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November 13 2019
«Già il governo Conte 1 è stato anti-industriale. Dal Conte 2 ci aspettiamo discontinuità o la mobilitazione dello scorso 31 ottobre sarà soltanto un assaggio...». Marco Bentivogli è un volto più che noto del sindacato. Segretario generale della Fim, la Federazione italiana metalmeccanici della Cisl, è combattivo, non concede sconti alla politica di ogni colore. Figurarsi a Luigi Di Maio, contro il quale ha combattuto e combatte a viso aperto: per dire, ai tempi in cui il leader 5 Stelle era al ministero dello Sviluppo economico, lo accusò di essere «completamente assente». Ma Bentivogli ne ha sempre avute per tutti, dai due Matteo (Salvini e Renzi) al bi-premier Giuseppe Conte fino alla sinistra arroccata su posizioni economiche «antiche». Proprio per questo, le sue intemerate in tv contro i ritardi dei governi sulle politiche industriali sono riprese e trovano fan anche sul web. Ora, però, a Panorama il segretario dà una notizia: è finito il tempo delle chiacchiere, Palazzo Chigi deve darsi una mossa. L’assaggio è stato lo sciopero generale di due ore indetto insieme a Fiom Cgil e Uilm Uil; il pasto completo arriverà senza un rapido e deciso cambio di rotta da parte dell’esecutivo-Conte. Per il governo giallorosso, quindi, si prospetta un autunno caldo e indigesto.
Bentivogli, cambiano i governi ma il premier resta sempre lo stesso. Cosa chiedete a Conte?
Quello che chiedevamo anche prima: bisogna rimettere al centro il lavoro e l’industria. Il Pil è a zero e la cassa integrazione cresce vertiginosamente. Essersi buttati sull’elettoralismo dei sussidi sta presentando un conto salatissimo ai lavoratori.
Si riferisce al reddito di cittadinanza. La cronaca recente rivela che è finito pure a criminali e spacciatori. In tempi non sospetti lei avvertiva: «Si rischia di finanziare il lavoro nero».
I veri poveri, a cui qualcosa è giustamente arrivato, sono schiacciati dai tanti furbi, evasori, lavoratori in nero che rischiano di guadagnare più di coloro da cui sono trattenute, con le tasse, le risorse per il reddito di cittadinanza. Mentre i «navigator» sono il classico modo all’italiana di inventare impieghi senza creare lavoro. Come sostiene la Cisl, bisognava migliorare il reddito di inclusione.
Al ministero dello Sviluppo economico languono almeno 160 tavoli di crisi aziendali. Quanti posti di lavoro si rischiano?
Tra i 90 e i 280 mila. È un dato tremendo. E, tra l’altro, sta finendo la cassa integrazione e dopo partiranno i licenziamenti.
Sul punto, e non solo, lei ha avuto scontri feroci con Luigi Di Maio. Con Stefano Patuanelli, il nuovo ministro dello Sviluppo, siamo alle battute iniziali della partita nuovo governo-sindacati.
Era più semplice interloquire con il capo della Casa Bianca che con Di Maio, parlava poco in trattativa e molto in conferenza stampa e spiegava cosa non era stato fatto prima di lui. In un anno e mezzo non ha risolto nessuna vertenza. Patuanelli è più mite, più schivo ai richiami mediatici e sembra più disponibile all’ascolto. Mi auguro che affermi discontinuità forti col predecessore.
Di Patuanelli qualcosa si conosce. Invece, la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo resta un soggetto misterioso per media e opinione pubblica...
Non la conosco e a oggi non l’ho ancora incontrata. Spero si occupi del disastro creato dal «decreto dignità» che ha messo d’accordo tutti: lavoratori, imprese e sindacato sui danni prodotti. Un capolavoro.
Lo sciopero del 31 otterrà qualche risultato o pensa che il governo abbozzerà?
Di Maio sta attaccando chi sciopera nel prefestivo. Di solito lo evitiamo, ma venga lui a spiegarlo a chi fa da mesi cassa integrazione. Di sicuro la mobilitazione del 31 ottobre è stato soltanto un assaggio.
Ecco, quali sono le politiche industriali che il governo dovrebbe sviluppare, anzi la prima cosa da fare subito per evitare che all’assaggio si aggiunga il pasto completo?
Mettere insieme una «Rete italiana per l’innovazione» grazie alle eccellenze che abbiamo. E poi ripartire dal piano «Industria 4.0», compensando con strumenti ad hoc gli aspetti che sono stati più carenti: Sud e piccole e medie imprese.
Però, almeno nelle intenzioni, il Mezzogiorno pare essere al centro dell’agenda del governo giallorosso…
Nel Centro-Nord è iniziata la deindustrializzazione, nel Sud siamo alle battute finali. Carenze di infrastrutture, accesso al credito, burocrazia, costo dell’energia scoraggiano gli investitori e fanno scappare quelli presenti. Quando si sente un sindaco proporre la nazionalizzazione di uno stabilimento di lavatrici, capisci quanto la demagogia cerchi di sostituire un totale analfabetismo lavorista e industriale.
Sta parlando di Luigi de Magistris e della vertenza Whirlpool. Si sta discutendo sulla chiusura dello stabilimento di Napoli. Ci sono altre situazioni simili nel Meridione?
Un elenco senza fine che si accorcia non per l’individuazione di soluzioni bensì per le chiusure definitive.
Lei dice che anche al Nord sta avvenendo una de-industrializzazione silenziosa. Non ci lascia speranze?
In un’economia matura, il settore manifatturiero regge a «3+1» condizioni. Le prime tre sono innovazione tecnologica, nuova organizzazione del lavoro e investimento nelle competenze.
E la condizione «+1»?
Un ecosistema indispensabile, in cui banche, pubblica amministrazione, rappresentanza, infrastrutture, energia, istruzione e formazione siano integrate su impegni comuni. E non su quante risorse chiedere, ma su ciò che ognuno può mettere a disposizione. Non sarebbe male una nuova contrattazione programmata. Le smart factory, le fabbriche intelligenti e il lavoro del futuro senza di essa non funzionano.
Lei ha scritto un libro su questo. Si intitola Contrordine, compagni e sostiene che non bisogna avere paura della quarta rivoluzione industriale. A patto di…
Essere consapevoli della portata della grande trasformazione. Non è la tecnologia che cancella i posti di lavoro ma proprio la sua mancanza. I politici in altri Paesi virtuosi studiano e sfidano l’impopolarità anticipando e progettando le architetture del futuro. Noi invece di prendere esempio ci ispiriamo al nuovo peronismo sudamericano.
Lei è tra i maggiori esperti della vertenza ex Ilva, ora Arcelor Mittal. Come vanno le cose a Taranto?
Malissimo, al calo di domanda d’acciaio si aggiunge la demagogia politica. Secondo voi qualcuno investirebbe 3,6 miliardi di euro per uno stabilimento in cui è ancora sotto sequestro l’area a caldo? Un impianto per il quale la magistratura ha chiesto il fermo dell’altoforno? In una regione in cui il governatore Michele Emiliano è esperto su cosa devono fare gli altri, ma risulta assente sulle sue responsabilità? Intanto lo stabilimento perde due milioni di euro al giorno e va messo rapidamente a norma secondo le prescrizioni Aia.
Arcelor Mittal ha scelto un nuovo amministratore delegato, Lucia Morselli.
La scelta di un manager esterno al gruppo è inusuale, sembra dettata dalla volontà di proteggere i propri manager per assestarsi su un ripiegamento industriale e occupazionale, prima del disimpegno totale. Però l’azienda non è priva di responsabilità, la cassa integrazione non era necessaria e sul risanamento bisogna accelerare.
È vero che a Taranto i capireparto temono di finire in galera perché è stata negata loro l’immunità?
Troppi hanno raccontato fesserie: non esiste immunità penale ma solo uno scudo per i lavoratori, ovvero impiegati di VII livello e dirigenti, che firmano qualsiasi indicazione operativa. Lo scudo riguarda il perimetro e la durata del piano ambientale. I forcaioli che credono che queste firme le metta l’amministratore delegato hanno visto le fabbriche col binocolo. Tra il 2012 e il 2015 ci sono andati di mezzo l’ex prefetto Bruno Ferrante e impiegati di VII livello. È normale che nessuno voglia rischiare indagini e galere per applicare la legge.
È un anno record per gli infortuni e le morti sul lavoro. Questo, nonostantele leggi italiane siano tra le più avanzate, ma anche onerose. Così gli imprenditori lamentano di spendere tantissimo in sicurezza. Insomma, qualcosa non torna...
Ci sono le norme per garantire la vita e l’incolumità psicofisica nel lavoro. Ma la realtà è che accanto alla retorica, la vita umana vale di meno. Ci stiamo imbarbarendo e il deficit della cultura della sicurezza ne è solo uno dei segni.
In conclusione: che anno sarà il 2020 per i metalmeccanici?
I tre effetti combinati delle grandi trasformazioni - demografica, climatica e digitale - si vedono nelle produzioni e nel lavoro. Se in Italia non si torna a investire, perderemo terreno e raccoglieremo solo gli effetti negativi, tipici di chi viene marginalizzato dal gorgo dell’innovazione. E siamo già terribilmente in ritardo.
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