Calcio
December 09 2020
La Juventus che ha passeggiato al Camp Nou sui resti del Barcellona, mai così dimesso negli ultimi anni senza che questo tolga nulla alla prestazione dei bianconeri, apre il dibattito su quale sia la vera anima juventina di questo avvio di stagione. Quella prepotente che ha chiuso in testa il girone della Champions League, cancellando in un colpo solo anche la figuraccia rimediata all'andata contro i catalani, o quella balbettante del campionato dove le partite pareggiate (5) sono più di quelle vinte (4 al netto del 3-0 a tavolino contro il Napoli)? Un tema che interessa non solo Andrea Pirlo, uscito rinfrancato nelle sue convinzioni dal Camp Nou, ma anche la concorrenza interna ed europea.
Il paradosso è che il dibattito sullo sbarco dell'alieno Pirlo nel mondo juventino dovrebbe trovare conforto prima di tutto dai risultati. E' vero che i pareggi contro Crotone, Benevento e Verona rappresentano occasioni perse che abitualmente la Juventus sapeva cogliere, ma la striscia di novembre e inizio dicembre recita 7 vittorie e 2 pari nelle ultime 9 partite giocate, una qualificazione raccolta con bacio accademico e la classifica della Serie A che si sta sgranando riportando i bianconeri nelle zone che competono a chi si è cucito lo scudetto sulla maglia nelle ultime stagioni.
Nessuna emergenza, insomma. Eppure il botto come quello di Barcellona era invocato un po' da tutti per togliere pressione a una squadra apparsa spesso, anche nel derby col Torino che ha preceduto la trasferta in Catalogna, lontana parente di quella del passato. Perché per un gruppo che ha vinto tanto non bastano le statistiche a togliere i dubbi insinuati da qualche prestazione al di sotto degli standard e per primo Pirlo ne era consapevole avendo vissuto le stesse situazioni da calciatore al Milan, alla Juventus e in nazionale.
Cosa è cambiato, allora, tra Benevento e Barcellona? Banalizzando si può sintetizzare con un numero: 429. Il numero delle presenze Champions in più messe in campo da Pirlo contro il Barcellona e che a Benevento non c'erano. Ronaldo (173), Buffon (123), Bonucci (69) e Alex Sandro (64). Non necessariamente così meglio di chi era presente sul campo della neopromossa, ma quel carico di esperienza e mentalità evocata dallo stesso Pirlo per spiegare le difficoltà di questa prima fase di stagione.
Esperienza significa capacità di aggredire la partita, di gestirne i momenti e di non spaventarsi quando il vento tira contrario. L'obiezione è che alla Juventus possono bastare anche gli altri per non lasciare punti contro Benevento, Crotone e Verona ed è un'obiezione sensata. Il calcio, però, non è una scienza esatta ed evidentemente in questo momento la Juventus ha bisogno di guida sicura anche in campo in attesa che quella in panchina assuma l'autorevolezza che deriva dal tempo e dal curriculum.
Detto che qualcosa nella Juventus sta cambiando anche a livello tattico e che i bianconeri si stanno facendo un po' più accorti nell'allungarsi nella fase di recupero del pallone (ricordate i contropiede sanguinosi subiti all'Olimpico dalla Roma?), l'altra sostanziale differenza è l'appeal del palcoscenico su cui si recita. Non è necessariamente una buona notizia per il popolo bianconero, ma è evidente che la fame di Champions League è di gran lunga superiore a quella del decimo scudetto consecutivo.
Può essere un problema, considerato che il titolo italiano viene considerato l'obiettivo prioritario dal presidente Agnelli in giù fino ad arrivare allo stesso Pirlo. Ma è al tempo stesso una risorsa. L'immagine simbolo è Cristiano Ronaldo che si sacrifica a fare il difensore aggiunto su Messi al limite della propria area di rigore. Non il Ronaldo un po' egoista e individualista cui siamo abituati, ma un leader che detta la linea a tutti gli altri. Pirlo sta estraendo il meglio da CR7 con l'unica eccezione del turn over un po' spericolato di Benevento. Se riuscirà a fare sintesi tra le due anime juventine, la sensazione è che abbia in mano ancora la rosa più forte d'Italia. Altrimenti il rischio è rassegnarsi alle montagne russe.