Battaglia in Vaticano

Qualcuno ha azionato la macchina del tempo tra le Mura leonine. Varcata Porta sant’Anna, in Vaticano sembra di fare un salto indietro di cinque secoli. E non solo per le divise delle guardie svizzere, ma perché da un momento all’altro ti aspetti di vedere spuntare Papa Giulio II della Rovere dal Cortile della Pigna, o Alessandro VI Borgia dal torrione di Niccolò V. E immagini che, all’ombra del palazzo apostolico, famigli, segretari e faccendieri fabbricano documenti, spargono maldicenze, distillano veleni, progettano trappole.

Gli intrighi di una corte rinascimentale oggi assumono l’aspetto di dossier, lettere anonime, informative giudiziarie, email, fughe di notizie. A prima vista sembrano le trame romanzesche di una corte consumata dalle lotte di potere. Ma a guardare meglio si scopre che questa è solo un’impressione parziale: il gioco è tremendamente più serio. Ed è un gioco tutto italiano, una partita a scacchi dove le pedine vengono mosse nelle stanze dei cardinali che tengono ancora le fila della Chiesa, appunto, di Roma. In palio c’è la scelta dell’uomo che la guiderà nei prossimi anni e che, una volta tappate le falle della barca di Pietro, dovrà trovare il coraggio e la forza di riportarla in mare aperto. Non è una semplice faida tra prelati, che si può risolvere sollevando qualcuno dall’incarico. È piuttosto una pagina di storia che si apre davanti ai nostri occhi.

Alle spalle di Benedetto XVI, tutto proteso ad annunciare il Vangelo a un mondo agnostico e secolarizzato, c’è un gruppo di cardinali italiani che aspira a controllare la Santa sede come un secolo fa. La ragnatela dei porporati di casa nostra avviluppa la curia e rischia di paralizzarla in una rete di relazioni che si proietta anche fuori del Palazzo apostolico, stringendo legami e alleanze con i poteri politici, economici, finanziari. Molto spesso si tratta di rapporti sotterranei, poco evidenti, ma fortissimi.

Il sogno di Paolo VI e di Giovanni Paolo II di sprovincializzare la curia, di aprirla al mondo, di farne una sorta di «Onu dello spirito» animata da vescovi e porporati dei cinque continenti, oggi naufraga sotto i colpi di un collegio cardinalizio dove gli italiani sono tornati prepotentemente al centro dei giochi. Ma, come insegna la storia, i nostri porporati sono sempre stati divisi, pronti ad allearsi con gli stranieri piuttosto che tra loro.

La stagione dei corvi si è aperta alla fine dell’agosto 2011, quando il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, riceve una lettera di minacce di morte, per avere cercato di sostituire monsignor Carlo Maria Viganò alla guida del governatorato. È Panorama a svelare quella lettera, che appare molto circostanziata e scritta da un prelato assai addentro alle vicende della curia. Parte subito un’indagine della gendarmeria del Papa per scoprire chi minaccia il braccio destro di Benedetto XVI, ma forse con poca convinzione. I servizi di sicurezza del Vaticano non arrivano ad alcuna conclusione certa.

Quella lettera del corvo forse è un segnale: di lì a poco, un carteggio tra Viganò e il Papa finisce sui media, così come le denunce di corruzione e malaffare lanciate dall’ex segretario del governatorato. Poi è la volta del cardinale Dario Castrillon Hoyos, che consegna al pontefice una memoria, anch’essa finita sulla stampa, in cui denuncia che il cardinale di Palermo, Paolo Romeo, ha affermato che il Papa rischia di morire entro l’anno per un complotto. Quindi si arriva alla pubblicazione del libro di Gianluigi Nuzzi, Sua Santità (Ed. Chiarelettere), che riapre il caso di Dino Boffo, pubblicando i telefax e le lettere inviati dall’ex direttore dell’Avvenire al segretario particolare del Papa, Georg Gaenswein, e al presidente della Conferenza episcopale italiana, Angelo Bagnasco, per denunciare il direttore dell’Osservatore romano, Gian Maria Vian, e il cardinale Bertone di avere passato alla stampa le false informative giudiziarie che lo hanno costretto alle dimissioni. Era stato Panorama a dare per primo la notizia dell’ammenda di 516 euro comminata a Boffo per molestie telefoniche. Ma il dispositivo della sentenza era stato poi inviato al direttore del GiornaleVittorio Feltri, insieme con una falsa velina di polizia che descriveva Boffo come «noto omosessuale».

Ma perché questa escalation di veleni? Perché oggi la posta in palio è alta e si chiama conclave: quello che sceglierà il prossimo Papa. Benedetto XVI ha appena compiuto 85 anni ed è ancora in discreta salute, compatibilmente con l’età; in settembre sarà di nuovo all’estero, in Libano. Ma anche la vita del Papa è nelle mani di Dio e presto o tardi ci si troverà a fare i conti con l’elezione del suo successore. Dopo più di trent’anni sotto la guida di due papi stranieri, molti oggi sognano un pontefice italiano. E forse questa è l’ultima occasione che offre la storia: su 122 cardinali elettori, gli italiani sono 30, poco meno di un quarto, che salgono a 52 se si considerano gli ultraottantenni senza diritto di voto. Basti pensare che il secondo gruppo nazionale più numeroso è quello degli statunitensi, con appena 11 cardinali, seguiti da 6 porporati tedeschi.

Molti cardinali italiani occupano posti di rilievo in curia, a cominciare dai dicasteri finanziari: l’amministrazione del patrimonio della sede apostolica e il fondo pensioni sono affidati al cardinale Domenico Calcagno; la prefettura degli Affari economici a Giuseppe Versaldi; il governatorato a Giuseppe Bertello;l’autorità d’informazione finanziaria al cardinale Attilio Nicora. Un po’ troppo, soprattutto per americani e tedeschi che sono tra i maggiori «contribuenti» della Santa sede, ma anche per altri porporati, come il cardinale ceco Miloslav Vlk (già presidente del Consiglio delle conferenze episcopali europee) che oggi si fa portavoce del disagio per l’eccessivo peso degli italiani nella curia.

Anche asiatici e africani si sentono messi da parte: in tutto sono appena 20 cardinali elettori (11 dell’Africa e 9 dell’Asia) e nell’ultimo concistoro, il 18 febbraio scorso, nessuna berretta è stata assegnata a un africano e una sola a un latinoamericano di curia. Un duro colpo per un continente che invece rappresenta uno straordinario bacino di vocazioni e di conversioni per la Chiesa cattolica, altrimenti fiaccata dal secolarismo in Europa e dalle sette in America Latina. Al Papa sono arrivate esplicite proteste per la mancata creazione di nuovi cardinali africani.

Il problema non è solo l’eccesso di potere degli italiani nei gangli vitali della gerarchia: i contrasti fra i nostri cardinali rischiano di paralizzare la curia. Rivalità e antagonismi sono il vero tallone d’Achille dei porporati italiani, che ha impedito loro di conquistare il soglio pontificio sia con Giuseppe Siri nel 1978, sia con Carlo Maria Martini nel 2005. L’egemonia della Chiesa italiana sulla curia è anche all’origine delle lotte di potere che in questi mesi hanno lasciato sul campo vittime illustri, da Boffo a Ettore Gotti Tedeschi, senza dimenticare l’aiutante di camera, Paolo Gabriele, arrestato per le fughe di notizie e stritolato da un gioco più grande di lui.

Tre sono i porporati protagonisti di questa convulsa stagione: il decano Angelo Sodano; il segretario di Stato e camerlengo, Tarcisio Bertone; il presidente Angelo Bagnasco, capo dei vescovi italiani. A questi se ne aggiunge un quarto, oggi in disparte ma fino a ieri al centro dei giochi: il «cardinal sottile» Camillo Ruini. Gli occhi della stampa internazionale sono tutti puntati su Bertone, l’uomo di fiducia di Benedetto XVI, il prelato che, pur estraneo alla diplomazia vaticana, guida la segreteria di Stato dal settembre 2006, dopo la drammatica crisi provocata dal discorso di Ratisbona. Bertone è tornato a italianizzare la curia, mettendo amici e confratelli salesiani nei posti chiave. Tra un anno potrebbe essere sostituito per limiti d’età ma, nel frattempo, Ratzinger lo ha nominato camerlengo, cioè colui che, alla morte del pontefice, amministra la sede vacante. Sarà Bertone il vero arbitro del conclave, a patto che questo si tenga entro due anni, altrimenti, allo scoccare del suo ottantesimo compleanno, anche il camerlengo sarà costretto a restare fuori dalla Cappella Sistina.

Così come rimarrà fuori dal conclave l’ultraottantenne porporato di Asti Angelo Sodano. Ma l’ex segretario di Stato di Karol Wojtyla è decano del collegio cardinalizio e, come tale, guiderà le congregazioni dei cardinali che precederanno l’elezione del Papa, quando tutti i porporati discuteranno liberamente sull’identikit del prossimo pontefice. Un ruolo chiave per orientare le decisioni dei cardinali elettori. Prelato ancora influentissimo, Sodano è sempre stato lontano dai riflettori: rarissime le interviste rilasciate nei 16 anni trascorsi al vertice della diplomazia pontificia. Anche ora è nell’ombra ma gli fa riferimento l’ampia fronda di nunzi e prelati che non si riconoscono in Bertone.

Molto vicini a Sodano sono per esempio i due capi dicastero più potenti della curia romana: Ferdinando Filoni, il «Papa rosso», alla guida di Propaganda fide, e il prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, Leonardo Sandri, entrambi ex diplomatici. Sodano e Sandri conoscono molti segreti del pontificato di Wojtyla, tanto che entrambi non hanno voluto deporre nemmeno nella causa di beatificazione di Giovanni Paolo II. Un rifiuto che ha sorpreso molti esponenti della curia e ha lasciato un’ombra sul processo per portare Wojtyla sugli altari. Ma alcuni di questi segreti Panorama li ha scoperti consultando, in esclusiva, l’archivio del braccio destro di Sodano, monsignor Pietrino Principe. Per sapere quanto l’ex segretario di Stato di Wojtyla sia ancora potente in Vaticano, basta domandare a un ex allievo di Ratzinger, il cardinale Christoph Schoenborn, arcivescovo di Vienna. Sodano ha costretto Schoenborn a presentargli pubblicamente le sue scuse dopo che il porporato austriaco lo aveva accusato di avere insabbiato casi di pedofilia. Difficile pensare che Sodano abbia dimenticato quando Bertone, con il consenso dell’allora presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, ha allontanato dalla banca vaticana monsignor Piero Pioppo, ex segretario particolare del porporato di Asti.

Pioppo rivestiva la carica di prelato dello Ior e godeva di grande influenza nella banca del Papa: quattro mesi dopo l’arrivo di Gotti Tedeschi è stato spedito in Camerun come nunzio apostolico. Il 24 maggio scorso Gotti Tedeschi è stato clamorosamente «dimissionato » dai membri laici del consiglio di sovrintendenza dello Ior, mentre Bertone è stato messo in difficoltà dallo scandalo delle carte del corvo. Alla stampa, nei mesi scorsi, è giunta copia del carteggio con cui il presidente dello Ior cercava di scongiurare il ridimensionamento, voluto da Bertone, dell’autorità d’informazione finanziaria incaricata di garantire il rispetto delle norme antiriciclaggio in Vaticano.

Oltre al decano e al camerlengo, il terzo protagonista di questa drammatica stagione del pontificato di Ratzinger è il presidente Angelo Bagnasco, da cinque anni alla guida della Cei. Tesi i rapporti fra Bertone e i vertici della Chiesa italiana fin dall’inizio, quando il segretario di Stato tentò di avocare a sé i rapporti con la politica italiana. Appena nominato Bagnasco, infatti, Bertone fece pubblicare una sua lettera al neopresidente della Cei nella quale affermava che le relazioni con il mondo politico italiano da quel momento sarebbero state di competenza esclusiva della segreteria di Stato. Ma le cose non sono andate così. A poco a poco Bagnasco ha conquistato la fiducia del Papa e del suo segretario particolare, monsignor Georg Gaenswein, ottenendo accesso diretto al pontefice. Molto vicini e solidali con Bagnasco sono alcuni influenti prelati della curia vaticana, cresciuti come il presidente della Cei alla scuola del cardinale Siri. Tra questi il prefetto della Congregazione per il clero, cardinale Mauro Piacenza, che molti già indicano come futuro segretario di Stato.

Dietro le quinte, ma sempre ascoltato e ricercato dai politici italiani, c’è il «cardinal sottile», Camillo Ruini, per 15 anni l’uomo più potente della Chiesa italiana. Dalla parte di Ruini anche sodali della vecchia guardia del pontificato wojtyliano, come il cardinale Giovanni Battista Re, ex prefetto della Congregazione per i vescovi, prelato di grandi relazioni con il mondo politico e finanziario. Anche negli ultimi mesi Ruini non ha mai nascosto la sua simpatia per un’eventuale nascita di un terzo polo guidato da Pier Ferdinando Casini, anche se la soluzione migliore, per l’ex presidente della Cei, resta quella di una presenza trasversale dei cattolici in tutti gli schieramenti.

Le lacerazioni tra i cardinali italiani non appaiono dettate da ragioni teologiche o pastorali: riguardano le sfere di influenza, i rapporti di forza. Da qui nasce la preoccupazione di Benedetto XVI che, sempre più isolato, nella domenica di Pentecoste ha lanciato un appello a superare invidie e divisioni. Concentrati sulle loro trame, i porporati italiani sembrano sordi agli appelli che giungono dalle altre Chiese.

Ed è questa l’altra posta in palio legata alla nomina del prossimo Papa: mantenere una netta chiusura rispetto a una Chiesa che nel resto del mondo spinge per rompere alcuni grandi tabù: la contraccezione, il celibato di sacerdoti, il ruolo delle donne. Mentre la curia romana dà la caccia ai corvi, in Europa passa di mano in mano un memorandum redatto dai più autorevoli teologi tedeschi e svizzeri: in sei punti chiedono che la Chiesa si metta al passo con i tempi attraverso una radicale riforma. Chiedono più democrazia e partecipazione, una valorizzazione dei preti sposati e delle donne anche nel ministero liturgico, l’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati, l’istituzione di una magistratura ecclesiastica per una reale tutela dei diritti nella Chiesa. Il memorandum, eluso da Benedetto XVI durante l’ultimo viaggio in Germania nel settembre 2011, si arricchisce ogni giorno di nuove firme in tutta Europa, alcune molto autorevoli, mentre gli episcopati d’oltralpe ne stanno facendo oggetto di discussione.

Tanto fermento pare ignorato tra le mura leonine. Le richieste della Chiesa nel resto del mondo non trovano eco. Il richiamo alla tradizione da parte di Benedetto XVI ha reso i cardinali italiani fra i più decisi fautori della conservazione: sembrano convinti che il prossimo Papa sarà italiano, se il vento del rinnovamento che soffia nei cinque continenti non lambirà la Cappella Sistina. Temendo questa involuzione, con grande senso della profezia Paolo VI e Giovanni Paolo II puntavano a internazionalizzare la curia e il collegio dei cardinali. Meno italiani nei sacri palazzi per aprire la Chiesa al mondo e aiutarla a rinnovarsi. Intorno al Papa premono nuove cordate di porporati e prelati dall’America all’Africa, che aspirano a entrare nella stanza dei bottoni per aprire le finestre vaticane. Ci sono anzitutto gli statunitensi guidati dal neocardinale di New York, Timothy Michael Dolan, che chiedono più spazio e puntano ad avere voce in capitolo anche sulle grandi scelte finanziarie, a cominciare dallo Ior. Ci sono i latinoamericani con figure di grande rilievo come il cardinale peruviano Juan Thorne Cipriani, l’honduregno Oscar Rodriguez Maradiaga, il messicano Norberto Rivera Carrera. Sognano che ormai sia giunta l’ora di avere un Papa latinoamericano e per questo puntano a mettersi in evidenza al vertice della Chiesa. Non vanno dimenticati gli africani, guidati dal porporato congolese Laurent Monsengwo Pasinya, che ha predicato gli ultimi esercizi spirituali al Papa. Ma anche gli asiatici giocano la loro partita con alcune figure di assoluto rilievo come il neocardinale di Hong Kong, John Tong Hon, e l’arcivescovo di Mumbai, Oswald Gracias. Figure eminenti, che hanno una visione planetaria dei problemi della Chiesa, stimate dai fedeli e rispettate dai poteri politici ed economici.

Cercano spazio, ma la curia romanocentrica le tiene ai margini, chiusa nei suoi giochi di palazzo. O la Chiesa riuscirà a volare più in alto dei corvi, oppure gli italiani torneranno forse ad avere un loro Papa, ma rischieranno di non trovare più i fedeli.

YOU MAY ALSO LIKE