succedere il peggio in alcune situazioni (incidente in auto, caduta in burroni, e così via). Perché allora aggiungere preoccupazione alla già preoccupante vita di genitori e minori? Sarebbe allora meglio utilizzare la tecnologia in maniera più condivisa tra adulti e bambini. Esistono già alcune app che permettono di condividere la propria posizione con chi si vuole, come se tutto fosse parte di un social network. Tra queste Glympse e WalkMeHome che inviano sms, foto, video o messaggi di allerta ad un numero predefinito di persone, alle quali segnalare una situazione di pericolo o tranquillità. In questo modo si può fare a meno di sistemi di identificazione più complessi e invasivi e lasciare che la condivisione sia libera ma responsabile.
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