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June 05 2013
Una tragedia, una famiglia distrutta. Non ci sono altre parole per definire la morte di Luca, il bambino di due anni dimenticato in auto dal padre e soffocato dal caldo. ragedie personali che forse nascondono una problematica sociale, legata ai ritmi vorticosi della società moderna, quella del "sempre connessi", quella "di corsa"...
Questi drammi della distrazione accadono sempre più spesso e protagonisti sono per la maggior parte i padri. Che cosa sta succedendo?
“La genitorialità - spiega Sara Pezzullo, psicologa Forense - è cambiata ovvero è cambiato il modo di fare i genitori. Oggi la famiglia è sola. I due genitori si ritrovano a dover accudire i figli senza il supporto fondamentale dei nonni. Che se sono presenti sono persone anziane che spesso richiedono aiuto e non sono in grado di darne. In passato la famiglia era allargata, con la presenza in casa dei genitori dell’uno e dell’altro coniuge, e questo permetteva alla famiglia di “smaltire”, “spalmare” lo stress, il nervosismo e i livelli di ansia che il lavoro e gli impegni familiari presentavano. Oggi, appunto, lo stress non è più condiviso ma grava solo sui due coniugi. Mia nonna diceva che la donna che aveva partorito per 40 giorni non doveva toccare l’acqua. Questo detto popolare indicava che la puerpera per un mese e mezzo dopo il parto veniva aiutata in casa, nelle facendo domestiche ma anche a lavare i panni. Come è facilmente comprensibile questo oggi non accade più. Ma questo aiuto era fondamentale, ad esempio, anche nelle crisi post parto che oggi nonostante siano più conosciute dalle giovani coppie sono vissute in solitudine”.
Ma in queste vicende drammatiche qual è il ruolo del padre?
“Sono drammi umani. Questo è importante sottolinearlo. Non vi è un nesso di casualità tra quanto è accaduto e la figura del padre che in alcuni casi è considerato all’interno del nucleo genitoriale un’appendice della madre. In molti casi la figura paterna non svolge il ruolo di genitori al pari della madre ma ha con i figli sono un rapporto meno forte rispetto alla consorte, in particolare nei primi anni di vita del bambino. Questo non è il nesso di casualità con i fatti avvenuti, torno a sottolinearlo, ma in alcuni casi il “dimenticarsi” è dovuto al ruolo di “appendice” e dunque ad una genitorialità non vissuta come dovrebbe essere".
Spesso si sente dire dai padri e dalle madri alla fine di una vacanza o del week end: “Non ne posso più di stare con i bambini. Non vedo l’ora di ritornare a lavorare!”…
“Certo. Questo avviene proprio perché la coppia è sola. Vive in modo frenetico la giornata lavorativa poi torna a casa e trova i figli che richiedono tantissime energie. Dunque sempre più spesso i genitori non staccano la spina e lavorando entrambi, si ritrovano avviluppati in una spirale di stress e richieste di affetto e gioco da parte dei figli che il lavoro diventa un “passatempo”.."
I figli vengono visti come un “peso”?
“Si, ma non nell’accezione negativa del termine. Dobbiamo immaginare questi genitori, soli, che per un lungo periodo vivono come in apnea ovvero in quello stato di stress e freneticità in cui versa quotidianamente la coppia e non riescono ad uscirne. E’ inevitabile che dopo un periodo molto lungo di “apnea” il genitore si stanchi e pronunci la fatidica frase ”meglio al lavoro che con mio figlio”. Ma questo non vuol dire che il genitore non ami suo figlio e che non gli piaccia stare con lui né che il lavoro sia una passeggiata. E’ solamente, che i figli richiedono tantissime energie e la fatica non può più essere spalmata sui nonni o altre figure vicine alla coppia”.
I precedenti:
Nel luglio del 1998 a Catania un ingegnere, 37 anni, parte da casa verso le 8 di mattina con il figlio più piccolo (ha altri due gemelli di quattro anni) legato sul seggiolino per bambini nel sedile posteriore. Lo deve lasciare all'asilo per poi andare al lavoro. Andrea, due anni, si addormenta e il padre si dimentica di lui. La moglie, avvocato, verso le 14 chiama il marito che, solo a quel punto, si rende conto di ciò che ha fatto. Corre all'auto, che nel frattempo e' diventata la tomba rovente di Andrea, morto ustionato e asfissiato.
Il 30 maggio del 2008 a Merate, Lecco, la piccola Maria compie due anni. La mamma, un'insegnate, deve andare al lavoro, la festa e' rimandata alla sera quando con il marito, astronomo, e gli altri due figli si ritroveranno a casa. La donna parte in auto con la bimba per portarla a casa della baby sitter. Invece arriva direttamente a scuola e lascia Maria in auto. Quando alle 13 la baby sitter chiama la donna per sapere come mai non le e' stata portata Maria la madre si rende conto che la bimba e' rimasta in auto e la trova agonizzante. Morirà poco dopo.
E' il 23 maggio del 2011 e la scena si ripete, questa volta a Teramo. Il padre di Elena, 22 mesi, docente universitario alla facoltà di veterinaria di Teramo invece di portare la figlia all'asilo la dimentica in auto. La ritrova alle 13 già senza
conoscenza, la bambina morirà dopo tre giorni di coma in terapia intensiva. La donazione dei suoi organi ha aiutato a vivere altri tre bambini.
Il 28 maggio del 2011, solo cinque giorni dopo Elena, a Passignano sul Trasimeno, Perugia, con le stesse modalità, trova la morte Jacopo, 11 mesi. La mamma fa la psicologa nella scuola dove c'e' anche il nido che tutti i giorni accoglie Jacopo. Quella mattina e' il padre però a dover portare il bimbo a scuola, ma lo dimentica in auto e lì dopo alcune ore lo ritrova morto asfissiato.