Economia
October 29 2018
Tra Lega e M5S, o meglio sarebbe dire tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio, si apre un nuovo fronte di scontro: quello relativo al possibile salvataggio di banche che dovessero risentire in maniera drammatica della recente impennata dello spread.
Dopo le recenti roventi polemiche riguardanti il condono infatti, ora la partita politica, tutta interna al governo, sembrerebbe giocarsi intorno alla possibilità di intervenire per salvaguardare il risparmio degli italiani depositato in istituti di credito che potrebbero risultare in difficoltà.
Da una parte troviamo dunque Salvini, che, a sua detta, non esiterebbe a intervenire per difendere i soldi dei cittadini, anche attraverso il salvataggio di una banca. Dall’altra Di Maio, che invece senza mezzi termini afferma che per le banche non impegnerebbe più nemmeno un euro degli italiani.
Anche perché, e qui sta il punto, “ce ne abbiamo già messi troppi in questi anni" ha sentenziato il leader dei grillini. E allora è proprio il caso di andare a vedere appunto, in questi ultimi anni, quali sono state le banche che sono state salvate grazie all’interevento dello Stato.
L'era dei salvataggi con perdite anche per i piccoli risparmiatori è iniziata in Italia nel novembre 2015 quando vennero messe in risoluzione 4 piccole banche: Banca Etruria, Carichieti, CariFerrara e Banca Marche.
Per la prima volta in Italia venne applicata la direttiva del 'burden sharing', frutto dei maxi salvataggi a spese del contribuente già visti negli Stati Uniti e in Europa. Essa prevede il coinvolgimento anche degli obbligazionisti e non solo degli azionisti.
La decisione scatenò a posteriori una reazione dell'opinione pubblica e l’allora governo guidato da Matteo Renzi corse ai ripari varando, dopo una discussione con la Ue, un meccanismo di ristoro per i risparmiatori. A carico del Fondo di Risoluzione, pagato dalle altre banche private, venne attivato un conto di oltre 5 miliardi di euro, mentre le banche vennero cedute a Ubi per 1 euro.
L'istituto senese finisce nella bufera nel 2013 con la scoperta di bilanci ritoccati per coprire i costi dell'operazione Antonveneta. Arrivano 4 anni di inchieste e aumenti di capitale. A fine 2016 viene decretato il fallimento del piano di salvataggio con risorse private e la regia di Jp Morgan.
Un evento che preoccupò la Bce, la quale non concesse più tempo. Il 21 dicembre il nuovo governo Gentiloni corre allora in salvataggio del Monte con 5,4 miliardi (di cui 1,5 miliardi di rimborso agli obbligazionisti) nell'ambito del decreto Salvabanche da 20 miliardi di euro.
Il Tesoro, dopo la ricapitalizzazione eseguita a luglio 2017, è ora l'azionista di maggioranza del Monte con quasi il 70%, quota che dovrà dismettere fra qualche anno ma che per ora ha perso molto del suo valore, visto il crollo dei valori azionari.
Sotto l’effetto di mala gestione, crisi economica, e fallimenti di piani di rilancio che iniziano nel 2013, vanno a gambe all’aria anche la Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Una situazione che viene scoperchiata in realtà nelle ispezioni della vigilanza che arrivano solo nel 2015.
Ancora una volta viene auspicata una soluzione di carattere privato, ma intanto la fuga di depositanti e l'emergenza liquidità porta lo Stato a dover garantire obbligazioni delle due banche per complessivi 8,6 miliardi nel febbraio 2017.
In ogni caso i tentativi di reperire nuove risorse private non riescono e a giugno le banche vengono poste in liquidazione. A questo punto Intesa Sanpaolo rileva i due istituti evitandone la chiusura. Per questo però lo Stato versa a Intesa 4,8 miliardi di euro per cassa e 6,4 miliardi di ulteriori in garanzie.